Diritti edificatori: costituzione e circolazione


Con la locuzione "diritti edificatori" si allude a quelle situazioni soggettive che implicano la possibilità di dar corso ad un'attività edilizia su uno specifico terreno.
La natura giuridica di questi diritti è vivamente dibattuta.
A fronte di chi reputa che si tratti di situazioni aventi a che fare prevalentemente con la sfera amministrativa, v'è invece chi sottolinea come le più recenti innovazioni normative ne avrebbero sancito la natura reale.
Al riguardo va rilevato come, ai sensi dell' art.5, comma 3, del D.L. 70/11 (c.d. D.L. Sviluppo), per garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori, si sia giunti addirittura alla novellazione dell'art. 2643, I comma, cod. civ.. Dopo il n. 2) della norma citata, infatti, è stato aggiunto il n. 2 bis, ai sensi del quale viene prevista la trascrizione dei contratti che trasferiscono "i diritti edificatori comunque denominati nelle normative regionali e nei conseguenti strumenti di pianificazione territoriale, nonchè nelle convenzioni urbanistiche ad essi relative".
E' questo l'ultimo sviluppo di una normativa che ha tratto i primi passi dalla disciplina che ha mosso dalle perequazioni sviluppatesi nella prassi di alcuni Comuni all'inizio degli anni novanta. Sul punto è intervenuta la S.C., le cui Sezioni Unite si sono pronunziate negando la natura reale del diritto in parola (Cass. Civ. Sez. Unite, 16080/2021). Ne seguirebbe la non indispensabilità del formalismo dello scritto ad substantiam actus. Lo scritto (rectius, l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata) si paleserebbe tuttavia indispensabile ai fini di poter dar corso alla trascrizione, sostanziando un'ipotesi di forma ad regularitatem.

Per comprendere cosa siano i diritti edificatori occorre prendere le mosse dalla c.d. "perequazione urbanistica", operazione che è definibile nella tecnica urbanistica come l’uniforme distribuzione dei valori e degli oneri della trasformazione urbanistica del territorio tra tutti i titolari dei fondi interessati. Per il tramite di essa si è inteso ovviare alle problematiche evidenziate dalla pianificazione tradizionale. E' infatti evidente come il costo dell'espropriazione di alcune aree e la valorizzazione di altre, ciò che appare da un lato deprivare il valore di una proprietà, dall'altro esaltarlo, appaia assolutamente illogico, gravatorio, quando non addirittura arbitrario e contrastante con principi di parità di trattamento. La "zonizzazione", vale a dire la distinzione tra aree concretamente edificabili ed aree destinate a viabilità, servizi pubblici o verde non edificabile non può non condurre ad intollerabili disparità.
La perequazione si propone pertanto, mediante l'attribuzione di un indice edificatorio omogeneo per ogni area, di superare questa situazione. In tale ambito i diritti edificatori costituiscono gli strumenti per il cui tramite, una volta riconosciuti ai privati proprietari delle aree un pari diritto in astratto, è possibile che gli stessi vengano a concretarsi in un ambito spaziale anche differente rispetto a quello originariamente legato alla proprietà del suolo siccome spettante ad ogni singolo proprietario. Una volta svincolato il diritto edificatorio dall'area, risulta finalmente possibile la cessione all'ente territoriale delle superfici funzionali a consentire la formazione dei servizi e delle zone di interesse pubblico, senza che si vengano a creare sostanziali espropriazioni. L'attività edificatoria potrà così essere espletata dai singoli proprietari sulle superfici indicate dal Comune in sede di pianificazione del territorio.
Non basta: allo scopo di poter esplicare in concreto un'attività edificatoria occorre inoltre raggiungere un indice fondiario minimo che, di per sè difettoso (stante l'incidenza delle aree destinate ai pubblici servizi), deve essere reperito sul territorio dai proprietari delle aree destinate alle opere pubbliche. Ogni proprietario di un’area edificabile non può sfruttare in concreto il proprio diritto all’edificazione, perchè l’area soggetta a perequazione non raggiunge il limite minimo dell’indice di edificabilità previsto. Onde poter costruire, ciascun proprietario dovrà procurarsi la differenza volumetrica tra quella di cui già è titolare e quella teorica minima. I diritti edificatori costituiscono lo snodo di questa configurazione: per il tramite dello scambio degli stessi è possibile per i singoli proprietari addivenire o alla monetizzazione dello jus edificandi ovvero, in senso inverso, all'acquisizione della concreta possibilità di edificare.

Il nuovo testo del n. 2 bis dell'art. 2643, I comma, cod. civ. vale propriamente a consentire in maniera più chiara e lineare la negoziazione dei diritti in questione, senza che ciò implichi, come già detto, una lettura dello stesso nel senso di dar vita ad un diritto reale o comunque ad una situazione soggettiva connotata da requisiti analoghi, come ha sancito la S.C. con la riferita pronunzia a SSUU. In ogni caso una certa autonomia risulta sancita proprio dalla negoziabilità separatamente rispetto alla proprietà del terreno, ciò che all'inverso comporta che, nell'ipotesi contraria, la cessione o il trasferimento dello stesso (quand'anche operata a titolo di espropriazione) non possa non comprendere anche tali diritto (cfr. Cass. Civ., Sez. II, 23130/2015).

Contributi di approfondimento


Prassi collegate

  • Quesito n. 81-2017/C, Vincolo su volumetria
  • Quesito n. 246-2015/T, Riserva di diritti edificatori
  • La nuova circolare n. 24/E in tema di codici da utilizzare nelle formalità di trascrizione, iscrizione o annotazione
  • Studio n. 540-2014/T, Negoziazione dei diritti edificatori e relativa rilevanza fiscale, anche alla luce dell'art. 2643 n. 2-bis) cc

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