Distanze tra costruzioni, strumenti urbanistici e integrazione della normativa codicistica. (Cass. Civ., Sez. II, ord. n. 13624 del 19 maggio 2021)

Le norme degli strumenti urbanistici che prescrivono le distanze nelle costruzioni o come spazio tra le medesime o come distacco dal confine o in rapporto con l'altezza delle stesse, ancorché inserite in un contesto normativo volto a tutelare il paesaggio o a regolare l'assetto del territorio, conservano il carattere integrativo delle norme del codice civile, perché tendono a disciplinare i rapporti di vicinato e ad assicurare in modo equo l'utilizzazione edilizia dei suoli privati e, pertanto, la loro violazione consente al privato di ottenere la riduzione in pristino.

Commento

(di Daniele Minussi)
Le norme regolamentari, in quanto in concreto prescrivano limiti più severi rispetto a quelli di cui all'art. 873 cod. civ., prevalgono, per espressa previsione di esso, su tale ultima norma. Quest'ultima infatti mantiene la propria efficacia (pur tenendo conto del modo di disporre dell'art. 41 quinquies della L. n. 1150/1942 come modificata dalla L. n. 765/67: cfr. Cass. Civ. Sez. II, 7804/91) soltanto ove dette più severe prescrizioni non siano previste. Va poi considerato che l' art. 9 del D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, emanato in esecuzione della predetta norma sussidiaria di cui all'art. 41 quinquies della L. n. 1150/42, ha imposto una distanza minima inderogabile di dieci metri tra pareti finestrate e quelle di edifici antistanti, direttamente incidendo sui regolamenti edilizi comunali. Ciò premesso, dalla natura integrativa delle disposizioni regolamentari, la pronunzia in esame trae la conclusione, invero già proclamata, della natura ripristinatoria della sanzione conseguente alla violazione delle stesse.

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