Cass. civile, sez. I del 2014 numero 14794 (30/06/2014)




L’art. 127 c.c. prevede un’eccezione al principio generale che è espresso nella rubrica (“intrasmissibilità dell’azione”) in modo coerente con la natura di atto personalissimo che è propria del matrimonio e, allo stesso tempo, stabilisce un preciso limite alla possibilità che soggetti terzi, seppur qualificati come gli eredi, siano ammessi ad impugnare il matrimonio contratto da uno dei coniugi affetto da vizi della volontà o da incapacità di intendere e volere. Tale possibilità sussiste, infatti, solo nel caso in cui l’azione sia stata già esercitata dal coniuge il cui consenso o la cui capacità di intendere e volere risulti viziata, nel qual caso l’azione è trasmissibile agli eredi qualora il giudizio sia già pendente alla morte dell’attore. L’ordinamento attribuisce importanza al matrimonio come atto di volontà che presuppone la piena consapevolezza del suo significato, la quale viene a mancare in tutti i casi in cui la sfera volitiva e cognitiva del coniuge sia pregiudicata da cause di qualunque natura, temporanee o permanenti. Ed è per questo che è ammessa la trasmissibilità dell’azione impugnatoria che può essere solo proseguita dagli eredi, ma si tratta di un’eccezione che fa escludere la possibilità di un’interpretazione estensiva o analogica dell’articolo 127 c.c..

Il bilanciamento tra il diritto personalissimo del soggetto di autodeterminarsi in ordine al proprio matrimonio, proponendo l'azione di impugnazione, e l'interesse degli eredi a far valere l'incapacità del medesimo allo scopo di ottenere l'annullamento del matrimonio, con indubbi riflessi nei loro confronti sia sul piano personale che su quello patrimoniale, è rimesso alla valutazione del legislatore, che in modo non irragionevole ha ritenuto preminente l'esigenza di tutela della autodeterminazione e, quindi, della dignità di colui che, non interdetto, ha contratto matrimonio.

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