Cass. civile, sez. II del 1980 numero 1521 (01/01/1980)


In sede di divisione ereditaria, le richieste di ciascun coerede di prelevamenti dal relictum a soddisfazione di crediti verso il de cuius configurano non delle eccezioni ma delle vere e proprie domande, soggette, perciò, al divieto stabilito dal primo comma dell'art. 345 cod. proc. civ., in quanto dirette non a paralizzare la domanda di divisione, bensì ad ottenere l'attribuzione diretta di un bene della vita (credito) e, correlativamente, a diminuire la massa da dividere. L'azione di riduzione contro il coerede donatario, coniuge o discendente del de cuius, presuppone che questi sia stato dispensato dalla collazione, giacchè, in caso contrario, il solo meccanismo della collazione sarebbe sufficiente per far conseguire ad ogni coerede la porzione spettantegli sull'eredità, senza necessità di ricorso alla specifica tutela apprestata dalla legge per la quota di legittima. In base all'art. 553 cod. civ., anche nel caso in cui i successori siano tutti legittimari, il legittimario, essendo chiamato alla successione ab intestato sul relictum in una quota non inferiore alla sua quota di riserva, non ha alcun bisogno, per ottenere quanto riservatogli, di ricorrere all'azione di riduzione delle donazioni ai sensi dell'art. 555 cod. civ., qualora il relictum sia sufficiente a coprire la quota predetta quale risulta dalla riunione fittizia tra relictum e donatum, operazione che, non finalizzata soltanto all'attuazione della riduzione, deve essere compiuta non solo quando si debba procedere a tale azione ma in ogni caso di concorso di legittimari nella successione, per determinare la quota di riserva spettante a ciascuno di essi. Ne consegue che, nel caso di successione di figli legittimi, la dispensa dalla collazione relativa alle donazioni effettuate in favore di uno dei coeredi, se importa che la successione e la divisione (secondo le quote previste dall'art. 566 cod. civ. debbano essere limitate al relictum, senza che a detta dispensa, nel caso di prescrizione dell'azione di riduzione, possa più opporsi il limite costituito dall'intangibilità della legittima, non esclude che la porzione spettante sul relictum al coerede donatario debba essere ridotta di quanto necessario ad integrare la quota di riserva spettante (in base all'operazione predetta) agli altri coeredi, ferma peraltro - in forza della prescrizione dell'azione di riduzione - l'inattaccabilita delle donazioni anche nel caso in cui il relictum non sia sufficiente all'integrazione della quota di riserva. Quando la donazione abbia avuto ad oggetto un immobile, il coerede donatario non ha bisogno di alcuna dispensa dalla collazione per ritenere il bene donato, imputandone il valore alla propria porzione, giacchè proprio la legge (art. 746 cod. civ.) riserva a lui la scelta tra il conferimento in natura e quello per imputazione. Il donante ha solo il potere di dispensare il donatario dalla collazione, ma non può in alcun modo vincolare la sua scelta, qualora egli sia tenuto alla collazione, di conferire in natura il bene (immobile) ricevuto ovvero di attuare la collazione per imputazione. La conciliabilità tra la dispensa dalla collazione e la volontà del donante di attribuire il donatum in conto di legittima dipende dal fatto che la dispensa dalla collazione e l'imputazione della donazione alla legittima (o la correlativa dispensa dall'imputazione) operano su piani diversi, in quanto mentre la dispensa dalla collazione agisce nei rapporti tra i coeredi, la dispensa dalla imputazione sposta il limite che la legittima rappresenta per i poteri di disposizione del de cuius. nel caso di mancanza della seconda (che esige un'apposita manifestazione di volontà, diversa dalla dispensa dalla collazione), deve ritenersi implicita la volontà, del donante di imputare i beni donati alla legittima, senza che tale volontà - come, a maggior ragione, nel caso in cui la stessa sia espressa positivamente - incida in alcun modo sull'efficacia della dispensa dalla collazione.

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