Oggetto della vendita di cosa futura



Quanto all'oggetto della vendita di cosa futura giova un riferimento all'impostazione della struttura di tale elemento essenziale nell'ambito del contratto in genere. La distinzione tra oggetto immediato (inteso come le obbligazioni o le attribuzioni traslative dedotte nel sinallagma) ed oggetto mediato (inteso come quel bene della vita consistente nella cosa che viene alienata), nella condotta di facere o di dare considerate dalle parti, diviene assai rilevante. Ordinariamente la compravendita ha per oggetto una attribuzione traslativa immediatamente operativa (in relazione al funzionamento del consenso traslativo: art.1376 cod.civ. ) a fronte di un'obbligazione la cui prestazione consiste nel pagamento di un prezzo. E', in altri termini, prevista una asimmetria di posizioni, dal momento che in capo all'alienante non è rintracciabile un'obbligazione principale. Egli infatti adempie semplicemente prestando il proprio consenso, la cui efficienza è tale da provocare l'immediato trasferimento del diritto sul bene. Come è intuitivo, nella vendita di cosa futura la vicenda si atteggia diversamente, stante l'inesistenza attuale dell'oggetto (mediato) del contratto. Che cosa comporta questa situazione? Se si accede alla tesi secondo la quale il trasferimento del bene opera non appena il medesimo viene ad esistenza, con ciò sostanzialmente facendo salvo il principio consensualistico, non è possibile riferire della vendita di cosa futura come di un contratto che deduca a carico del venditore un'obbligazione la cui prestazione consista nel far venire ad esistenza la cosa (obbligazione che invece ben potrebbe essere riconducibile al contratto di appalto: cfr. Cass. Civ. Sez. II, 23110/2021). Sarebbe questa, sostanzialmente, l'impostazione di quanti reputano che la vendita in considerazione debba essere qualificata come vendita obbligatoria, nella quale cioè il comportamento del venditore è dedotto in chiave di obbligazione e non già di prestazione di un consenso traslativo (sia pure ora per allora, vale a dire per il tempo in cui la cosa sia venuta ad esistenza) nota1 .

Assai più coerente sembra, invero, appropriarsi della definizione della vendita di cosa futura come di una vendita ad effetti reali differiti, nella quale cioè il trasferimento della cosa opera non appena la stessa viene ad esistenza, per il solo fatto oggettivo di tale evento nota2 . Questa costruzione porta con sè una conseguenza non indifferente: che oggetto (immediato) del contratto sia (come nella vendita di una cosa già esistente) un'attribuzione traslativa a fronte di un'obbligazione (il pagamento del prezzo). Se le cose dette sono vere, occorrerà concludere nel senso dell' insussistenza a carico del venditore di ogni e qualsiasi obbligazione primaria intesa a procurare o comunque ottenere che la cosa venga ad esistenza. Un siffatto contenuto obbligatorio importerebbe l'applicabilità del rimedio della risoluzione per inadempimento (o anche per impossibilità sopravvenuta), ciò che appare preferibile escludere, conformemente al tenore testuale del II comma dell'art.1472 cod.civ. , norma che fa riferimento alla nullità del contratto. Nè si parli di un difetto di tutela dell'acquirente, il quale sarebbe alla mercè del venditore, senza poter disporre di efficienti rimedi nota3 . Da un lato si può osservare che la nullità importa la possibilità di agire per la ripetizione di quanto eventualmente pagato, ormai qualificabile come indebito oggettivo (art. 2033 cod.civ.), dall'altro non sarebbe impraticabile la via per un'applicazione delle norme relative alla responsabilità precontrattuale, con riferimento alla conoscenza delle cause di invalidità del contratto: ne seguirebbe una responsabilità di tipo risarcitorio (sia pure nei limiti del solo interesse negativo) a carico del venditore.

Svolte queste non irrilevanti premesse di ordine generale è possibile assumere in considerazione l'ipotesi specifica della vendita avente ad oggetto i frutti (naturali) provenienti da un fondo. Essi, tipico esempio di bene futuro, possono dirsi venuti ad esistenza solamente in esito all'operazione di separazione. Per questo motivo la vendita viene qualificata come obbligatoria (Cass.Civ. Sez. II, 2827/87) anche se, come detto, sarebbe più appropriato parlare di effetti reali differiti nota4 . Il dubbio che si può porre in proposito è quello della disciplina applicabile alla negoziazione che abbia ad oggetto la massa dei frutti destinati ad essere prodotti in un determinato fondo: si tratta di emptio rei speratae o di emptio spei ? Il problema è quello dell'incidenza dell'evento atmosferico in conseguenza del quale la frutta vada perduta in tutto o in parte. In giurisprudenza (Cass.Civ. Sez. II, 1329/93 ) è stato deciso che la vendita in massa di tutta la frutta ancora in corso di maturazione, avendo carattere aleatorio (Cass.Civ. Sez. II, 4094/88 ) rende irrilevanti le variazioni in senso diminutivo della quantità ricavata, con il solo limite della perdita totale (ciò che renderebbe applicabile il II comma dell'art.1472 cod.civ. ). Sembra evidente la contraddizione di considerare assolutamente variabile il risultato finale della raccolta comunque qualificando la vendita come rei speratae.

Note

nota1

E' di questa opinione Gazzara, La vendita obbligatoria, Milano, 1981, p.165, mentre Rubino, La compravendita, in Tratt. dir.civ. e comm., diretto da Cicu-Messineo, vol.XXIII, Milano, 1971, p.178 sostiene che si dovrebbe parlare per questa fattispecie contrattuale di un contratto a formazione progressiva nel quale sarebbe già conclusa la formazione del consenso, ma non sarebbe ancora attuale l'ulteriore elemento essenziale costituito dall'oggetto.
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nota2

Così Lipari, Note in tema di compravendita di cosa futura, in Riv.trim. di dir. e proc.civ., 1960, p.853 e Bianca, La vendita e la permuta, in Tratt. dir. civ.it., diretto da Vassalli, Torino, 1972, p.377.
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nota3

E' questo l'argomento principale in forza del quale buona parte della dottrina reputa maggiormente appropriato alla sostanza del fenomeno individuare nella risoluzione del contratto il rimedio per la mancata produzione del bene: cfr. Capozzi, Dei singoli contratti, Milano, 1988, p.104 e Mirabelli, Dei singoli contratti, in Comm.cod.civ., libro IV, Torino, 1991, p.24.
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nota4

Ancora una volta è il caso di sottolineare la problematicità della qualificazione. Cosa riferire della condotta del venditore che non salvaguardi i frutti da raccogliere (ad esempio non stendendo i teli antigrandine che avrebbero salvato il raccolto di uva)? Configurando la vendita come obbligatoria è facile applicare il rimedio della risoluzione per inadempimento. Concependo invece la vendita come ad effetti reali differiti si espunge ogni valutazione della condotta del venditore, la quale si riverbera unicamente sul profilo causale dell'atto, rendendo nullo il contratto solo nell'ipotesi limite di cui all'art.1472 cod.civ.. La soluzione della contraddizione può trarsi nella diversa valutazione del comportamento tenuto dal venditore nel caso egli abbia colposamente o dolosamente agito a danno dell'acquirente, impedendo la venuta ad esistenza del contratto: in questo caso sarà applicabile la risoluzione del contratto per inadempimento dell'obbligazione (secondaria) di comportarsi secondo correttezza e buona fede (art.1375 cod.civ. ), laddove invece la mancata produzione del bene non imputabile al venditore determinerà la semplice nullità del contratto.
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Bibliografia

  • BIANCA, La vendita e la permuta, Torino, Tratt. dir. civ. dir. da Vassalli, vol. VII- t. 1-2, 1993
  • CAPOZZI, Compravendita, riporto, permuta, contratto estimatorio, somministrazione, locazione, Milano, Dei singoli contratti, 1988
  • GAZZARA, La vendita obbligatoria, Milano, 1957
  • LIPARI, Note in tema di compravendita di cosa futura, Tiv.trim.dir.proc.civ., 1960
  • MIRABELLI, Dei singoli contratti, Torino, Comm. cod. civ., vol. IV, 1968
  • RUBINO, La compravendita , Milano, Tratt.dir.civ. e comm. già dir. da Cicu-Messineo, e continuato da Mengoni vol.XVI, 1971

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