Utilizzo di testamento apocrifo: non sussiste il reato di truffa, ma solo quello di falso. (Cass. Pen., Sez. V, sent. n. 15666 del 9 aprile 2019)

Il falso negozio mortis causa non induce alcun atto dispositivo patrimoniale da parte di terzi, ma è autosufficiente nella produzione degli effetti in capo all'erede, che acquista solo in virtù del rapporto di successione. Non si configura strutturalmente, pertanto, il reato di truffa, che postula un arricchimento in virtù di un atto dispositivo determinato dal mendacio, nel caso di specie insussistente, mentre il disvalore della condotta resta interamente assorbito dalla falsità testamentaria.

Commento

(di Daniele Minussi)
Fare uso di un testamento che si sa essere stato confezionato artatamente (sia pure con sottoscrizione autentica) non configura la fattispecie del reato di truffa, dal momento che non viene indotto alcuno a compiere quell'atto di disposizione patrimoniale la cui sussistenza sarebbe richiesta ai fini del perfezionamento della fattispecie criminosa. Ciò non escludeva, ovviamente, il reato di falso di cui all'art. 485 c.p., che si realizzava (fino all'entrata in vigore del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 che ha abrogato la norma) con la pubblicazione del testamento, poiché l’uso dell’atto falso che rendeva la falsità punibile, ex art. 485 c.p., consisteva in una qualsiasi utilizzazione che avesse giuridica rilevanza (cfr. Cass. Pen. Sez. V, 12159/2014). Né avrebbe rilevato, in senso contrario, la autenticità della firma apposta in sottoscrizione, in quanto può essere considerato olografo solo il testamento integralmente formato dal testatore (cfr. Cass. pen. Sez. V, 51709/2014).

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