Fusione e concordato preventivo


Massima

1. E’ legittima la fusione di società in funzione o in esecuzione di un concordato preventivo, come desumibile dalle disposizioni degli artt. 2501 c.c. e 160 e 186 l.f..

2. Gli effetti giuridici della fusione – sul piano societario ed organizzativo - derivano unicamente dalla stipula e successiva iscrizione dell’atto di fusione. Pertanto, anche se la società ha depositato una domanda di concordato preventivo:
a) non necessita di alcuna autorizzazione degli organi della procedura l’approvazione e il deposito del progetto di fusione da parte dell’organo amministrativo;
b) non necessita di alcuna autorizzazione degli organi della procedura la deliberazione che approva il progetto di fusione, condizionando la eseguibilità dell’atto di fusione all’intervenuta omologazione del concordato nel cui piano essa sia prevista.

3. Non richiede alcuna autorizzazione giudiziale, né la partecipazione del commissario giudiziale (o di altro soggetto cui venga affidata l’esecuzione del concordato), la stipulazione dell’atto di fusione di una società per la quale è stato omologato un concordato preventivo.
Peraltro, in tal caso:
a) resta fermo il dovere di vigilanza ex art. 185 l.f. del commissario giudiziale sull’esecuzione del concordato, che, qualora la fusione sia prevista dal piano di concordato, investirà la conformità della stessa alle previsioni del concordato approvato e omologato;
b) sono salve le diverse disposizioni o autorizzazioni eventualmente previste dal decreto di omologazione del concordato.

4. Non richiede alcuna autorizzazione giudiziale la deliberazione che approva il progetto di fusione senza condizionarlo all’omologazione del concordato, ma la stipulazione del relativo atto prima dell’omologazione deve essere autorizzata dal tribunale ex art. 161, comma 7°, l. fall. o dal giudice delegato ex art. 167 l.f., a seconda che la stipulazione medesima avvenga prima o dopo l’ammissione della società alla procedura.

Motivazione

1. La riorganizzazione dell’impresa in funzione dell’esecuzione di un concordato preventivo può essere realizzata anche mediante fusione della società in crisi, in una qualsiasi delle sue forme note. La disponibilità dell’istituto allo scopo è oggi avvalorata dalla soppressione del divieto originariamente contenuto nell’art. 2501, secondo comma c.c.; la sua coerenza con la procedura concordataria si desume in primo luogo, dall’art. 160, primo comma, l.f. (laddove consente di promuovere “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma, anche mediante … operazioni straordinarie”); in secondo luogo dall’art. 186 bis l.f, poiché la fusione è funzionalmente fondata, ai sensi dell’art. 2504 bis c.c., sul rispetto del principio di 2 continuità e consente, al contempo, di conseguire risultati allocativi delle risorse patrimoniali non dissimili da quelli testualmente prefigurati nello stesso art. 186 bis l.f..

La sostanziale equivalenza procedimentale di fusione e scissione (scansione del procedimento nelle tre fasi: progetto; approvazione del progetto; atto conclusivo) e la conseguente identità del fatto che completa entrambe le fattispecie, dall’avvenimento del quale decorrono gli effetti organizzativi e patrimoniali (pubblicità dell’atto finale ex art. 2504 bis secondo comma c.c. ed ex art. 2506 quater c.c.), consentono di pervenire a risultati interpretativi non dissimili in punto di coordinamento fra disciplina dell’operazione straordinaria e disciplina concordataria, e quindi di estendere alla fusione gli orientamenti già assunti in merito alla scissione di società in concordato preventivo.

2. Alla luce dei dati normativi richiamati (artt. 160 e 186 bis l.f.), il caso oggetto di analisi è, innanzitutto, quello della fusione espressamente contemplata nel piano ex art.161, comma secondo, lett. e) l.fall., come “modalità ….. di adempimento della proposta” di concordato, sottoposta al vaglio del ceto creditorio.

Come per la scissione, la questione è quella della possibile ricorrenza di profili di interferenza della disciplina contenuta nella Legge Fallimentare (Regio Decreto del 1942 numero 267) sul regime ordinario della fusione, di cui agli artt. 2501 e ss. c.c..

Si ritiene che, anche nella circostanza, l’analisi della questione esposta possa utilmente fondarsi su alcune premesse, così sintetizzabili: a) la fusione determina la compenetrazione di patrimoni aziendali che si sommano algebricamente tra loro e, per tale motivo, è suscettibile di modificare in senso peggiorativo il rischio del creditori della società in concordato preventivo, perché destinati a subire il concorso dei creditori delle altre società partecipanti alla medesima fusione; b) il pregiudizio potenziale presuppone, ovviamente, l’efficacia della fusione, e quindi sorge solo a seguito della stipulazione dell’atto di fusione e della sua pubblicità nel registro delle imprese a mente dell’art. 2504 bis secondo comma c.c.; di contro, la mera predisposizione e pubblicazione del progetto ad opera dell’organo amministrativo della società in concordato preventivo e finanche la sua approvazione da parte dell’organo competente (assemblea dei soci o organo amministrativo, in ragione del modello di fusione progettato e delle scelte statutarie) esauriscono la loro valenza sul piano endoprocedimentale, e come tali sono incapaci di produrre effetti anche solo potenzialmente dannosi sul piano patrimoniale; c) la disciplina della procedura di concordato preventivo contiene alcune regole rilevanti sul piano dell’azione amministrativa dell’organo gestionale della società, poiché 3 i) dalla data di presentazione del ricorso con cui si domanda (anche “in bianco”) l’ammissione alla procedura di concordato preventivo e fino al decreto di cui all’art. 163 l.f., il compimento di atti di straordinaria amministrazione deve essere autorizzato dal tribunale, ai sensi dell’art. 161, settimo comma l.f.; ii) successivamente al decreto di ammissione alla procedura (ex art. 163 l.f.) il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione deve essere autorizzato dal giudice delegato, ai sensi dell’art. 167 l.f..; iii) successivamente all’omologazione del concordato preventivo ex art. 180 l.f., sebbene la procedura si chiuda (art. 181 l.f.) e l’organo amministrativo si riappropri del pieno potere di amministrazione della società, permane il potere di vigilanza del commissario giudiziale, istituzionalmente deputato alla verifica dell’adempimento dei patti e delle obbligazioni concordatarie (art. 185 l.f.).

E’ intuitivo che la ragione di tali disposizioni sia da individuare in un’istanza di tutela del ceto creditorio.

La soluzione alla questione della possibile interferenza delle norme della disciplina del concordato preventivo da ultimo citate (artt. 161, settimo comma; 167; 185 l.f.) sul regime ordinario della fusione, e quindi della loro potenziale rilevanza ai fini del controllo di legittimità svolto da notaio, deve essere cercata incrociando la ratio delle norme richiamate della legge fallimentare e gli effetti patrimoniali della fusione.

3. E’ facile immaginare che nella maggior parte dei casi il piano rinvierà l’integrale attuazione della fusione alla fase successiva all’omologazione del concordato. Con il decreto di omologa la procedura di concordato preventivo si chiude, a mente dell’art. 181 l.f., e l’organo amministrativo della società ritorna nella pienezza dei suoi poteri dispositivi del patrimonio sociale; l’eventuale inadempimento degli obblighi assunti nei confronti del ceto creditorio determina esclusivamente la risoluzione del concordato, purché di non scarsa importanza, ai sensi dell’art. 186 l.f..

Pertanto, coinvolgendo una società tornata in bonis, la fusione verrà attuata secondo le ordinarie regole procedimentali (anche in punto di legittimazione alla sottoscrizione del progetto e dell’atto di fusione) e senza necessità di alcuna autorizzazione preventiva, se non quelle che siano state eventualmente previste in modo espresso dal decreto di omologazione.

Il controllo sulla conformità della fusione agli accordi concordatari omologati spetterà, in mancanza dunque di ulteriori cautele disposte nel decreto di omologazione, al solo commissario giudiziale, e per lo più si ridurrà all’accertamento della previsione dell’operazione nel piano concordatario anche 4 sotto il profilo della tempistica attuativa (a differenza di quanto potrebbe essere richiesto al medesimo commissario, in sede ispettiva, in caso di scissione, opera che presuppone una selezione degli elementi patrimoniali da assegnare, con maggior rischio di distrazione) e della permanenza delle condizioni patrimoniali inizialmente previste in tutte le societa' partecipanti onde evitare che la compenetrazione dei loro patrimoni eventualmente depauperati possa rappresentare un danno per i creditori e pregiudicare l'attuazione del concordato stesso .

Eventuali rilevi mossi dallo stesso commissario non sono tuttavia capaci di riflettersi sulla legittimità del procedimento di fusione e quindi sulla validità della delibera di approvazione del progetto, che sarà iscrivibile nel registro delle imprese; la tutela del ceto creditorio è nella circostanza affidata non solo al rimedio della risoluzione del concordato ai sensi all’art. 186 l.f., qualora ne ricorrano le condizioni, ma anche al diritto di opposizione ai sensi dell’art. 2503 c.c., che si deve ritenere spettante a tutti i creditori sociali qualora la fusione non sia rispettosa del concordato (a differenza di quanto si può ammettere in caso di conformità della fusione al concordato omologato; sulla questione si rinvia alle considerazioni svolte nell’orientamento in tema di scissione di società e concordato preventivo e riprodotte nel successivo paragrafo 6).

4. Può accadere che l’organo amministrativo della società preferisca anticipare l’avvio del procedimento di fusione, pur volendo condizionarne gli effetti all’omologazione del concordato, al cui adempimento resta strumentale. Anche nella circostanza si tratterà dunque di fusione necessariamente prevista nel piano presentato ai sensi dell’art. 161 secondo comma lett.e) L.fall., connotata dal fatto che il procedimento è avviato prima dell’omologazione.

In particolare, l’avvio del procedimento, con la pubblicazione del progetto e l’approvazione dello stesso da parte dell’organo competente, potrà precedere la presentazione della domanda di ammissione alla procedura concorsuale; oppure seguire il deposito della domanda, pur precedendo l’omologazione.

In entrambi i casi risulta opportuno, se non addirittura auspicabile, “condizionare” l’esecuzione della deliberazione di approvazione del progetto di fusione all’omologazione del concordato, e più precisamente legittimare espressamente il legale rappresentante della società alla stipula dell’atto di fusione solo a condizione che il concordato sia omologato ex art. 181 l.f., anche se non in via definitiva, in quanto immediatamente efficace pur se reclamabile ai sensi dell’art. 183 l.f. (per una più diffusa argomentazione si rinvia all’orientamento su “scissione e concordato preventivo” in particolare al paragrafo 3). 5

A tal fine sembra sufficiente, limitarsi a “condizionare” l’esecuzione della deliberazione di approvazione del progetto di fusione, nel senso di autorizzare il legale rappresentante alla stipula dell’atto di fusione solo qualora sia omologato il concordato, piuttosto che apporre una condizione sospensiva all’atto finale, per non interferire direttamente sugli effetti della fusione come definiti normativamente. Adottando tale soluzione, si dovrebbe procedere alla stipula dell’atto finale soltanto a concordato omologato e precisamente in sede di esecuzione del concordato medesimo, così da minimizzare il rischio di incertezze e di sopravvenienze, sul piano dei rapporti fra procedura concorsuale e operazione straordinaria, avendo conseguito il duplice risultato di aver “vincolato” la maggioranza assembleare all’esito positivo del procedimento di approvazione della proposta di concordato e di aver contenuto in ambito endo-procedimentale (concorsuale) il predetto fattore di incertezza, in modo da non pregiudicare l’affidamento dei terzi. Coerentemente, la mancata stipulazione della fusione rappresenterebbe causa di risoluzione del concordato, senza peraltro determinare ripercussioni organizzative di sorta, data la conservazione dell’assetto societario preesistente. In tale fase la disciplina del procedimento di fusione è quella ordinaria, e si devono ritenere applicabili anche le semplificazioni normativamente ammesse. Ragionando sul piano della mera opportunità, e non su quello della legittimità, sembrano peraltro non trascurabili alcune accortezze. Nella prospettiva proposta e analogamente a quanto esposto in tema di scissione, il progetto di fusione dovrebbe contenere – fatte salve le più analitiche illustrazioni e giustificazioni da fornirsi nella relazione ex art. 2501 quinquies c.c., opportunamente (anche se non necessariamente) redatta – un preciso riferimento alla strumentalità dell’operazione rispetto al concordato della società in crisi o insolvente e agli obiettivi imprenditoriali e/o finanziari delle società partecipanti. L’illustrazione del programma concordatario, del ruolo che in esso gioca la fusione e della giustificazione di questa sul piano economico, finanziario e industriale, risultano particolarmente necessari per i soci della società in crisi, se si tiene conto che la competenza ad approvare la proposta di concordato è rimessa, in via di principio e salvo diversa disposizione statutaria, all’organo amministrativo. Infatti, tenuto conto della formulazione vigente dell’art. 152, secondo comma, l.fall., i soci della società in crisi potrebbero apprendere direttamente dal progetto di fusione della peculiare operazione concordataria programmata. Oltre alla funzione programmatica e informativa il progetto di fusione gioca un ruolo determinante ai fini della individuazione delle conseguenze sul piano patrimoniale della compenetrazione delle 6 realta' aziendali delle societa' coinvolte e della idoneita' del'entita' risultante dalla fusione a portare ad esecuzione il concordato. Una volta omologato il concordato, potrà essere stipulato l’atto di fusione. Sembra peraltro necessario che il notaio accerti da un lato che il piano di concordato preveda la fusione già deliberata fra le condizioni di attuazione e dall’altro che sia sopraggiunta l’omologazione di quel piano, con decreto emesso dal Tribunale ai sensi dell’art. 180 l.f. Qualora la delibera di approvazione del progetto di fusione preceda anche il deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo, va da sé che gli amministratori non dovranno munirsi di alcuna autorizzazione preventiva, non essendo ancora aperta la procedura. Qualche dubbio in merito potrebbe sorgere qualora la domanda sia già stata presentata. Infatti, come già ricordato, una volta depositata la domanda, il compimento di atti di straordinaria amministrazione da parte del debitore è soggetto ad autorizzazione giudiziale: del Tribunale, prima che sia emanato il decreto di ammissione al concordato preventivo; del Giudice Delegato, successivamente all’ammissione. Non vi è dubbio che la fusione della società in concordato preventivo, per le innegabili conseguenze che è foriera di generare sul piano della tutela dei creditori, è da ascrivere al novero di quelle di natura straordinaria, tale dunque da pretendere il placet giudiziale. Rinviando ancora alle premesse, giova tuttavia rammentare che ogni effetto consegue solo all’iscrizione (e quindi alla stipula) dell’atto di fusione. Ne deriva che se quella stessa fusione, come progettata ed approvata dai soci, è prevista espressamente nel piano presentato ai sensi dell’art. 161 l.f. e la stipulazione dell’atto finale è condizionata all’omologazione del concordato preventivo, non ricorrono i presupposti che giustificano la preventiva autorizzazione giudiziale (del Tribunale o del Giudice Delegato), di cui non ci si dovrà dunque munire nemmeno per pubblicizzare il progetto di fusione, perché non può determinarsi alcun effetto anche solo potenzialmente pregiudizievole per il ceto creditorio. Dunque, la delibera di approvazione del progetto di fusione ad esecuzione “condizionata” all’omologazione del concordato preventivo potrà essere legittimamente assunta anche successivamente al deposito della domanda di cui all’art. 161 l.f. - ed iscritta nel registro delle imprese (ex art.2436 c.c.) - senza necessità della preventiva autorizzazione del Tribunale di cui all’art.161, settimo comma, l.fall., o di quella del Giudice Delegato di cui all’art.167, secondo comma, l.fall., 7 5. Alla stregua delle premesse poste, qualora successivamente al deposito della domanda di concordato, ma prima dell’omologazione, si intenda stipulare un atto di fusione della società in concordato preventivo ad efficacia non “condizionata” all’omologazione, e quindi ad efficacia immediata, si ritiene necessario munirsi: a) dell’autorizzazione del Tribunale ex art. 161, comma 7, l.f., fino al decreto di cui all’art. 163 l.f.; b) del Giudice Delegato ex art. 167 l.f., successivamente all’ammissione alla procedura. In tal caso, agli effetti della fusione, la situazione patrimoniale della società in concordato preventivo non potrà tener conto della falcidia concordataria dei debiti sociali, in quanto il concordato non è stato ancora né approvato dai creditori ex art. 177 l.f., né omologato dal Tribunale ex art.180 l.f.. Per coerenza alle premesse, la pubblicazione del progetto di fusione (non condizionata all’omologazione del concordato preventivo) e la sua approvazione, anche prima dell’omologazione del concordato preventivo, non richiedono alcuna autorizzazione, in quanto incapaci di produrre effetti sul patrimonio sociale, come più volte rimarcato. 6. La necessità di un coordinamento fra la disciplina legale della fusione e le regole in tema di approvazione della proposta di concordato sembra emergere con particolare evidenza rispetto all’istituto dell’opposizione dei creditori previsto nell’art. 2503 c.c. Infatti, ai sensi dell’art. 177, primo comma, l.f., “il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi”. Qualora la fusione sia contemplata come modalità attuativa di una proposta di concordato approvata dai creditori ed omologata, il riconoscimento di un diritto individuale di opposizione ex art. 2503 c.c. finirebbe per frustrare la scelta legislativa di subordinare le soluzioni negoziate della crisi alla volontà della maggioranza dei creditori, sotto il controllo del tribunale. Sembra pertanto coerente concludere nel senso che, qualora la fusione sia prevista come modalità di attuazione del concordato, i creditori di cui all’art. 184 l.f. della società in crisi sono privati del diritto individuale di opposizione di cui all’art .2503 c.c. e devono ricorrere al rimedio endoconcorsuale dell’opposizione di cui all’art.180, secondo comma, l.fall., da considerarsi “assorbente” di ogni altra tutela. Sotto il profilo sistematico la proposta interpretativa, già avanzata da parte della dottrina, sembra trovare conforto nello speciale regime previsto per quella particolare categoria di creditori che sono.

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