Trasformazione e fallimento (35/2013)


Massima

(1) E’ legittima la decisione di trasformazione di una società dichiarata fallita nei limiti di compatibilità con la finalità e lo stato della procedura sanciti dall’art. 2499 c.c. .

(2) La decisione di trasformazione deve essere preventivamente autorizzata con decreto del Tribunale Fallimentare ai sensi degli artt. 23 e 24 l.f., espressione della competenza generale sulla procedura propria di tale organo, ai fini della preventiva valutazione di compatibilità ai sensi dell'art. 2499 c.c.

(3) Nelle società di capitali la dichiarazione di fallimento non determina ex se lo scioglimento della società né la decadenza degli organi sociali i quali mantengono le rispettive prerogative pur con il filtro della compatibilità con le regole della procedura fallimentare. Sicché la convocazione dell’assemblea e la redazione della relazione ex art. 2500 sexies c.c. restano di competenza dell’organo amministrativo (e non del curatore) e la decisione sulla trasformazione è adottata dalla assemblea dei soci.

(4) La Società per Azioni fallita che si trovi in stato di liquidazione può trasformarsi in società a responsabilità limitata, senza il ripianamento delle eventuali perdite e la ricapitalizzazione della società.

(5) Considerato che, a seguito della dichiarazione di fallimento, il patrimonio sociale è indisponibile per gli organi sociali e destinato alla soddisfazione dei creditori, in caso di esercizio del diritto di recesso da parte dei soci non consenzienti alla delibera di trasformazione: i) il valore della partecipazione è determinato in conformità agli artt. 2437 bis (per le Spa) e 2473 (per le Srl) c.c. alla data del recesso e dunque tiene conto del presumibile eccesso di debiti rispetto all'attivo; ii) anche qualora il valore determinato nell'ambito del procedimento di liquidazione dagli amministratori fosse positivo e, ex artt. 2437 bis e 2473 c.c., non si addivenga all'acquisto da parte di altro socio o di un terzo, non è comunque possibile procedere al rimborso della partecipazione se non dopo la chiusura del fallimento, e comunque applicandosi la disciplina ordinaria.

Motivazione

Ai sensi dell’art. 2499 c.c. è legittima la trasformazione della società in pendenza di procedura concorsuale, compreso dunque il fallimento. La norma pone due limiti all’operazione: che non sia incompatibile con le finalità della procedura e con lo stato della stessa, valutazione questa che si rivolge prevalentemente alla circostanza che lo stato della procedura non sia eccessivamente avanzato o prossimo alla conclusione, tale così da impedire alla trasformazione di realizzare interessi meritevoli di tutela.

Si tratta di limiti flessibili e astratti che richiedono una valutazione di merito, da effettuare caso per caso in relazione alle concrete modalità attuative dell’operazione, alle peculiari situazioni in cui la società si trova, alle contingenze di mercato e agli interessi dei creditori e dei terzi coinvolti.

La competenza ad effettuare tali giudizi di compatibilità è rimessa agli organi procedura, variamente articolati a seconda del tipo (e della fase) della stessa, e non al Notaio al quale il sistema dei controlli delineato dal legislatore (sia in sede di atto costitutivo, art. 2330 c.c., che in sede di delibere modificative dello stesso, art. 2436 c.c.) assegna una verifica di legalità formale e sostanziale e non di merito.

Ammessa in astratto la legittimità dell’operazione di trasformazione della società fallita, il secondo punto della Massima si confronta con il problema delle competenze.

Si ritiene che l’organo della procedura competente a verificare in concreto e a dare conto della compatibilità ex art. 2499 c.c. sia rappresentato dal Tribunale fallimentare. Tale organo è infatti investito della competenza sull’intera procedura in conformità a quanto previsto dall’art. 23 l.f e, ai sensi dell’art. 24 l.f., conosce tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore.

Il provvedimento autorizzativo rilasciato dal Tribunale assurge a presupposto necessario per la legittima adozione della delibera di trasformazione giacché concretizza il positivo vaglio di compatibilità richiesto dalla legge (art. 2499 c.c.), e dovrà risultare dalla delibera stessa mediante richiamo e/o allegazione.

Il punto 3 della Massima risolve la questione dell’articolazione delle competenze tra organi sociali e organi della procedura, alla luce di un coordinamento tra regole societarie (legali e statutarie) e regole della procedura fallimentare stessa.

Le soluzioni adottate poggiano su una considerazione di fondo e cioè che la dichiarazione di fallimento delle società di capitali non è di per sé causa di scioglimento della società né determina la decadenza degli organi sociali. Si tratta di un principio voluto dal legislatore della riforma del 2003 e che si trae dalla lettura dell’art. 2484 c.c., norma che, tra le cause di scioglimento, non annovera più la dichiarazione di fallimento per le società che abbiano per oggetto un'attività commerciale.

Per effetto del fallimento e in pendenza della procedura le sorti del patrimonio sociale – destinato alla soddisfazione dei creditori – si separano dalle sorti della struttura dell’organizzazione mentre gli organi sociali mantengono le rispettive prerogative seppure con il filtro della compatibilità conle regole della procedura fallimentare. Troveranno pertanto applicazione le regole procedimentali proprie della trasformazione (stima del patrimonio sociale, consenso individuale dei soci che assumono responsabilità illimitata, quorum rafforzati) comprese quelle relative agli effetti e alla pubblicità della delibera.

L’organo amministrativo mantiene dunque le competenze gestorie compatibilmente con lo spossessamento dei beni, effetto tipico del fallimento (ai sensi dell’art. 42 l.f. la sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei propri beni) e l’attribuzione della relativa amministrazione al curatore ex art. 31 l.f. Alla luce di quanto detto, ai fini che qui interessano, la convocazione dell’assemblea e la predisposizione della documentazione finalizzata alla decisione di trasformazione (a partire dalla relazione che ex art. 2500 sexies c.c. ne illustra le motivazioni e gli effetti in caso di trasformazione di società di capitali in società di persone) restano di competenza dell’organo amministrativo stesso e non del curatore.

Del pari, la decisione di trasformazione è di competenza dell’assemblea, trattandosi di modifica dell’organizzazione societaria. Né, per quanto osservato, è necessaria la presenza del curatore in sede assembleare.

Il quarto principio espresso dalla massima prende in considerazione un caso frequente nella prassi quale è la trasformazione di Spa fallita in Srl, fattispecie che efficacemente traduce le utilità immediate dell’operazione (riduzione degli oneri di procedura, diminuzione dei costi di gestione, a partire dal venir meno dei presupposti per la nomina dell’organo di controllo, facilità nella gestione della liquidazione stessa e maggiore snellezza della struttura organizzativa). In questo contesto si inserisce la c.d. "trasformazione liquidativa" volta ad evitare perdite maggiori attraverso la realizzazione di maggiori risparmi, garantendo al contempo un più consistente residuo attivo soprattutto nei casi in cui la procedura richiede tempi lunghi. Del resto già la relazione di accompagnamento al D. Lgs. 6 del 2003 reperisce proprio nella riduzione degli “oneri” della procedura uno dei possibili scopi che la trasformazione può in concreto perseguire. E’ opportuno comunque precisare che l’interesse a ridurre i costi di gestione, oltre che nel caso di operazione liquidativa e finalizzata alla conservazione di un riparto attivo da distribuire ai soci, può sussistere anche nel caso in cui l’obiettivo sia il risanamento dell’impresa e la prosecuzione dell’attività.

Delineata l’utilità concreta dell’operazione, si ritiene che la società per azioni fallita che abbia provveduto allo scioglimento e alla messa in liquidazione della società stessa possa senz’altro procedere alla trasformazione in società a responsabilità limitata senza ripianare le perdite e ricapitalizzare la società; e ciò anche nel caso di capitale integralmente perduto. Come chiarito, la dichiarazione di fallimento non è ex se causa di scioglimento della Società né d’altra parte la delibera di trasformazione determina una revoca implicita dello stato di liquidazione come sostenuto da certa dottrina sulla base di una presunta incompatibilità della trasformazione stessa con lo stato di liquidazione. Durante la fase della liquidazione non trova applicazione la disciplina sul capitale sociale propria nel caso di attività ordinaria della società essendo in tale fase legittima la delibera di trasformazione anche quando le perdite non siano completamente assorbite né la società ricapitalizzata. In questo senso si è espressa anche la giurisprudenza (già prima della riforma del 2003) con riguardo alla non applicazione durante la fase di liquidazione di quelle disposizioni sul capitale che ne prevedono la riduzione “a pena di scioglimento”, come appunto gli artt. 2447 e 2482 ter cod. civ. La dottrina ha poi chiarito che per le società in liquidazione non trovano applicazione gli obblighi di riduzione del capitale in generale compresi quelli di cui agli artt. 2446 e 2482 bis cod. civ. e ciò in considerazione della funzione stessa del capitale sociale nelle società che versano in liquidazione.

In linea di principio, il ripianamento delle perdite e la ricapitalizzazione sono requisiti imprescindibili ove la trasformazione sia finalizzata al ritorno in bonis della società (trasformazione evolutiva) e quindi alla revoca dello stato di liquidazione ex 2487 ter, non invece qualora la società versi e continui a versare in stato di liquidazione. In questo contesto la delibera si colloca tra quelle che governano la liquidazione giacché consente l’adozione di misure volte ad attuarla (o comunque ad agevolarla) essendo funzionale alla semplificazione della procedura e alla riduzione dei costi.

Più dubbio è invece se la regola di cui all’art. 182 sexies rappresenti un principio speciale, applicabile a tutte le procedure concorsuali, ed autorizzi la trasformazione di società di capitali con patrimonio netto inferiore al minimo sottoposte a fallimento o in concordato, indipendentemente dallo stato liquidazione delle stesse.

L’ultimo principio espresso dalla massima si occupa del profilo del recesso.

I soci non consenzienti alla delibera di trasformazione di società fallita possono ai sensi dell’art. 2437 (per le spa) e 2473 (per le srl) esercitare il diritto di recesso, così attivando la conseguente procedura disciplinata da tali sistemi normativi con le specificità proprie dei due tipi sociali.

A questo riguardo, il profilo che rileva concerne la liquidazione dell’eventuale valore della partecipazione.

In primo luogo, va precisato che il valore della partecipazione del socio receduto è determinato, ai sensi degli articoli 2437 bis e 2473 rispettivamente per Spa e Srl, alla data del recesso (o addirittura dovrà essere comunicato prima dell’assemblea ex art. 2437 ter c.c.), valore presumibilmente insussistente e che comunque tiene conto del presumibile eccesso di passività rispetto all'attivo.

Qualora il valore sia inesistente, nulla quaestio. Qualora invece il valore della partecipazione determinato nell'ambito del procedimento di liquidazione dagli amministratori (con le specificità previste per Spa e Srl) fosse positivo, l’ipotesi che può verificarsi - in coerenza con il procedimento legale di liquidazione – è che si addivenga , ex artt. 2437 quater e 2473 c.c., all'acquisto della partecipazione stessa da parte di altro socio o di un terzo. Diversamente, la liquidazione della quota mediante mezzi propri della società dovrà essere differita alla fase successiva alla chiusura del fallimento, dato che influisce sull’esigibilità del credito del socio receduto. Non sarà possibile procedere al rimborso della partecipazione se non dopo la chiusura del fallimento, pena la responsabilità dell’organo amministrativo, dal momento che in pendenza della procedura il patrimonio sociale è indisponibile e destinato alla soddisfazione dei creditori sociali.

Chiuso il fallimento, troverà a quel punto applicazione la disciplina ordinaria dettata rispettivamente per Spa e Srl in ordine alla liquidazione della partecipazione al socio receduto, e la società potrà utilizzare riserve proprie ovvero deliberare la riduzione del capitale, fatta salva in tal caso l’opposizione dei creditori.

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