La condotta adempiente rispetto alle linee guida della scienza medica non basta ad esonerare il chirurgo da responsabilità penale, occorre verificare tutti gli elementi del caso concreto. (Cass. Pen., Sez. IV, sent. n. 5028 del 31 gennaio 2014)

In tema di responsabilità medica la legge n. 189/12 (legge di conversione del d.l. n. 158/2012) - derivante dall’esigenza di soddisfare il duplice obiettivo di escludere la responsabilità penale dell’operatore sanitario per colpa lieve e di parametrare lo standard cautelare su strumenti valutativi più affidabili, identificati nelle linee guida e nelle best practices accreditate dalla comunità scientifica - deve interpretarsi, in positivo, nel senso che l’operatore sanitario risponde penalmente solo per colpa grave, rimanendo peraltro ferma la disciplina generale della responsabilità risarcitoria aquiliana. La disciplina speciale sancita dall’art. 2236 c.c., che limita la responsabilità professionale ai soli casi di errore macroscopico riguarda, peraltro, le ipotesi in cui la prestazione richiesta presenti speciali difficoltà tecniche, ed inoltre la limitazione dell’addebito ai soli casi di colpa grave riguarda l’ambito della perizia e non, invece, quelli della prudenza e diligenza.
Vale in proposito evidenziare come le linee guida, definite come raccomandazioni di comportamento clinico prodotte attraverso un processo sistematico allo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere quali siano le modalità di assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche, conferiscano alla fattispecie colposa un livello di maggiore determinatezza, indicando in sostanza la regola cautelare suggerita nei caso concreto ed in presenza di determinate emergenze. Non si può, tuttavia, trascurare che l’elaborazione delle linee guida può tener conto di esigenze estranee ai bene protetto dalla norma incriminatrice e può assumere li ruolo di scudo della cosiddetta medicina difensiva, nel senso che il sanitario può essere indotto ad attenervisi comunque nella prospettiva di garantirsi l’impunità. Da ciò discende, da un lato, che l’adeguamento del sanitario alle linee guida può non essere sufficiente, come afferma il tenore letterale dell’art. 3 della legge n. 189/2012, ad escludere la colpa, e, per altro verso, che il giudizio di responsabilità colposa fondato sul paradigma normativo dell’art. 43 c.p. esige che vengano presi in considerazione elementi ulteriori, segnatamente i profili della causalità della colpa per negligenza e imprudenza, rispetto alla mera violazione di regole cautelari.

Commento

(di Daniele Minussi)
Come è noto la legge 189/12 (c.d. "Balduzzi") contempla protocolli e linee guida alle quali il medico deve attagliarsi, senza che tali regole possano essere invocate quali criteri il cui letterale rispetto possa esonerare il medico da responsabilità penale.

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