Sulla ricognizione della natura unilaterale della condizione e del tempo in cui risulta possibile farvi rinunzia. (Cass. Civ., Sez.I, sent. n. 5692 del 10 aprile 2012)

Le parti, nella loro autonomia contrattuale, possono pattuire una condizione sospensiva o risolutiva nell'interesse esclusivo di uno soltanto dei contraenti, occorrendo al riguardo un'espressa clausola o, quanto meno, una serie di elementi, idonei ad indurre il convincimento che si tratti di una condizione alla quale l'altra parte non abbia alcun interesse. Ne consegue che la parte contraente, nel cui interesse è posta la condizione, ha la facoltà di rinunziarvi sia prima, sia dopo l'avveramento o il non avveramento di essa, senza che la controparte possa comunque ostacolarne la volontà.

Commento

(di Daniele Minussi)
La pronunzia sottolinea un duplice aspetto: da un lato la rilevanza dell'operazione ermeneutica circa la reale unilaterialità della clausola condizionale. Evidentemente non vi sarebbe questione qualora una siffatta qualifica fosse stata attribuita in maniera chiara e letterale dalle parti in sede di formulazione della condizione. Il difetto di una menzione univoca non toglie che possa l'interprete qualificare in tale chiave la clausola ogniqualvolta risulti la natura esclusiva dell'interesse di una sola delle parti alla apposizione dell'elemento condizionale.
Il secondo aspetto riguarda la disponibilità degli effetti della clausola: la parte nel cui interesse essa è stata apposta al contratto può infatti farvi rinunzia indifferentemente nel tempo antecedente o susseguente rispetto all'evento ovvero al termine entro il quale si sarebbe dovuta valutare l'avveramento o il mancato avveramento dell'evento dedotto sub condicione.

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