La natura pubblica dell'atto notarile che fa fede fino a querela di falso non attiene alle valutazioni relative alla capacità di agire delle parti. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 27489 del 28 novembre 2019)

L'atto pubblico fa fede fino a querela di falso soltanto relativamente alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l'ha formato, alle dichiarazioni al medesimo rese ed agli altri fatti dal medesimo compiuti, non estendendosi tale efficacia probatoria anche ai giudizi valutativi eventualmente espressi, tra i quali va compreso quello relativo al possesso, da parte dei contraenti, della capacità di intendere e di volere. Ne consegue che, qualora il contratto sia stato stipulato dinanzi ad un notaio con le forme dell'atto pubblico, la prova dell'incapacità naturale di uno dei contraenti può essere data con ogni mezzo e il relativo apprezzamento costituisce giudizio riservato al giudice di merito, che sfugge al sindacato di legittimità se sorretto da congrue argomentazioni, esenti da vizi logici e da errori di diritto.

Commento

(di Daniele Minussi)
Banale invero la decisione della S.C.: la stipula del contratto in forma pubblica non aggiunge nè toglie alcunché rispetto alla possibilità che venga data la prova con qualsiasi mezzo dell'eventuale situazione di incapacità naturale di alcuno tra i contraenti. Infatti la speciale forza probatoria della quale l'atto è connotato vale soltanto per la provenienza dello stesso dal pubblico ufficiale che lo abbia formato nonchè dei fatti (quand'anche consistenti in dichiarazioni) che costui abbia ad attestare come verificatisi alla propria presenza.

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