Possessore di beni ereditari: chi agisce in rivendica può pretendere solo i frutti percepiti ovvero percipiendi usando la diligenza media. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 12798 del 6 giugno 2014)

La regola dettata dall'art. 1147 c.c., in base alla quale la buona fede è presunta e basta che vi sia al tempo dell'acquisto, prevede un principio di carattere generale ed è quindi applicabile anche alla fattispecie di cui all'art. 535 c.c.. Ne consegue che chi agisce per rivendicare i beni ereditari - eventualmente previo annullamento del testamento che ha chiamato all'eredità il possessore di buona fede - può pretendere soltanto i frutti indebitamente percepiti, nei limiti fissati dall'art. 1148 c.c.

Commento

(di Daniele Minussi)
Nel caso di specie si contendeva circa la quantificazione delle indennità da corrispondere a chi, avendo posseduto un bene ereditario, aveva apportato allo stesso cospicue migliorie. Più in particolare il detto possessore era stato nominato erede per testamento, successivamente tuttavia dichiarato nullo. Ne era seguita la restituzione del bene ereditario agli eredi legittimi, a carico dei quali veniva determinato l'obbligo di corresponsione di una somma per le migliorie, ma a credito dei quali veniva computata una somma per i frutti percepibili a partire della data di proposizione della domanda giudiziale.
Proprio in relazione a tale credito, l'obbligo in capo al possessore di buona fede deve essere determinato alla stregua degli artt. 1147 e 1148, con la precisazione che può ben dirsi vigente il principio generale in forza del quale la buona fede si presume.

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