Revocazione per ingratitudine: l'ingiuria grave deve aver prodotto una situazione di riprovazione sociale. (Cass. Civ., Sez. II, n. 23545 del 10 novembre 2011)

L’ingiuria grave di cui all’art. 801 c.c. non può essere desunta da singoli accadimenti che, pur risultando di per sé censurabili, per il contesto in cui si sono verificati e per una situazione oggettiva di aspri contrasti esistenti tra le parti, non possono essere ricondotti ad espressione di quella profonda e radicata avversione verso il donante che costituisce il fondamento della revocazione della donazione per ingratitudine. Ne consegue che non può essere revocato l’atto di liberalità laddove il donatario venga meno alla richiesta di assistenza morale da parte del donante nel caso in cui il rifiuto sia opposto in un quadro ormai deteriorato di rapporti risultando detta mancanza, da parte del donatario, non tale da suscitare quella riprovazione nella coscienza sociale che costituisce il presupposto per l’applicazione dell’art. 801 c.c..

Commento

(di Daniele Minussi)
La S.C. interviene su un tema invero rarefatto: quello delle condotte che integrano gli estremi per la revocazione della donazione per ingratitudine.
Non è sufficiente al riguardo un atteggiamento del donatario che da un punto di vista semplicemente etico ben potrebbe essere qualificato come ingrato, bensì una valenza socialmente percepita di una siffatta condotta, censurabile come riprovevole e tale da fondare un giudizio condiviso di "ingratitudine".
Appare evidente come il sindacato in fatto di un tale requisito si manifesti come specialmente discrezionale e soggetto a potenzialmente cerebrine valutazioni del giudicante.

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