Il legittimario che agisce in riduzione facendo valere la natura simulata della vendita effettuata dal de cuius, dissimulante una donazione, deve essere considerato terzo ai fini della prova. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 33430 del 17 dicembre 2019)

L'erede legittimario che agisca per l'accertamento della simulazione di una vendita compiuta dal de cuius, siccome dissimulante una donazione affetta da nullità per difetto di forma, assume, rispetto ai contraenti, la qualità di terzo, con conseguente ammissibilità della prova testimoniale o presuntiva senza limiti o restrizioni quando abbia proposto la domanda sulla premessa dell'avvenuta lesione della propria quota di legittima. In tale situazione, infatti, detta lesione assurge a causa petendi accanto al fatto della simulazione ed il legittimario, benché successore del defunto, non può, pertanto, essere assoggettato ai vincoli probatori previsti per le parti dall'art. 1417 c.c., non rilevando la circostanza che egli, quale erede legittimo, benefici non solo dell'effetto di reintegrazione della summenzionata quota, ma pure del recupero del bene al patrimonio ereditario per intero, poiché il regime probatorio non può subire differenziazioni a seconda del risultato finale cui conduca l'accoglimento della domanda.

Commento

(di Daniele Minussi)
La pronuncia é consonante con l’orientamento consolidato della S.C. In materia. È chiaro infatti che, quando il legittimario abbia agito in riduzione sul presupposto della natura simulata dell’atto di disposizione dell’ereditando, si pone in contrapposizione rispetto a quest’ultimo. Incoerente sarebbe, pertanto, l’operatività dei limiti di prova che valgono per colui che ha rivestito il ruolo di parte della fattispecie simulatoria (nonché per gli aventi causa di costui). Ne discende che il legittimario possa dedurre la prova testimoniale allo scopo di dar conto della reale natura dell’atto posto in essere dal de cuius quando era in vita.

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