La remissione consiste nell'atto di disposizione del proprio diritto che il creditore compie, manifestando al debitore la propria intenzione di ritenere estinto il credito nei casi in cui un tale atto risulta possibile. L'art.
1236 cod. civ. dispone a questo proposito che
la dichiarazione del creditore di rimettere il debito determina l'estinzione dell'obbligazione quando viene comunicata al debitore, pur facendo salva l'eventualità in cui quest'ultimo dichiari di non volerne profittare entro un congruo termine. La remissione è dunque un
atto recettizio nota1, la cui natura, per lo più
ritenuta negoziale nota2, vale a concretare l'estinzione dell'obbligazione.
La dichiarazione del soggetto passivo dell'obbligazione di non voler profittare dell'effetto estintivo si riferisce alla possibilità che venga eliminata, sia pure con effetti retroattivi, l'efficacia di una situazione giuridica già prodottasi. Lo schema è quello della
condizione risolutiva, ponendosi un limite alla pienezza della retroazione degli effetti unicamente nell'impossibilità del ripristino delle garanzie che assistevano il credito che in un primo tempo si era estinto
nota3 .
Quanto alla
natura giuridica ed alla struttura soggettiva, prevalentemente si ritiene che essa corrisponda ad un atto
unilaterale nota4.
Secondo un'opinione
nota5, la fattispecie dovrebbe esser piuttosto compresa
nell'ambito dei contratti, sia pure da perfezionarsi secondo le modalità di cui all'art. 1333 cod. civ. (proposta alla quale segua il mancato rifiuto) alla cui stregua valutare la congruità del termine per rifiutare l'effetto estintivo. Il nodo concettuale consiste nell'apprezzamento del ruolo sortito dal contegno silenzioso del debitore: nella fattispecie perfezionativa di cui all'art.
1333 cod. civ. la conclusione del contratto segue al silenzio serbato dall'oblato, mentre la mera comunicazione della proposta ne determina soltanto l'irrevocabilità.
Nella remissione sembrerebbe invece che il perfezionamento dell'atto consegua alla semplice comunicazione della dichiarazione al debitore, valendo, come detto, il rifiuto di costui ad eliminare, sia pure retroattivamente, le conseguenze giuridiche concernenti l'estinzione, già prodottasi.Si tratterebbe, più in generale, di un'applicazione dello schema del c.d. contratto a favore di terzo in cui costui può rifiutare il contenuto favorevole dell'attribuzione eliminandola con efficacia retroattiva.
Ciò premesso, chi propende per l'unilateralità configura
l'opposizione del debitore come un atto negoziale unilaterale avente una natura recettizia pari a quella della remissione
nota6 .
In relazione all'aspetto strutturale della figura in esame è prospettabile da un lato la distinzione tra remissione in senso proprio ed
accordo remissorio, connotato invece dalla
bilateralità (Cass. Civ. Sez. Lavoro,
2021/95 ), dall'altro quella tra remissione del debito e
rinunzia al credito, atto meramente abdicativo che potrebbe avere quale conseguenza quella del trasferimento del credito in capo ad un diverso soggetto. In realtà quest'ultima distinzione non sembra avere particolare fondamento: la natura abdicativa della remissione postula l'abbandono del diritto e la conseguente impossibilità di configurare una vicenda traslativa del medesimo in capo ad altro soggetto. Al più si potrebbe porre il problema dell'accrescimento, quando il diritto di credito fosse solidalmente spettante a più titolari.Il punto problematico, sul quale si infrangono i tentativi di ridurre la remissione ad una rinunzia abdicativa, consiste nella spiegazione di come sia possibile che il debitore eviti l'effetto estintivo del credito.Se la remissione corrispondesse ad una rinunzia abdicativa non si vede quale possibilità vi sarebbe per il soggetto passivo di evitare l'abbandono del diritto da parte del soggetto attivo
nota7 .
Da ultimo, proprio in relazione a questo profilo, va riferita una teorica in forza della quale si prospetterebbe una differenza tra remissione e rinunzia (al debito)
nota8 . La prima consentirebbe infatti al debitore di determinare la reviviscenza del credito.
La seconda, avente natura abdicativa, non potrebbe invece essere efficacemente impedita dalla volontà del soggetto passivo dell'obbligazione.
A questo proposito occorre osservare tuttavia che la legge sembra aver configurato la remissione come specifica modalità dell'atto di rinunzia quand'esso abbia ad oggetto un diritto di credito, conferendo al debitore il diritto di impedire la definitiva estinzione del medesimo. Qualora risultasse ammissibile configurare una rinunzia quale ulteriore modalità di estinzione del debito, verrebbe di fatto aggirato il sistema predisposto dal legislatore.
Il problema si riduce all'apprezzamento della remissione come specifica modalità, derogabile o meno, di estinzione del debito.In relazione a questo punto vi è chi ritiene che la remissione non valga ad identificare un atto specificamente e rigidamente predeterminato. Si tratterebbe di un
atto a struttura variabile nota9 : alcune volte unilaterale, altre volte bilaterale.
La remissione non sarebbe inoltre soggetta a particolari formalismi, potendo intervenire anche tacitamente. Sia l'elemento formale, sia quello causale della remissione saranno oggetto di esame apposito.
Con riferimento all'
oggetto, non può escludersi la possibilità di operare la remissione anche relativamente a debiti futuri ed eventuali (Cass. Civ. Sez. II,
1222/75 ). Il solo limite è quello di particolari divieti di legge
nota10 .
Quanto alla
prova della intervenuta remissione sono vigenti, ai sensi dell'art.
2726 cod. civ. il quale ne prevede l'estensione al pagamento ed alla remissione del debito, i limiti alla prova testimoniale previsti in tema di contratto dagli artt.
2721 e ss. cod.civ. (con particolare riferimento al limite del valore).
L'art.
1238 cod. civ. pone una regola indirettamente connessa al regime probatorio, disponendo che il semplice fatto della rinunzia alle garanzie del credito non determina l'insorgenza di una presunzione di liberazione del debitore
nota11 .
nota1
In tal senso Bianca, Diritto civile, vol. IV, Milano, 1998, p. 461.
top1Note
nota2
Barbero, Il sistema del diritto privato, Torino, 1993, p. 712; Maccarone, Delle obbligazioni, in Comm. cod. civ., dir. da De Martino, Roma, 1978, p. 243.
top2nota3
Analogamente Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 1996, p. 569. Viceversa Bianca, op. cit., p. 475 configura il rifiuto del debitore come un atto negoziale unilaterale recettizio, in forza del quale il debitore cancella retroattivamente l'effetto estintivo della remissione.
top3nota4
Tilocca, voce Remissione del debito, in N.sso Dig, it., vol. XV, 1968, p. 392; Allara, Le fattispecie estintive del rapporto obbligatorio, Torino, 1952, p. 250; Giacobbe-Guida, voce Remissione del debito (diritto vigente), in Enc. dir., vol. XXXIX, 1988, p. 772.
top4nota5
Gazzoni, op. cit., p. 569.
top5nota6
Così Allara, op. cit., p. 250; Bianca, op. cit., p. 475.
top6nota7
Barbero, op. cit., p. 712.
top7nota8
Moscarini, voce Rinunzia, in Enc. giur.Treccani, vol. XXVII, 1991, p. 3.
top8nota9
In questo senso Tilocca, op. cit., p. 398.
top9nota10
Analogamente Bianca, op. cit., p. 471.
top10nota11
Argiroffi, in Comm. cod. civ., dir. da Cendon, vol.IV, Padova, 1999, p. 233.
top11Bibliografia
- ALLARA, Le fattispecie estintive del rapporto obbligatorio, Torino, 1952
- ARGIROFFI, Padova, Comm.cod.civ., IV, 1999
- GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006
- GIACOBBE - GUIDA, Remissione del debito, Enc.dir., XXXIX, 1988
- MACCARONE, Delle obbligazioni (artt. 1218-1276), Roma, Comm.cod.civ. De Martino, 1978
- TILOCCA, Remissione del debito, N.sso Dig.it., XV, 1968