Negoziabilità e Valore del diritto di opzione: conseguenze fiscali. (Cass. Civ., Sez. V, sent. n. 10240 del 26 aprile 2017)

La previsione normativa del diritto di opzione (art. 2441 c.c.) sottende una duplice finalità: quella di proteggere l'interesse dei soci a mantenere inalterata la quota di partecipazione al capitale sociale in caso di aumento dello stesso, attraverso il diritto di sottoscrivere preferenzialmente le azioni di compendio del deliberato aumento di capitale; dall'altra parte, quella di garantire l'interesse dei soci alla conservazione delle plusvalenze patrimoniali attive, accumulatesi nel corso della gestione dell'attività sociale, che altrimenti andrebbero a vantaggio dei nuovi sottoscrittori ed azioni, in quanto l'aumento di capitale avviene in base al valore nominale delle azioni.
L'esigenza di tenere inalterato il valore reale della partecipazione azionaria denota il contenuto patrimoniale del diritto di opzione. Di qui, la conclusione che il diritto di opzione nella società per azioni assuma un valore economico in sé, potendo essere oggetto liberamente di disposizione a favore di terzi.

Commento

(di Daniele Minussi)
La pronunzia mette a fuoco la funzione del diritto di opzione, secondo la struttura evocata dall'art,2441 cod.civ., traendone la logica conseguenza, peraltro corrispondente anche alla prassi propria delle società quotate in mercati regolamentati, della negoziabilità dello stesso. Ben può il titolare del diritto di opzione cederlo a titolo liberale ovvero, assai più spesso, a titolo oneroso a terzi, così disponendo di esso, che incorpora un valore pari al differenziale tra importo della somma necessaria per sottoscrivere l'aumento di capitale e quello del valore della partecipazione sociale di cui l'opzionario si troverà ad essere titolare all'esito dell'esercizio dello stesso. Il tutto possiede indubbia rilevanza tributaria: imposta di registro proporzionale al 3% e non imposta in misura fissa

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