Solo l’atto pubblico di donazione di denaro da un parente per l’acquisto di un immobile può provare l’inesistenza della pretesa erariale in relazione all’accertamento del reddito complessivo netto. (Cass. Civ., Sez. VI-V, n. 14896 del 05/09/2012)

In tema accertamento delle imposte sui redditi, il metodo disciplinato dall'art. 38, comma IV, d.p.r. n. 600/1973 - come via via modificato - consente, a fronte di circostanze ed elementi certi, che evidenzino un reddito complessivo superiore a quello dichiarato o ricostruibile su base analitica, la determinazione del maggior imponibile in modo sintetico, in relazione al contenuto induttivo di tali circostanze ed elementi. Pertanto, la norma esige dati certi con riguardo alla esistenza del maggiore reddito imponibile e, in presenza di dati siffatti, richiede la individuazione dell'entità del reddito stesso con parametri indiziari, in via di deduzione logica del fatto taciuto dal dichiarante da quello noto, secondo i comuni canoni di regolarità causale.
Ne consegue che, in presenza di dati certi ed incontestati, non è consentito pretendere una motivazione specifica dei criteri in concreto adottati per pervenire alle poste di reddito fissate in via sintetica nel cosiddetto redditometro, in quanto esse, proprio per fondarsi su parametri fissati in via generale, si sottraggono all'obbligo di motivazione, secondo il principio stabilito dall'art. 3, comma II, della legge n. 241/1990.

Commento

(di Daniele Minussi)
La decisione sottolinea la rilevanza di dare atto della provenienza delle somme che vengono utilizzate per procedere all'acquisto di beni immobili ogniqualvolta l'acquirente non abbia redditi tali da giustificare l'acquisizione. Il caso, non infrequente, è quello dei genitori che pagano l'appartamento che viene acquisito direttamente dal figlio.

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