Massime commissioni civilistiche Triveneto - Rent to buy


1) ELEMENTI TIPOLOGICI

Il contratto di concessione in godimento in funzione della successiva alienazione (c.d. “rent to buy”) è un contratto tipico che, allo stato, deve ritenersi caratterizzato dai seguenti elementi:
  1. l'immediata concessione in godimento di un immobile;
  2. il diritto - e non l'obbligo - per il conduttore di acquistarlo alla scadenza del termine previsto;
  3. la determinazione della quota di canone imputabile a corrispettivo del godimento e della quota imputabile a corrispettivo del prezzo di acquisto, ai sensi e in funzione di quanto disposto dai commi 1 bis e 5 dell'art. 23d del D.L. 113/2014.

Si tratta di elementi concorrenti e non alternativi, mancando anche uno solo dei quali si avrà verosimilmente semplice riqualificazione della fattispecie negoziale, che potrà dar luogo a un diverso contratto tipico, ovvero a una combinazione di contratti tipici ovvero e ancora ad un contratto atipico.

La sussunzione in una fattispecie negoziale differente determinerà l'inapplicabilità della disciplina dettata per il contratto in esame e l'applicazione della disciplina del contratto in ragione della differente qualificazione.

Non determina, invece, riqualificazione del tipo la previsione di convenzioni accessorie, quali ad esempio la stipulazione per persona da nominare ovvero la cedibilità del contratto, trattandosi di accordi generalmente adattabili ad ogni contratto, senza mutamento della natura dello stesso.

L'espressa previsione normativa del contratto in esame e la sua dettagliata disciplina ne sanciscono la sua tipicità.

Secondo l'unanime parere allo stato reso dai primi commentatori, va esclusa qualsiasi assimilazione ad altre figure contrattuali, come invece potrebbe indurre a pensare il richiamo ad altre categorie. Anzi, proprio il rinvio plurimo ad altri istituti per la disciplina di alcuni aspetti, esclude l'accostabilità all'uno o all'altro tipo contrattuale già normato. Ciò val quanto dire che nel colmare le lacune della disciplina si dovrà far ricorso ai generali principi ermeneutici e non a questo o a quel tipo contrattuale già noto, se non nei limiti del loro espresso richiamo.

Di "nuova fattispecie contrattuale" parla testualmente anche l'unico arresto giurisprudenziale fino ad oggi esistente (ordinanza Trib. Verona, Sez. fall., 12 dicembre 2014 n. 95).

Sempre secondo l'opinione espressa dalla prima letteratura formatasi sul punto risulta prudente, allo stato, non distaccarsi dalla lettera della legge per l'elaborazione dello schema contrattuale.

Tra gli elementi che allo stato vengono ritenuti caratterizzanti vi sono quelli elencati ai punti 1), 2) e 3) della massima.

E' il comma 1) dell'art. 23 del D.L. 133/2014, convertito in legge 164/2014, ad offrire gli elementi definitori del tipo contrattuale in esame.

Il primo dato distintivo risulta essere quello della "immediata concessione del godimento di un immobile".

E' da ritenere peraltro che il concetto di immediatezza vada contestualizzato nella dinamica degli interessi che il contratto in esame è volto a soddisfare, in particolare quello del conduttore/futuro eventuale acquirente di poter godere anticipatamente del bene, e ciò sia per soddisfare sin da subito (o comunque il prima possibile) la propria esigenza detentiva sia per aver un periodo di "sperimentazione" dell'immobile che il conduttore si riserva di acquistare, onde attribuirgli un importante elemento ai fini del compimento della scelta.

Ciò che è dunque fondamentale è l'anticipazione del godimento rispetto all'eventuale futuro trasferimento.

In altre parole, l'inciso "immediata concessione del godimento" deve essere inteso come "anticipata concessione del godimento", rimanendo altrimenti precluse situazioni concrete che sarebbe irragionevole non far rientrare.

Si pensi all'ipotesi in cui il bene immobile non sia ancora ultimato oppure che sia attualmente occupato dallo stesso concedente o da terzi ma che a breve sia programmato il rilascio. Concludere che in tali situazioni si debba attendere l'immediata disponibilità per perfezionare il contratto frustrerebbe gli interessi di entrambe le parti e ciò senza apprezzabile ragione alcuna al di là della sterile ed acritica osservanza del mero dato letterale.

Inoltre (e soprattutto in punto di stretto diritto) opinare diversamente varrebbe a far assurgere alla consegna valenza costitutiva del contratto in parola, che avrebbe pertanto natura reale. La consegna del bene varrebbe cioè come elemento di perfezionamento (i.e. costitutivo) della fattispecie. Ebbene, poichè nel nostro ordinamento vige il principio consensualistico in forza del quale il contratto si forma per effetto dell'accordo dei paciscenti (artt. 1321, 1325 n. 1 e 1326-1342 cod. civ.) e i diritti si trasferiscono o si costituiscono per effetto del (solo) consenso (art. 1376 cod. civ.), le eccezioni devono intendersi di stretta interpretazione.

A tale conclusione (che anzi da ciò si dovrebbe prendere le mosse) si giunge anche attraverso il criterio ermeneutico offerto dall'art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, rubricato "Interpretazione della legge": laddove il significato della legge e l'intenzione del legislatore non siano univoci, allora bisogna aver riguardo anzitutto alle disposizioni che regolano materie analoghe o casi simili e in secondo luogo, ove permanga un dubbio, ai principi generali dell'ordinamento.

Per quanto si sia esordito invitando alla prudenza nell'accostamento a questo o a quel tipo contrattuale già noto, rimangono - avendo in particolare riguardo alle prestazioni delle parti - pur sempre evidenti le similitudini tra il rapporto che si instaura all'inizio per effetto del contratto in esame e il contratto di locazione, contratto quest'ultimo certamente non reale.

E se ancora permanessero dei dubbi, si è già visto come i principi generali dell'ordinamento (in particolare quello consensualistico) ci aiutino definitivamente nella nostra analisi.

Ciò finalmente assodato, deve pertanto ritenersi ammissibile l'apposizione di un termine iniziale alla concessione in godimento; purchè, evidentemente, permanga un apprezzabile iato temporale rispetto al momento in cui il conduttore potrà esercitare il suo diritto all'acquisto.

Si tratterà verosimilmente di un termine iniziale di efficacia dell'intero contratto, in quanto verrà differita anche la relativa prestazione sinallagmatica, cioè il pagamento del canone.

E' diffusa e condivisibile opinione che la concessione in godimento configuri un'ipotesi di diritto personale di natura obbligatoria e non reale, atteso l'espresso richiamo all'art. 2643 n. 8, che disciplina la trascrizione del contratto di locazione ultranovennale. Il che ha importanti riflessi sulla qualificazione in termini di detenzione e non di possesso, concetti invero spesso ritenuti sinonimi nella pratica ma che una corretta tecnica redazionale deve invece sapere usare in modo appropriato e ben distinto.

Sempre il comma 1) dell'articolo 23 in esame prevede che debba trattarsi della concessione in godimento di un immobile. Quindi, da un lato si devono escludere beni diversi, dall'altro si consente peraltro che il contratto in esame abbia ad oggetto qualunque immobile, a prescindere dalla destinazione (quindi non solo abitativo, ma anche residenziale, commerciale, industriale, eventualmente anche in corso di costruzione e finanche semplici terreni).

Quanto al diritto immediato oggetto di trasferimento, il comma 1-bis) dell'art. 23 cit. parla di trasferimento della "proprietà".

Si deve ritenere che tale indicazione non sia frutto di una precisa volontà volta ad escludere altri diritti, ma corollario dell'id quod plerumque accidit.

C'è peraltro da verificare in concreto a quali diritti reali minori potrebbe adattarsi la fattispecie contrattuale di cui si discute.

Deve serenamente ritenersi che ben possa adattarsi lo schema in parola alla finale alienazione della proprietà superficiaria, trattandosi in fondo sempre di proprietà (ancorchè limitata alla sola costruzione).

Maggior cautela invece va adottata per gli altri diritti reali c.d. minori.

Se la proprietà superficiaria non sembra porre problemi, a differenti conclusioni si ritiene di dover giungere per il diritto di superficie (inteso come diritto di costruire), difettando il presupposto della (immediata o comunque ragionevolmente anticipata) consegna materiale del bene, consegna che invece ben può esservi se il diritto in parola è costituto dall'usufrutto, anche se - pragmaticamente ragionando - appare difficile ravvisare un particolare interesse delle parti che porti a differire l'alienazione di un usufrutto, anticipandone l'effetto del godimento a titolo personale a mezzo del nuovo schema contrattuale.

Il diritto di uso e abitazione soffrono invece - ma già a livello genetico - dell'impossibilità giuridica di negoziazione in generale stante il lapidario disposto dell'art. 1024 cod. civ. (limite peraltro che la giurisprudenza ritiene superabile con il consenso del proprietario).

Trascurabile l'ipotesi dell'enfiteusi, se non altro perchè trattasi di istituto già di per sè pressochè abbandonato.

Perplessità sono state manifestate con riguardo alla nuda proprietà dando luogo ad una situazione che non consente il godimento, che rappresenta invece il primo, essenziale ed anticipato diritto che va riconosciuto al conduttore/acquirente. C'è da chiedersi invero se tale preclusione vada mantenuta nell'ipotesi in cui il conduttore sia già nel godimento del bene (in qualità ad esempio di locatario o usufruttuario) o lo divenga aliunde (per effetto di separato acquisto). Vero è che in tali ipotesi il conduttore vedrebbe soddisfatto comunque il proprio interesse ma è altrettanto vero che verrebbe ontologicamente minata alla base l'essenza binomica del negozio in parola dal quale autonomamente devono discendere sia la concessione in godimento che l'attribuzione del diritto di acquistare.

Sempre proseguendo nella disamina degli elementi qualificanti, il comma 1) attribuisce al conduttore il diritto di acquistare il bene entro un termine determinato.

Gli interpreti sono compatti nel ritenere che il prevedere in capo al conduttore anche l'obbligo dell'acquisto concretizzerebbe una figura contrattuale diversa dal rent to buy, con tutte le conseguenze di disciplina che ne discenderebbero.

C'è da chiedersi se il diritto del conduttore si fermi all'an in merito all'acquisto o anche al quando e cioè se, indicato un termine, questo valga come limite temporale massimo o come indicazione di data fissa.

La formulazione ("diritto di acquistarlo... entro un termine determinato") sembrerebbe indicare che il termine indicato possa essere anticipato ad nutum dal conduttore.

Tutttavia è da ritenersi che il quesito vada risolto alla luce del principio generale offerto dall'art. 1184 cod. civ. secondo il quale, in difetto di altra indicazione, il termine è posto nell'interesse del debitore. Nella nostra fattispecie creandosi un rapporto sinallagmatico, entrambe le parti assumono la veste di debitori (ancorchè evidentemente di prestazioni diverse, uno quello di trasferire, l'altro quello di corrispondere il saldo prezzo) e pertanto sembra più ragionevole concludere che, in assenza di altre indicazioni (che una buona tecnica redazionale dovrebbe comunque non farsi sfuggire), il termine deve intendersi posto a favore di entrambe le parti e quindi come data fissa.

Infine, il comma 1), parte prima dell'art. 23, postula la distinzione tra la parte del canone imputata a corrispettivo del godimento e la parte dello stesso imputata a prezzo.

Rifuggendo, come sopra si è anticipato, da assimilazioni a questa o a quella categoria contrattuale, non si può comunque non cogliere come il contratto in esame si distingua per la sua "doppia anima", caratteristica talmente pregnante da connotare la denominazione originaria con cui l'istituto era stato battezzato nella prassi.

La prestazione a carico del concedente è duplice: la prima immediata (recte: anticipata) ed essenziale, la seconda differita ed eventuale. La prestazione a carico del conduttore è invece sempre pecuniaria, ma sulla stessa si riflette inevitabilmente l'ambivalenza della prima, tanto che la dottrina, invero non senza qualche voce fuori dal coro, appare orientata nel ritenere caratteristica saliente e strutturale la doppia imputazione del canone.

Da taluni si sostiene che la mancata distinzione della duplice componente del canone, o meglio l'imputazione integrale a corrispettivo del godimento ovvero a corrispettivo del futuro (eventuale) trasferimento, determinerebbe nullità. Nullità che investirebbe non soltanto la clausola che indica il canone ma l'intero contratto, stante l'impossibilità di rideterminare le due componenti del canone (che il Legislatore ha rimesso alla libera contrattazione senza previsione di un meccanismo suppletivo per colmare l'eventuale lacuna convenzionale).

Parimenti si ritiene condurrebbe a tale nullità la previsione di un importo meramente simbolico di uno dei due componenti.

Tale conclusione non appare del tutto convincente.

Invero, mentre si può convenire che una mera indicazione quantitativamente simbolica di uno dei due componenti del canone porti alle medesime conseguenze della totale imputazione ad uno o all'altro dei componenti (in applicazione corretta dei principi della frode alla legge), a monte non si concorda con la sanzione di invalidità assoluta conseguente alla mancata distinzione. Invero, di tale nullità non vi è alcuna espressa previsione nè può rintracciarsi una norma imperativa contro la quale potrebbe asseritamente impattare tale mancata distinzione.

Ed allora, se si accoglie l'idea che l'indicazione dei due segmenti pecuniari del canone sia caratterizzante il tipo, dobbiamo piuttosto concludere che la sua assenza determini la fuoriuscita dal tipo stesso, con conseguente inapplicabilità della relativa disciplina, ed applicazione della differente disciplina in ragione della riqualificazione della fattispecie contrattuale, così come avverrebbe in ogni ipotesi in cui faccia difetto un elemento caratterizzante la fattispecie contrattuale in esame.

Ne discende, ad esempio che:
  • nell'ipotesi di previsione dell'obbligo anche a carico del conduttore di acquistare al termine previsto, saremmo di fronte ad un contratto misto di locazione con preliminare di compravendita. Conseguentemente, esso, rivestendo la forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata, sarà trascrivibile non ai sensi della novella ma ai sensi dell'art. 2645 bis, quindi con efficacia prenotativa necessariamente limitata ad un periodo triennale; nel caso di termine ultranovennale la trascrizione avverrebbe altresì ai sensi dell'art. 2643 n. 8 cod. civ., ma all'evidenza con effetti diversi da quelli ricollegabili alle fattispecie traslative o in funzione traslativa di diritti reali, dando luogo il contratto di locazione ad un diritto personale di godimento;
  • nell'ipotesi in cui l'intero corrispettivo venga imputato a prezzo giammai si potrebbe parlare di nullità, ma saremmo di fronte ad un preliminare (unilaterale se l'obbligazione di trasferimento faccia capo al solo "concedente") ad effetti anticipati (quelli della consegna). Anche in questo caso l'efficacia prenotativa ne verrebbe di conseguenza limitata temporalmente;
  • parimenti limitata ai tre anni sarebbe la trascrizione di un contratto che non preveda l'immediata (recte: anticipata) concessione in godimento dell'immobile.

Non determina invece riqualificazione la previsione di pattuizioni accessorie che la prassi ben conosce, quali la riserva di nomina in sede di acquisto ovvero la cedibilità del contratto, proprio in ragione della loro natura accessoria e come tale non comportante mutamento del negozio principale cui accedono.

2) AUTONOMIA PRIVATA ED IMPUTAZIONE DI QUOTA PARTE DEI CANONI A CORRISPETTIVO DEL TRASFERIMENTO

In difetto di indicazione della quota parte dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà, si ritiene che l'intera parte imputata a corrispettivo del prezzo di acquisto debba essere restituita al conduttore.

Ferma restando la necessaria indicazione delle due componenti del canone, quantomeno ai fini fiscali, si ritiene che, nel rispetto dell'autonomia contrattuale comunque riconosciuta alle parti, deve reputarsi possibile prevedere che, nell'ipotesi di esercizio del diritto di acquisto, l'intero canone versato venga computato quale acconto del prezzo.

A presidio sostanziale del diritto del conduttore di acquistare o meno l'immobile, si suggerisce prudenza nel ricevere clausole che prevedano, per l'ipotesi in cui il conduttore decida legittimamente di non acquistare, l'incameramento di tutto il canone versato.

Il comma 1 bis dell'art. 23 del D.L. 133/2014, convertito in legge n. 164/2014, dispone che le parti definiscono in sede contrattuale la quota dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire in caso di mancato esercizio del diritto di acquistare la proprietà dell'immobile entro il termine stabilito.

Molteplici le domande che il comma astrattamente può sollevare, tra le quali:
  1. tale previsione deve, al pari di altri elementi, ritenersi caratterizzante il tipo contrattuale in oggetto?
  2. in caso negativo, qual è la sorte della parte dei canoni imputata a corrispettivo, e cioè la stessa va integralmente restituita ovvero può essere, e in che misura e a che titolo, trattenuta dal concedente?
  3. è possibile prevedere che l'intero canone versato venga scomputato dal prezzo da versare in caso di esercizio del diritto di acquisto?
  4. infine, è possibile convenire che l'intera somma versata venga definitivamente trattenuta dal concedente in caso di mancato esercizio del diritto di acquisto da parte del conduttore?

Come detto sopra, possiamo ritenere che gli elementi definitori del contratto in esame siano esclusivamente quelli dettati nel comma 1), parte prima, dell'art. 23; il comma 1 bis) invero, lungi dal tratteggiare un elemento caratterizzante, attribuisce all'autonomia privata la possibilità di regolamentare la sorte della quota parte originariamente imputata a corrispettivo.

Nell'indagine in oggetto, può essere utile evidenziare come il Legislatore si sia occupato della sorte della parte del canone imputata a corrispettivo del trasferimento sia nel comma in esame sia nel comma 5), parte seconda ma con presupposti, valenza ed effetti diversi.

Il comma 1 bis) contempla la fisiologica ipotesi del legittimo mancato esercizio del diritto di acquistare: qui il Legislatore avverte chi è chiamato a ricevere il relativo atto a regolamentare opportunamente tale ipotesi. Ha valenza pertanto esortativa.

Il comma 5, parte seconda, si occupa dell'ipotesi patologica della risoluzione per l'inadempimento del conduttore. L'inciso finale "se non è stato diversamente convenuto nel contratto" lascia chiaramente intendere la valenza suppletiva del precetto.

Dunque, il comma 5) è chiaro nel regolamentare la sorte della quota parte del canone imputata a corrispettivo del trasferimento, così come è chiaro che le parti ben possono stabilire diversamente. Nel silenzio, l'intera quota parte potrà essere trattenuta dal concedente. Poichè tale diritto è corollario dell'inadempimento del concedente, il trattenimento della somma assume la valenza di penale ex lege non preventivamente determinata ma determinabile a posteriori.

Il comma 1 bis) solleva invece, come visto, maggiori dubbi. Mentre possiamo concludere con tranquillità che la mancata regolamentazione non determini nè modificazione del tipo nè nullità del contratto non trattandosi di elemento definitorio nè di precetto imperativo, contrastata è la posizione degli interpreti sul destino della quota parte del canone non imputata a godimento.

Una posizione autorevole sostiene che la stessa spetti al concedente, a ristoro della perdita di chance, cioè di altre possibilità di vendere a terzi durante il periodo di vigenza del contratto. Ci si domanda allora: a che titolo può il concedente definitivamente trattenere tale quota parte del canone?

Non certo a titolo di penale postulando questa un inadempimento che invece nel caso di specie difetta, perchè legittimamente il conduttore può non esercitare il diritto di acquistare.

Si potrebbe allora invocare l'istituto dell'indennità. Tuttavia l'indennità - quale ristoro di un danno non illegittimamente subito - deve ritenersi dovuta solo laddove espressamente prevista. Ciò discende più che dall'art. 1173 cod. civ. (che se da un lato lascia aperte le fonti delle obbligazioni, dall'altro ci dice comunque che esse devono trovare conformità nell'ordinamento giuridico) dall'art. 2042 cod. civ., norma che - definendo l'azione per arricchimento senza causa espressamente sussidiaria - postula la tipicità delle azioni volte al ristoro dei danni patiti.

Potrebbe allora venire, da ultimo, in soccorso proprio l'istituto dell'arricchimento senza causa, per invocare il quale non basta però aver subito un danno: occorre il concorso anche di altri due fattori: 1) l'arricchimento dell'altra parte 2) e che questo arricchimento non abbia una sua causa.

In una "normale" contrattazione il conduttore non può dirsi arricchito perchè ha pagato comunque la quota parte dovuta quale corrispettivo per il godimento.

Se poi per avventura le parti si sono risolte per uno sbilanciamento a favore del conduttore prevedendo una quota parte per il godimento sensibilmente inferiore a quella che avrebbero indicato nel caso di stipulazione di un semplice contratto di locazione, comunque l'arricchimento del conduttore non è privo di causa, essendo questa da rinvenire nella pattuizione liberamente raggiunta dalle parti.

Dunque, bisogna concludere che nel silenzio del contratto, la parte del corrispettivo imputata al trasferimento futuro deve essere restituita al conduttore.

Tale conclusione trova ulteriore conferma nell'iniquità del disciplinare in ugual modo la situazione che vede il conduttore adempiente (e legittimamente non esercitante il diritto di acquisto) da quella che postula invece l'inadempimento dello stesso.

Venendo al terzo quesito - e cioè se sia possibile prevedere sin dall'inizio che l'intero canone versato venga scomputato dal prezzo di acquisto - si ritiene di dare risposta affermativa e ciò sulla scorta del principio di autonomia contrattuale scolpito nell'art. 1322 cod. civ. a mente del quale "Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto...".

Peraltro, tale autonomia non è assoluta dovendo arrestarsi di fronte ai "limiti imposti dalla legge" come insegna la seconda parte del primo comma dell'art. 1322 cod. civ..

C'è da chiedersi allora se e in che misura la previsione del comma 1 dell'art. 23 del D.L. in parola, laddove dispone l'imputazione al corrispettivo del trasferimento di "parte di canone", configuri un limite all'autonomia contrattuale.

In tale opera di analisi non possiamo lasciare in oblio l'humus che ha determinato l'intervento del Legislatore: consentire la circolazione immobiliare anche in assenza di istituti di credito disposti a finanziarne l'acquisto. Si tratta di un interesse generale ma con riflessi concreti e significativi sull'interesse di entrambe le parti: se tutti vengono sostanzialmente rispettati non vi è motivo per porre dei limiti.

Prevedere che in caso di acquisto l'intero canone sia computato a corrispettivo non pare violare gli interessi in gioco: anzi dal punto di vista del conduttore rappresenta un incentivo all'acquisto e quindi soddisfa anche l'interesse generale alla circolazione. Il concedente proprietario dal canto suo ha a sua volta interesse a rendere il più appetibile possibile l'acquisto.

A differenti conclusioni dovremmo invece giungere se, nell'esempio diametralmente opposto, si preveda che nessuna parte del canone vada scomputata dal prezzo di acquisto: in questo caso non si creerebbe alcun incentivo all'acquisto e il Legislatore si sarebbe scomodato a dettare una così elaborata disciplina laddove sarebbe stato sufficiente prevedere l'aggiunta di un semplice diritto di opzione al già normato contratto di locazione.

In quest'ottica dunque, il comma 1 dell'art. 23 va letto nel senso che "almeno" una parte del canone corrisposto va scomputato dal prezzo della (eventuale) vendita e solo in quest'ottica detta previsione costituisce dunque un limite non valicabile.

Maggiori perplessità solleva invece il quarto quesito e cioè se sia possibile ritenere che tutto il canone venga trattenuto dal concedente qualora il conduttore legittimamente decida di non esercitare il diritto di acquistare.

In senso positivo si potrebbe invocare nuovamente il principio di autonomia contrattuale. Tuttavia non si può disconoscere come una tale previsione possa sostanzialmente pregiudicare la libertà del conduttore di valutare se acquistare oppure no il bene immobile.

E se tale diritto costituisce un elemento saliente della figura in esame, sembra si debba rifuggire da quelle articolazioni contrattuali che di fatto lo sviliscano.

C'è infine da chiedersi, accolto tale ragionamento, quale sia la sorte della clausola (ovvero del contratto che la contiene) che invece proprio ciò preveda.

Da un lato si potrebbe anche qui ipotizzare una riqualificazione del tipo, ma il principio di conservazione del contratto - che può ricavarsi da una lettura più ampia degli artt. 1367 e 1424 cod. civ. - potrebbe far propendere per la nullità della clausola, dichiarata la quale ci troveremmo nell'ipotesi sopra esaminata di mancata regolamentazione pattizia della quota del canone da imputare a corrispettivo, con la conseguenza che tutta tale quota andrà restituita al conduttore.

3) AMBITO DI APPLICAZIONE DEL DIVIETO EX ART. 8 D.LGS. 122/2005

Il divieto di cui all'art. 8 del D. Lgs. 122/2005, espressamente richiamato dal quarto comma dell'art. 23, oltre che limitato alla sola ipotesi in cui l'immobile è un'abitazione (per espressa indicazione della norma in esame) deve altresì intendersi operante negli stessi ambiti e con gli stessi presupposti previsti dalla normativa a cui si fa espresso rinvio.

Pertanto esso opera nei seguenti alternativi casi:
  1. allorquando il contratto di concessione in godimento sia stato preceduto da un contratto preliminare stipulato quando l'immobile era in corso di costruzione;
  2. nel caso di preliminare (perfezionato quando l'immobile era ancora in corso di costruzione) con il quale le parti si siano impegnate proprio alla stipula di un contratto di godimento in funzione della successiva alienazione;
  3. nel caso di contratto di godimento in funzione della successiva alienazione avente ad oggetto un edificio ancora in corso di costruzione.

Devono inoltre concorrere i seguenti presupposti:
  1. che il venditore sia qualificabile come costruttore secondo la definizione offerta dall'art. 1, punto b), del D.Lgs 122/2005;
  2. che il conduttore sia qualificabile come persona fisica secondo la defizione offerta dall'art. 1, punto a) del D.Lgs 122/2005;
  3. che l'immobile sia un'abitazione.

E' comunque quanto mai opportuno, nell'ottica di tutela del conduttore all'acquisto dell'immobile libero da formalità pregiudizievoli, che in ogni caso prima di perfezionare il contratto in oggetto si proceda al frazionamento del mutuo e si verifichi che il debito residuo non sia superiore a quello che sarà il saldo prezzo da corrispondere in sede di trasferimento ovvero che si assicuri, attraverso un accollo interno o una delegazione di pagamento, che i canoni da pagare vadano a scomputare il debito nei confronti dell'istituto garantito dall'ipoteca.

Come è stato efficacemente rilevato dalla dottrina, l'art. 23, comma 4, invero può legittimare due distinte interpretazioni:
i) si potrebbe ritenere che il richiamo all'art. 8 D.Lgs 122/2005 debba interpretarsi come estensione dell'impedimento alla stipula contenuto in detta norma a tutti indistintamente i contratti di godimento in funzione della successiva alienazione che abbiano ad oggetto un'abitazione gravata da ipoteca o pignoramento a prescindere dal fatto che sussistano o meno i presupposti soggettivi ed oggettivi di applicazione del D.Lgs 122/2005;
ii) si potrebbe, invece, ritenere che la norma si limiti a stabilire che ogniqualvolta torni applicabile la disciplina di cui all'art. 8 cit. (e quindi al ricorrere dei relativi presupposti oggettivi e soggettivi), l'impedimento posto a carico del notaio trova applicazione sin dal momento della stipula del contratto di godimento e non solo al momento di stipula del successivo atto traslativo.

Milita a favore della prima interpretazione la considerazione che il contratto in esame, presupponendo l'immediata concessione in godimento del bene oggetto dello stesso, è destinato a regolamentare fattispecie dove l'immobile è già fruibile e quindi già agibile.

Sembra tuttavia preferibile la seconda interpretazione, avallata dalla modalità di introduzione della norma in esame, non per regolamentazione piena e diretta, ma per rinvio ad altra norma, rinvio che non può che essere fatto per intero e quindi anche a tutti i suoi presupposti oggettivi e soggettivi.

La formulazione del comma in esame è essa stessa poi conferma della bontà di tale conclusione. Essa infatti non dice semplicemente che si applica il divieto di stipula di cui all'art. 8 D.Lgs 122/2005, ma che lo stesso trova applicazione "fin dalla concessione in godimento". Pertanto, la norma non crea un nuovo divieto, ma si limita, testualmente, ad imporre l'anticipata applicazione temporale dello stesso.

A tacer del fatto poi che l'accoglimento della prima soluzione limiterebbe drasticamente il ricorso al contratto in esame, stante la circostanza che, secondo l'id quod plerumque accidit, la possibilità di estinguere il mutuo a garanzia del quale viene ipotecato l'immobile è data dall'incasso del saldo.

Peraltro è bene che il notaio, nel doveroso compito di salvaguardare gli interessi di tutte le parti e ad evitare una possibile contestazione sotto il profilo civilistico risarcitorio:
  1. avverta le parti sulla assoluta opportunità di procedere al preventivo frazionamento dell'ipoteca;
  2. inviti le parti ad assicurarsi che il saldo prezzo sia sufficiente a coprire la parte residua del debito risultante dal frazionamento;
  3. ovvero, e per l'ipotesi di incapienza del saldo, provveda ad attuare meccanismi negoziali che canalizzino il canone - in tutto o per la parte sufficiente allo scopo - alla riduzione dell'esposizione a garanzia della quale è stata iscritta ipoteca.

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{{Massime commissioni civilistiche Triveneto - Acquisti mortis causa e trascrizione}}

1. Il Notaio, considerato che fintantochè il chiamato all'eredità (o il legatario) non proceda alla trascrizione dell'acquisto mortis causa ai sensi dell’art. 2648 c.c., le successive trascrizioni o iscrizioni a suo carico non producono alcun effetto, giusta quanto disposto dall'art. 2650 c.c., dovrà invitare il beneficiario, che intervenga ad un atto destinato a produrre effetti nei confronti di terzi (ad es. in occasione della vendita a terzi di un immobile di provenienza successoria), a perfezionare la procedura del suo acquisto mortis causa, mediante la trascrizione dello stesso; tale adempimento è posto nell’interesse generale, di affidabilità e completezza dell’intero sistema dei RR.II. (art. 2650c.c) e di sicurezza dei traffici (in relazione al disposto dell’art. 534 c.c.), e quindi non può essere omesso; pertanto il Notaio, nella sua veste di pubblico ufficiale e tutore della legalità, deve garantire che tale adempimento sia eseguito, ogni qualvolta sia richiesto il suo ministero. In conseguenza di ciò:

i) nel caso in cui al Notaio sia richiesto di pubblicare testamenti olografi o pubblici, dovrà invitare gli eredi istituiti in detti testamenti a definire (se possibile, contestualmente alla pubblicazione del testamento, anche per questioni di contenimento dei costi) la loro posizione in ordine alla successione apertasi:
- o perfezionando il loro acquisto a causa di morte mediante l’accettazione di eredità, espressa pura e semplice o con beneficio di inventario (da trascrivere a cura del Notaio)
- o rinunciando all’eredità (per la quale non è invece richiesta la trascrizione)
Nel caso di testamenti contenenti legati immobiliari, il Notaio che ha proceduto alla loro pubblicazione, è tenuto, invece, a curarne la trascrizione, ai sensi dell'art. 2648 c.c.; a tal riguardo si osserva che ai fini della “stabilità” della trascrizione è opportuno, nel caso in cui il legatario sia presente alla pubblicazione del testamento, far dichiarare espressamente a quest’ultimo la propria volontà di non rifiutare l’acquisto; se il legatario non è presente alla pubblicazione va, comunque curata la trascrizione del legato a suo favore, salvo poi procedere all’annotamento di risoluzione in caso di rifiuto;
ii) il Notaio richiesto di stipulare un atto, avente per oggetto immobili di diretta provenienza successoria, che comporti accettazione tacita di eredità, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 476 c.c, qualora non trovi già trascritta una precedente accettazione espressa o tacita, è tenuto anche a curare la trascrizione dell'intervenuta accettazione di eredità in ottemperanza al disposto dell’art. 2648 c.c., come precisato ai successivi punti 3, 6 e 8; in particolare si richiama quanto esposto al successivo punto 8 per il caso in cui il Notaio trovasse effettuata una trascrizione di accettazione di eredità relativamente al medesimo defunto ma su altri beni, diversi rispetto a quelli oggetto del proprio atto .

2. L’atto con cui si dispone di un bene di provenienza successoria costituisce il “veicolo”, il presupposto giuridico, per poter procedere alla trascrizione dell’acquisto mortis causa.

Non deve necessariamente trattarsi dell’atto con cui il soggetto acquista la qualità di erede. Può essere che l’atto da trascrivere venga posto in essere da soggetto che già abbia acquisito la qualità di erede (ex art. 485 c.c. o per effetto di un atto dispositivo di beni mobili), senza che ciò faccia venir meno l’idoneità dell’atto stesso a costituire titolo per la trascrizione dell’accettazione tacita.

Da ciò consegue:
  • che è possibile procedere alla trascrizione dell’accettazione tacita sulla base di un atto che non sia il primo atto con il quale l’erede ha disposto di beni di provenienza successoria (sia mobili che immobili, ed in presenza o meno di precedenti trascrizioni);
  • che è possibile procedere alla trascrizione dell’accettazione tacita sulla base di un atto posto in essere dopo che siano decorsi 10 anni dall’apertura della successione in quanto non è detto che si sia verificata rispetto al soggetto la prescrizione (se questi, ad es., aveva già acquisito la qualità di erede ex art. 485 c.c.); inoltre al riguardo si è osservato che alla prescrizione si può rinunciare (art. 2937 c.c.) e che la prescrizione non può essere rilevata d'ufficio dal giudice (art. 2938 c.c.); inoltre in giurisprudenza si è affermato che il chiamato all'eredità può acquistare la qualità di erede, a seguito di accettazione espressa o tacita di eredità, anche dopo il decorso del termine di cui all'art. 480 c.c. quando nessuno degli interessati eccepisca l'estinzione per prescrizione del diritto di accettare;
  • che è possibile procedere alla trascrizione ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 2648 e 2650 c.c. anche nel caso di atto che importi accettazione tacita di eredità nel quale intervenga, tramite il legale rappresentante debitamente autorizzato, un soggetto incapace; in tal caso, infatti, la trascrizione dell’acquisto mortis causa prescinde da una manifestazione di volontà dell’erede e pertanto non rileva la sua incapacità. Detta trascrizione può - e deve - essere effettuata sia nel caso in cui sia stata precedentemente effettuata l’accettazione con beneficio d’inventario (nel caso in cui questa sia stata effettuata solo ai sensi dell'art. 484 c.c., v. infra al punto 4), sia nel caso in cui la dichiarazione legale dello stato di incapacità sia intervenuta dopo l’apertura della successione e l’acquisto della qualità di erede si sia verificato prima della dichiarazione legale di incapacità, ad esempio ex art. 485 c.c.

3. Per la trascrizione dell’accettazione di eredità (espressa o tacita) non è necessario che i dati degli immobili siano indicati nel titolo in base al quale si chiede detta trascrizione. E’ invece necessario che detti dati siano riportati nella nota. Ciò lo si ricava dal confronto tra l’art. 2659 n. 4 c.c. (nota di trascrizione atti tra vivi) che parla di “beni cui si riferisce il titolo” e l’art. 2660 n. 5) c.c. (nota di trascrizione acquisti a causa di morte) nel quale invece non si fa alcun riferimento al titolo. Ne consegue che può chiedersi la trascrizione dell’accettazione tacita di eredità, inserendo in nota tutti gli immobili oggetto di successione, anche se il titolo (ad es. l’atto di vendita di alcuni immobili) riguardi solo parte degli immobili ereditati, fermo restando che grava sul Notaio l’obbligo di curare la trascrizione dell’accettazione tacita di eredità solo con riguardo ai beni oggetto dell’atto dallo stesso ricevuto (solo se espressamente incaricato dall’interessato, il Notaio sarà tenuto ad integrare la nota di trascrizione dell’accettazione tacita di eredità con i dati anche degli altri immobili caduti in successione, fermo restando che dovrà essere cura dell’interessato fornire tutti i dati a tal fine necessari)

4. Nel caso di accettazione di eredità con beneficio di inventario è necessario procedere ad una doppia trascrizione:
  • alla trascrizione prescritta dall’art. 484 per le finalità di cui all’art. 495 c.c. (trascrizione da effettuarsi presso la Conservatoria dei RR.II. ove si è aperta la successione anche in assenza di immobili e senza dover indicare gli immobili in nota)
  • alla trascrizione prescritta dall’art. 2648 c.c. per le finalità di cui agli artt. 2650 e 534 c.c.; trascrizione da effettuarsi presso la Conservatoria dei RR.II. ove si trovano gli immobili e riportando in nota i dati catastali identificativi degli immobili medesimi.

Può essere sufficiente un'unica trascrizione (da valersi sia ai sensi dell’art. 484 che dell’art. 2648 c.c.) qualora:
  • vi sia coincidenza di Conservatoria dei RR.II. (ossia gli immobili si trovino nel luogo ove si è aperta la successione);
  • nella nota siano riportati i dati identificativi degli immobili.

Pertanto in caso di coincidenza della Conservatoria dei RR.II dovrà essere cura del Notaio inserire comunque in nota i dati identificativi degli immobili, cosicchè la trascrizione possa valere sia agli effetti di cui all’art. 484 c.c. che dell’art. 2648 c.c.

5. In caso di atto dispositivo di beni di provenienza successoria, qualora siano decorsi più di 20 anni dalla apertura della successione, l’acquirente potrebbe far valere la maturata usucapione (unendo il proprio possesso a quello dell’erede proprio dante causa), purchè si siano verificate tutte le condizioni cui è subordinata l’usucapione stessa. Vero è che la sentenza che accerti la eventuale maturata usucapione deve essere trascritta (art. 2651 c.c.), ma si tratta in questo caso di mera pubblicità notizia, che non è richiesta né agli effetti di cui all’art. 2644 c.c. né agli effetti di cui all’art. 2650 c.c.

Al riguardo si consiglia, come regola operativa, di procedere, comunque, alla trascrizione dell’accettazione tacita di eredità anche decorsi 20 anni dall’apertura della successione (se provenienza diretta), poiché non sempre è possibile avere la certezza circa l’insussistenza di eventuali cause di sospensione o interruzione dei termini dell’usucapione ovvero circa l’insussistenza di parenti a seguito di filiazione fuori dal matrimonio (es. fratelli, cugini, nipoti ex fratre) o di figli nati fuori dal matrimonio (si vedano gli artt. 74 e 258 c.c. dopo la l. 219/2012), i quali, esperita l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità/maternità, siano ancora in termini per l’accettazione di eredità e per il conseguente esperimento dell’azione di petizione d’eredità; secondo un orientamento giurisprudenziale (Cass. 11/2424; Cass. 12/14917), infatti, l’erede apparente non potrebbe opporre di avere usucapito i beni ereditari nel periodo precedente all'esperimento dell'azione di dichiarazione giudiziale di paternità/maternità, quanto meno nei casi in cui questa non comporti il venir meno del titolo di acquisto dei beni da parte dell'erede apparente, ma determini solo una riduzione quantitativa del suo acquisto.

Tali considerazioni sembrano valere anche con riferimento a successioni apertesi prima della riforma che ha introdotto l’unicità dello stato di filiazione, stante quanto disposto dall’art. 104 del D.lgs. 154/2013, emanato in attuazione della delega contenuta nella l. 219/2012, norma transitoria di discussa interpretazione.

6. Il Notaio è tenuto a curare la trascrizione dell’accettazione tacita di eredità solo se tale trascrizione può fondarsi sull’atto dallo stesso ricevuto. Pertanto il Notaio, chiamato a stipulare un atto avente per oggetto immobili non di diretta provenienza successoria ma per i quali nel ventennio sia intervenuto un precedente acquisto a causa di morte non trascritto, non sarà tenuto a curare la trascrizione dell’accettazione tacita mancante. Egli comunque, in adempimento dei suoi doveri professionali, dovrà informare le parti circa le conseguenze derivanti dalla mancanza della continuità delle trascrizioni, e circa l'opportunità di procedere alle trascrizioni mancanti. Si consiglia, come regola operativa, di informare le parti circa l’opportunità di procedere, comunque, alla trascrizione dell’accettazione tacita di eredità in base a titolo intermedio, anche qualora siano decorsi più di 10 anni dalla trascrizione del titolo intermedio suddetto e ciò per gli stessi motivi e con le stesse cautele di cui al precedente punto 5, anche in considerazione del fatto che il requisito della buona fede richiesto dall’art. 1159 c.c. è di assai difficile riscontro documentale.

7. Con riguardo alla fattispecie di cui all’art. 479 c.c. (trasmissione del diritto di accettare l’eredità di Tizio, defunto, a favore degli eredi di Caio, primo chiamato all’eredità di Tizio a sua volta deceduto senza accettare), verificandosi l’accettazione tacita, a seguito di atto posto in essere dagli eredi di Caio ed avente per oggetto immobili già di proprietà di Tizio, unitamente alla nota di trascrizione (che sarà a carico del defunto Tizio ed a favore degli eredi del primo chiamato all’eredità Caio), dovrà essere presentato documento comprovante la morte del primo chiamato Caio e nella nota medesima dovrà essere fatta menzione della morte del primo chiamato Caio e della trasmissione del diritto di accettare ai propri eredi (a favore dei quali avviene la trascrizione dell’acquisto mortis causa), il tutto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2662 c.c.

Sempre in relazione a quanto disposto dall’art. 2662 c.c., anche in caso di rinuncia all’eredità (con conseguente subentro nel diritto di accettare l’eredità di Tizio, defunto, a favore di Caio, chiamato all’eredità in luogo del rinunciante Sempronio primo chiamato all’eredità di Tizio) verificatasi l’accettazione tacita, a seguito di atto posto in essere da Caio ed avente per oggetto immobili già di proprietà di Tizio, unitamente alla nota di trascrizione (che sarà a carico del defunto Tizio ed a favore di Caio), dovrà essere presentato il documento comprovante la rinuncia di Sempronio (copia autentica dell’atto notarile di rinuncia o della dichiarazione ricevuta dal Cancelliere del Tribunale) e nella nota medesima dovrà essere fatta menzione della rinuncia di eredità di Sempronio.

Gli stessi adempimenti vanno osservati anche nel caso di devoluzione ereditaria per rappresentazione (a seguito della morte o della rinuncia dell’ascendente nei cui confronti opera la rappresentazione)

8. E’ opinione prevalente in dottrina che la trascrizione dell’acquisto mortis causa ha effetto solo con riguardo ai beni che siano espressamente indicati in nota; si è osservato al riguardo che, sul piano pubblicitario, la successione ereditaria va considerata in modo atomistico, con la conseguenza che trascritto l’acquisto con riferimento a certi beni ereditari, la trascrizione non può dirsi effettuata rispetto a quelli non indicati in nota; in pratica debbono essere tenute distinte le regole di diritto sostanziale (in base alle quali l’accettazione di eredità non può che riguardare l’intera eredità) da quelle del sistema pubblicitario, che operano su di un piano diverso ( in relazione ai singoli beni, arg. ex artt. 1543 e 2556 c.c.).

Non è mancato in dottrina chi, invece, ha ritenuto che se si procede alla trascrizione con indicazione nella nota di trascrizione di un solo bene, l'accettazione non può che valere per tutti i beni ereditati: l’accettazione di eredità, si osserva, non può che riguardare tutti i beni attribuiti all'erede, posto che non sono ammesse accettazioni parziali (art. 475, c.3, c.c.). Inoltre nel nostro ordinamento (con esclusione delle Regioni soggette al tavolare) il sistema pubblicitario è basato su base personale, per cui una volta trascritta l’accettazione di eredità la stessa non può che riguardare l’intero patrimonio dell’accettante, indipendentemente dal fatto che in nota siano riportati tutti i singoli beni ereditari.

Entrambe le tesi sono degne di attenzione; sul punto, peraltro, non si è ancora pronunciata la giurisprudenza.

Al riguardo si consiglia di seguire, come regola operativa, quella suggerita dalla dottrina maggioritaria, quantomeno a fini prudenziali. Pertanto, se il notaio riceve un atto comportante accettazione tacita di eredità, si suggerisce di esporre al cliente, le due alternative:
  • o eseguire la trascrizione dell’accettazione tacita di eredità con riguardo ai soli beni oggetto dell’atto di negoziazione, avvertendolo, peraltro, che in caso di negoziazione di altri e diversi beni provenienti dalla medesima successione, si dovrà procedere a nuova trascrizione dell’accettazione tacita di eredità anche con riguardo a questi ultimi beni, ciò al fine di attivare la specifica tutela ex art. 534 c.c.;
  • o eseguire la trascrizione dell’accettazione tacita di eredità con riguardo a tutti i beni caduti in successione (o quanto meno di tutti quelli ricompresi nell’ambito della medesima Conservatoria dei RR.II.), così da evitare in futuro nuove ed ulteriori trascrizioni di accettazione tacita di eredità (ed i relativi ulteriori costi); il Notaio procederà, in tal caso, alla trascrizione utilizzando i dati che gli verranno forniti dal cliente (ad es. i dati ricavabili dalla dichiarazione di successione); in quest’ultimo caso sarà opportuno che il Notaio si faccia sollevare dal cliente da qualsiasi responsabilità per il caso di inesattezze od omissioni nei dati forniti; il cliente potrà, altrimenti, conferire al Notaio l’incarico di eseguire tutti gli accertamenti del caso per eseguire una completa e corretta trascrizione dell’accettazione tacita di eredità; ovviamente il compenso spettante al Notaio varierà in base al tipo di incarico conferito.

9. Non integrano casi di trascrizione di acquisto mortis causa (e quindi non escludono l’obbligo di procedere successivamente alla esecuzione della trascrizione di un’accettazione tacita di eredità) le seguenti fattispecie:

i) la trascrizione del verbale di pubblicazione del testamento (trascrizione che il codice previgente prevedeva come obbligatoria, ma non più prescritta, invece, dal codice vigente e che a rigore dovrebbe, pertanto, essere rifiutata)
ii) la trascrizione dell’acquiescenza alle disposizioni testamentarie (con rinuncia all’azione di riduzione), in quanto tale (che pure essa, non comportando né acquisto mortis causa né disposizione di diritto, dovrebbe essere, a rigore, rifiutata).

L’acquiescenza pura e semplice da parte di legittimario leso può importare, peraltro, accettazione tacita di eredità; in questo caso si dovrà procedere alla trascrizione dell’accettazione tacita ex art. 2648, terzo comma, c.c.

E’ consigliabile accompagnare la rinuncia all’azione di riduzione da parte del legittimario leso a dichiarazione di accettazione espressa e procedere alla trascrizione relativa.

10. L'art. 29, comma 1 bis, legge 27 febbraio 1985, n. 52, introdotto dall'art. 19, comma 14 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con la legge 30 luglio 2010 n. 122, nel richiedere al Notaio, prima della stipula degli atti ivi previsti, di individuare gli intestatari catastali e verificare la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari, non ha posto in capo al Notaio anche l'obbligo di regolarizzare la situazione dei registri immobiliari, verificando il rispetto della continuità delle trascrizioni (art. 2650 c.c.). La finalità della norma, come risulta dalla stessa rubrica dell'art. 19 del D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con la legge 30 luglio 2010 n. 122, è l'aggiornamento del catasto, previsto dalla legge come misura volta al contrasto all'evasione fiscale e contributiva ed il suo allineamento con i RR.II., ai fini dell’istituzione dell’”Anagrafe Immobiliare Integrata” e del rilascio della attestazione integrata ipotecario-catastale, che deve riportare i dati e le informazioni desumibili da entrambi i registri immobiliari. Si tratta di una finalità quindi fiscale. Del resto, se la finalità della normativa introdotta fosse stata anche quella di regolarizzare i registri immobiliari, non si spiegherebbe perchè ciò dovrebbe essere attuato solo con riguardo ai fabbricati, visto che la norma non fa riferimento agli atti aventi ad oggetto terreni. Pertanto, considerata la finalità preminentemente fiscale che la norma intende perseguire, il principio della conformità degli intestatari catastali con le risultanze dei registri immobiliari di cui al comma 1 bis dell'art. 29 della L. 27/2/1985, n. 52, introdotto dall'art. 19, comma 14 del D.L. 31/5/2010 n. 78, è verificato quando gli intestatari catastali corrispondono con i chiamati all'eredità risultanti dalla denuncia di successione che ha dato titolo alla voltura catastale, ancorchè la relativa trascrizione non costituisca formalità idonea a garantire la continuità delle trascrizioni per gli effetti di cui all'art. 2650 c.c.; in pratica il fatto che l'anagrafe immobiliare integrata deve attestare "a fini fiscali" per ciascun immobile il soggetto titolare di diritti reali, si può fondatamente ritenere che ai fini in discorso, che sono solo fiscali e non sostanziali, sia necessaria e sufficiente la sola presentazione della dichiarazione di successione, che nella volontà del legislatore svolge proprio finalità fiscali. Il Notaio, quale pubblico ufficiale, ha comunque l'obbligo professionale di verificare la correttezza dei dati catastali anche se coincidenti con le risultanze dei registri immobiliari, in quanto egli è tenuto ad eseguire la visura presso i RR.II.

La verifica di conformità deve essere finalizzata ad accertare la corrispondenza delle intestazioni catastali attuali con i soggetti titolari del potere di disposizione sugli immobili oggetto dell’atto. In ogni caso il Notaio deve procedere alla verifica della reale intestazione dei cespiti accertando che detta intestazione sia corretta in base alla vicenda successoria (acquisto in capo al defunto e devoluzione ai suoi eredi legittimi o testamentari) anche avvalendosi delle risultanze di altri Pubblici registri (ad es. i registri dello Stato Civile).


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