Nullità della clausola statutaria che preveda il deferimento delle controversie sociali ad arbitri nominati dalle parti, non conformemente ai requisiti di cui all’art. 34 del d.lgs. n. 5/2003. (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 15892 del 20 luglio 2011)

La norma dell'art. 34 del d.lgs. n. 5/2003, contempla l'unica ipotesi di clausola compromissoria che possa essere introdotta negli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell'art. 2325 bis c.c., restando escluso il ricorso in via alternativa od aggiuntiva alla clausola compromissoria di diritto comune prevista dall'art. 808 c.p.c.. Ne consegue che se, in violazione di tale prescrizione, l'atto costitutivo preveda invece una forma di clausola compromissoria che non rispetti i requisiti, in punto di nomina, degli arbitri indicati dalla norma speciale, la nullità di tale pattuizione comporta che la controversia societaria possa essere introdotta soltanto davanti all'autorità giudiziaria ordinaria.

Commento

(di Daniele Minussi)
Come è noto l'art.34 del D.Lgs. 5/2003, che ha introdotto la riforma del diritto societario, ha imposto che la nomina degli arbitri sia affidata ad un soggetto estraneo rispetto ai soci. Quali le conseguenze di aver introdotto nello statuto una clausola "di diritto comune"? (vale a dire conforme all'art.808 c.p.c., ma difforme rispetto al modello di cui al riferito art.34 D.Lgs. 2003 n.5).
Secondo la S.C. ne discende la nullità della clausola (non già dell'intero statuto), l'inoperatività tout court del procedimento arbitrale, con la correlativa devoluzione della controversia all'autorità giudiziaria nonchè la responsabilità disciplinare per il notaio rogante che, una volta chiarito nel senso riferito il dibattito apertosi in giurisprudenza, avesse a ricevere un verbale d'assemblea che approvasse uno statuto non conforme alle riferite conclusioni.

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