Retratto successorio. Alienazione di una quota indivisa dell'unico bene ereditario ad un terzo estraneo. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 23925 del 24 novembre 2015)

Se un erede aliena ad un estraneo la quota indivisa dell'unico cespite ereditario, si presume l'alienazione della sua corrispondente quota, intesa come porzione ideale dell'universum ius defuncti, e perciò il coerede può esercitare il retratto successorio (art. 732 c.c.), salvo che il retrattato dimostri, in base ad elementi concreti della fattispecie ed intrinseci al contratto (volontà delle parti, scopo perseguito, consistenza del patrimonio ereditario e raffronto con l'entità dei beni venduti), con esclusione del comportamento del retraente, estraneo al contratto medesimo, che, invece, la vendita ha ad oggetto un bene a sé stante.

Commento

(di Daniele Minussi)
Nel caso di alienazione di una quota indivisa dell'unico bene caduto in successione, l'elemento discretivo che separa l'ipotesi in cui risulta praticabile il rimedio del retratto successorio in favore del coerede dal caso in cui tale rimedio non è fruibile è costituito dal modo in cui detto bene è stato considerato.
Sarebbe assoggettata alla procedura della prelazione, ogniqualvolta la cessione costituisse la manifestazione dell'intento di sostituire l'acquirente estraneo al coerede (Cass. Civ. Sez. II, 13704/99 ; Cass. Civ. Sez. II, 8259/93). Quando invece la considerazione del bene in sé e per sé considerato fosse assorbente, l'alienazione non sarebbe assoggettabile al retratto (Cass. Civ. Sez. II, 3049/97). In relazione a questo scenario interviene la sentenza in commento, secondo la quale l'onere di dar conto di tale ultima condizione incombe sul retrattato.

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