La responsabilità del vettore va provata con riferimento non al fatto in sè della perdita della cosa, bensì dovendo essere ragguagliata alla valutazione della diligenza della condotta. (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 20896 del 12 settembre 2013)

La responsabilità del vettore è accertata e la prova che la perdita della merce sia dipesa da dolo o colpa grave del vettore è necessaria solo per superare i limiti del risarcimento previsti dell’art. 1, n.2 l. n. 450/1985 , e accedere al risarcimento pari al valore della merce, di cui al n. 3 dello stesso articolo. Il mittente non può fornire la prova della colpa grave del vettore sul fatto della perdita della cosa trasportata, ma avrebbe dovuto fornire prova che l’abbia fatto per colpa grave, cioè che si sia configurato un comportamento consapevole che, pur senza la volontà di danneggiare altri, abbia operato con straordinaria e inescusabile imprudenza e negligenza, omettendo non solo la diligenza media del buon padre di famiglia, rapportata alla professionalità del servizio da svolgere, ma anche quel grado minimo di diligenza osservato da tutti.

Commento

(di Daniele Minussi)
L'obbligazione risarcitoria del vettore si manifesta su due distinti piani. In via generale è sufficiente che si palesi la perdita della merce affinchè scatti l'onere in capo al vettore stesso di dar conto dell'eventuale caso fortuito per andare esente da responsabilità. Ciò fino ai limiti posti al risarcimento dall'art.1 della l 450/1985.
Allo scopo di ottenere il risarcimento addizionale rispetto a dette limitazioni il mittente è invece gravato dall'onere di provare la colpa grave del vettore, consistente nella inosservanza di quel grado minimale di diligenza che ci si attende da chiunque.

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