Menzioni urbanistiche difettose e atto di trasferimento immobiliare tra nullità testuale e virtuale. Le SSUU risolvono il dilemma. (Cass. Civ., Sez. Unite, sent. n. 8230 del 22 marzo 2019)

La nullità comminata dall’articolo 46 del testo unico dell’edilizia e dagli articoli 17 e 40 della legge 47/1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’articolo 1418 Cc, di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità «testuale», con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile. In presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato.

Commento

(di Daniele Muritano)
Le Sezioni Unite dirimono il contrasto sulla natura della nullità per mancata menzione, negli atti tra vivi di trasferimento di edifici, dei titoli edilizi in forza dei quali sono stati costruiti. Si tratta di nullità testuale ai sensi dell’articolo 1418, comma 3, del Codice civile; non di nullità virtuale ai sensi del comma 1 della medesima norma. Quindi, «[i]n presenza della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato». Allo specchio, l’interprete deve attenersi alla lettera della legge, e non può scavalcarla. Fra la certezza del traffico giuridico e il contrasto all’abusivismo le SU privilegiano la prima, ma, a loro dire, non trascurano il secondo. Anche la nullità testuale concorrerebbe a contrastare l’abusivismo. Basta che l’acquirente sia informato. L’abusivismo trova “tutela reale” nella (sempre possibile) demolizione. Sono previste sanzioni amministrative e penali variamente graduate. Ai fini della validità del contratto è necessaria e sufficiente la menzione del titolo edilizio “a monte”, purché esistente e riferibile proprio all’immobile negoziato. Non c’è differenza tra abusi derivanti da «variazioni essenziali e non essenziali»: il distinguo è gravido di complicazioni per l’acquirente, il cui affidamento rischierebbe di essere tradito. La nullità assoluta è sanzione che potrebbe essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse; qui devono invece scattare i rimedi civilistici tra le parti: risoluzione del contratto e risarcimento del danno. L’autonomia privata non si tocca.
La funzione della menzione richiesta dalla legge, proseguono le SU, non è vietare la «stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente inutilizzabili», ma solo «la comunicazione di notizie e [...] la conoscenza di documenti». In definitiva, la menzione ha «valenza essenzialmente informativa» dell’acquirente in merito all’esistenza del titolo edilizio richiamato.
Il filtro notarile ha il pregio di informare l’acquirente dell’opportunità di far svolgere dal venditore, tramite tecnico abilitato, le necessarie verifiche urbanistico-edilizie. Se però l’acquirente si disinteressa occorrerà fare i conti con l’articolo 1227 del Codice civile: il risarcimento può essere diminuito secondo la gravità della sua colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate e non è dovuto per i danni che avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.

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