Riserva mentale: delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio. (Cass. Civ., Sez. I, sent. n. 28220 del 18 dicembre 2013)

La declaratoria di esecutività della sentenza del tribunale ecclesiastico che abbia pronunciato la nullità del matrimonio concordatario per esclusione, da parte di uno soltanto dei coniugi, di uno dei bona matrimonii, cioè per divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione, postula che tale divergenza sia stata manifestata all'altro coniuge, ovvero che sia stata da questo effettivamente conosciuta, ovvero che non gli sia stata nota soltanto a causa della sua negligenza, atteso che ove le suindicate situazioni non ricorrano la delibazione trova ostacolo nella contrarietà con l'ordine pubblico italiano, nel cui ambito va ricompreso il principio fondamentale di tutela della buona fede e dell'affidamento incolpevole; se pure è vero che il giudice italiano è tenuto ad accertare la conoscenza o l'oggettiva conoscibilità di tale esclusione da parte dell'altro coniuge con piena autonomia, trattandosi di profilo estraneo, in quanto irrilevante, al processo canonico, senza limitarsi al controllo di legittimità della pronunzia ecclesiastica di nullità, è tuttavia altrettanto vero che la relativa indagine deve essere condotta con esclusivo riferimento alla pronuncia delibanda (intesa l'espressione come comprensiva di entrambe le sentenze rese in sede ecclesiastica) ed agli atti del processo canonico eventualmente acquisiti, opportunamente riesaminati e valutati, non essendovi luogo in fase delibatoria ad alcuna integrazione di attività istruttoria.

Commento

(di Daniele Minussi)
Nel caso specifico la nubenda, atea, aveva contratto le nozze con rito concordatario, senza credere nel matrimonio come istituzione religiosa. la riserva mentale che ne deriva, in quanto conosciuta dall'altro nubendo (cfr., per l'ipotesi, inversa, in cui non risultasse conosciuta: Cass. civile, sez. I 1986/1766), ha condotto all'annullamento del matrimonio ad opera del Tribunale ecclesiastico ed alla susseguente delibazione della pronunzia da parte della Corte d'Appello.

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