Prova dell'esistenza dell'uso civico. (Cass. Civ., Sez. II, ord. n. 24390 del 9 settembre 2021)

Nel giudizio di accertamento di usi civici, in forza del disposto dell'art. 2 della legge n. 1766 del 1927 e del principio "ubi feuda ibi demania", la prova dell'esistenza, natura ed estensione di usi esercitati anche posteriormente al 1800 può essere offerta con ogni mezzo istruttorio, mentre per quelli il cui esercizio sia cessato anteriormente al 1800 deve essere data esclusivamente mediante documenti propri del diritto feudale, che dimostrino non l'atto formale di investitura e di concessione del feudo, ma la natura ex feudale delle terre e l'esistenza di un feudo abitato, da ciò direttamente derivando la sussistenza degli usi originari, ossia di quelli necessari secondo i bisogni della popolazione e la natura delle terre, i quali costituiscono il giuridico attributo della feudalità di un determinato territorio abitato.

Commento

(di Daniele Minussi)
La pronunzia viene a specificare le prescrizioni di cui all'art.2 della l. 1927/1766 in relazione agli usi civici risalenti al tempo che precede il 1800. Giova osservare a tal proposito come non esista un sistema di accertamento degli usi civici connotato da ufficialità, se si escludono le pronunzie del Commissario liquidatore. Non si possono in questo senso stimare sempre utili le elencazioni dei beni appartenenti al demanio comunale tenuti presso i Comuni, dal momento che l'appartenenza al demanio è di per sé neutra quanto all'utilizzo promiscuo. Nè la consultazione delle risultanze catastali offre spesso migliori indicazioni.

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