Rinunzia all'eredità. Impugnazione da parte dei creditori del chiamato. (Cass. Civ., Sez. VI-II, ord. n. 5994 del 4 marzo 2020)

Per l'impugnazione della rinuncia ereditaria ai sensi dell'art. 524 cod.civ. il presupposto oggettivo è costituito unicamente dal prevedibile danno ai creditori, che si verifica quando, al momento dell'esercizio dell'azione, i beni personali del rinunziante appaiono insufficienti a soddisfare del tutto i suoi creditori; ove dimostrata da parte del creditore impugnante l'idoneità della rinuncia a recare pregiudizio alle sue ragioni, grava sul debitore provare che, nonostante la rinuncia, il suo residuo patrimonio è in grado di soddisfare il credito dell'attore.

Commento

(di Daniele Minussi)
La crisi economica progressiva pone in evidenza questioni che, rare nel passato, diventano più frequenti ed attuali. Così accade per l'impugnazione della rinunzia all'eredità, concepita come strumento indiretto per sottrarre attività altrimenti aggredibili da parte dei creditori. Giova osservare come non serva, ai fini dell'esperimento vittorioso dell'azione, la prova della frode. E' sufficiente la constatazione dell'aspetto oggettivo della insufficienza del patrimonio del debitore a far fronte alle passività e della presenza di cespiti assoggettabili all'azione dei creditori nel patrimonio ereditario. Una volta che fosse intervenuta la pronunzia favorevole al creditore impugnante, l'eventuale chiamato in subordine rimarrebbe "a bocca asciutta". Ci si potrebbe legittimamente porre il dubbio circa la sorte dei beni ereditari che, una volta completamente soddisfatto il ceto creditorio, fossero rimasti a disposizione del rinunziante che permanesse nella propria determinazione dismissiva.

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