La retrocessione del bene comporta la decadenza dai benefici “prima casa”. (Cass. Civ., Sez. VI-T, sent. n. 791 del 20 gennaio 2015)

Non ha diritto all'agevolazione fiscale sulla prima casa il contribuente se dopo aver risolto il contratto di compravendita dell'immobile non provvede ad acquistarne un altro. La risoluzione dell'atto non prevede il riconoscimento del beneficio perché si verifica la retrocessione del bene e quindi la trasmissione della proprietà di nuovo al cedente.
In materia di imposta di registro, la restituzione dell'imposta è prevista solo nei casi in cui la patologia dell'atto e la sua conseguente inidoneità alla produzione di effetti giuridici siano ascrivibili a vizi esistenti all'origine e non invece sopravvenuti. La restituzione dell'imposta regolarmente versata all'atto della registrazione può trovare giustificazione soltanto relativamente al contratto che nasce viziato, mentre più difficilmente può motivarsi nel caso di un contratto che, pienamente valido e operante a far data dalla sua stipulazione, non è più tale per una qualsiasi causa sopravvenuta.

Commento

(di Daniele Minussi)
Il caso traeva origine dalla risoluzione consensuale del precedente contratto di compravendita, accordo in funzione del quale la società già alienante ritornava proprietaria del bene. Secondo i Giudici tale pattuizione, dal punto di vista dell'Erario, equivale ad alienazione della abitazione che, se effettuata prima del quinquennio a far tempo dalla stipulazione della vendita agevolata (e non seguita da ulteriore riacquisto), da luogo alla perdita delle agevolazioni "prima casa" conseguite, con recupero della differenza rispetto alle imposte in misura ordinaria ed alla applicazione della sovrattassa oltre agli interessi.

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