Un termine di durata della società eccessivamente lontano nel tempo è assimilabile ad una durata a tempo indeterminato. La variazione statutaria introdotta con deliberazione volta a ridurre tale durata importa sia l'eliminazione di di una causa di recesso, sia l'attribuzione del diritto di recesso ai soci assenti o dissenzienti. (Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 9662 del 23 aprile 2013)
Dispone l'art. 2473 c.c., al I comma, che l'atto costitutivo determina le ipotesi in cui il socio può recedere dalla società e le relative modalità. Prevede la norma che diritto di recesso compete, in ogni caso, ai soci che non hanno consentito a una serie di ipotesi di modifiche della struttura societaria fra cui rientra quella dell'eliminazione di una o più cause di recesso previste dall'atto costitutivo. Il II comma dell'art. 2473 c.c. prevede poi che, nel caso di società contratta a tempo indeterminato, il diritto di recesso compete al socio in ogni momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno centottanta giorni ma l'atto costitutivo può prevedere un periodo di preavviso con durata maggiore purché non superiore ad un anno.
Il coordinamento logico di queste disposizioni fa ritenere che il passaggio da un regime di durata a tempo indeterminato della società, che comporta il corollario legale del diritto del socio al recesso ad nutum, a un regime di durata a tempo determinato, che invece tale regime esclude, equivale, senza che posa parlarsi di indebita estensione delle ipotesi di recesso e di conseguente violazione dell'art. 2473 c.c., a una ipotesi di eliminazione di una causa di recesso.