Servitù di passaggio e principio del "minimo mezzo". (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 8779 del 12 maggio 2020)

La determinazione del luogo di esercizio di una servitù di passaggio coattivo deve essere compiuta alla stregua dei criteri enunciati dal comma 2 dell'art. 1051 c.c., costituiti dalla maggiore brevità dell'accesso alla via pubblica, sempreché la libera esplicazione della servitù venga garantita con riguardo all'utilità del fondo dominante, e dal minore aggravio del fondo asservito, da valutarsi ed applicarsi contemporaneamente ed armonicamente, mediante un opportuno ed equilibrato loro contemperamento e tenuto presente che, vertendosi in tema di limitazione del diritto di proprietà - resa necessaria da esigenze cui non è estraneo il pubblico interesse - va applicato, in modo ancora più accentuato di quanto avviene per le servitù volontarie, il principio del minimo mezzo; il relativo giudizio compete, in ogni caso, al giudice di merito e si sottrae al sindacato di legittimità se congruamente e logicamente motivato.

Commento

(di Daniele Minussi)
Il principio del minimo mezzo comporta che il titolare del diritto diritto di servitù lo debba esercitare civiliter, cioè procurando utilità al fondo dominante, contemporaneamente arrecando il minor aggravio possibile al fondo servente, secondo il modo di disporre dell'art. 1065 cod. civ.. Giova rilevare come un corollario
di tale regola sia il divieto imposto al proprietario del fondo dominante di aggravare l'esercizio della servitù (ex multis: Cass. Civ., Sez.II, 11747/09), come, inversamente, quello posto a carico del titolare del fondo servente (art. 1067 cod.civ.) di diminuirne l'esercizio (Cass. Civ. Sez. II, 3804/95). Ciò premesso, la pronunzia in considerazione, ambienta la portata di tali disposizioni al tema della servitù coattiva di passo, in relazione alla quale il II comma dell'art. 1051 cod.civ. si pone come specificazione delle cennate regole.

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