Quando una clausola contrattuale è da considerarsi vessatoria? (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 30438 del 26 novembre 2024)

L’interpretazione delle clausole contrattuali deve avvenire secondo i canoni ermeneutici previsti dal Codice civile. Se una clausola contrattuale non pone a carico della parte oneri ulteriori rispetto a quelli previsti normativamente, essa non può essere considerata vessatoria né impedire l’esercizio del diritto.

Commento

(di Daniele Minussi)
Sull'argomento, alla normativa del codice civile, si è affiancata la legislazione speciale (con l'introduzione del c.d. "Codice del consumo"). Ai sensi dell'art. 1341 cod.civ. , "vessatorie" vengono appellate quelle clausole che pongono uno dei contraenti in una situazione contrattualmente più sfavorevole rispetto alla controparte. Il II comma dell'art. 1341 cod.civ. contiene un elenco, reputato tassativo di tali clausole, pur rilevandosi come esso sia stato ritenuto passibile di interpretazione estensiva.
L'art. 33 del Codice del consumo (D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 ) prevede invece, quale criterio cardine ai fini della valutazione della vessatorietà delle clausole (limitatamene alle contrattazioni intercorrenti tra operatore economico professionale e consumatore9, il fatto che esse, malgrado la buona fede, determinino a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
Ciò premesso, secondo la S.C., quando una clausola non prevede a carico di una delle parti specifici oneri, ulteriori rispetto a quelli già previsti dalla legge, essa non può considerarsi vessaria.

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