Cass. civile, sez. II del 2023 numero 5642 (23/02/2023)



In ordine alla questione se, nel condominio negli edifici, nel caso di conflitto di interessi tra il condominio e taluni partecipanti, le maggioranze costituenti il quorum costitutivo e deliberativo debbano essere calcolate con riferimento a tutti i condomini ed al valore dell'intero edifici è stato affermato che le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, sia ai fini del "quorum" costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all'autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio.
È stato osservato che, in tema di condominio negli edifici, l'ipotesi del potenziale conflitto di interessi tra il condominio ed i singoli partecipanti non è regolata, né può essere applicato in via analogica l'art. 2377 cod.civ. dettato in tema di società di capitali in quanto il ricorso all'analogia suppone il riscontro di una medesima ratio, che non è ravvisabile tra le società, aventi personalità giuridica e la peculiarità dell'istituto del condominio.
Posto che, in caso di conflitto di interessi, al condomino sia vietato esercitare il diritto di voto - non si contempla nessuna ipotesi nelle quali, ai fini dei quorum costitutivo e deliberativo, non si debba tener conto di tutti i partecipanti e di tutte le quote e nelle quali le maggioranze possano modificarsi in meno.
Al contrario, avuto riguardo alla funzione strumentale del principio maggioritario, in ragione della tutela dei diritti dei singoli sulle parti comuni e della garanzia del godimento delle unità immobiliari in proprietà solitaria, non sembra corretto applicare i principi elaborato in tema di società di capitali.
Ne consegue che, alla stregua dei principi sopra enunciati, non è corretta l'affermazione della Corte di merito secondo cui il voto di un delegato non andava computato, per essere stato espresso in una situazione di conflitto di interessi, né, conseguentemente, che fosse necessaria la prova di resistenza della delibera senza il calcolo di quel voto.

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