Danno patrimoniale: valutazione in via equitativa del peso economico del pregiudizio futuro. (Cass. Civ., Sez. III, sent. n. 14645 del 14 luglio 2015)
Il danno patrimoniale si scandisce in danno emergente e lucro cessante, e ciascuna di queste categorie o sottocategorie è a sua volta compendiata da una pluralità di voci i aspetti o sintagmi.
Pur dovendo il ristoro del danno patrimoniale normalmente corrispondere alla relativa esatta commisurazione, del danno patrimoniale futuro la valutazione non può essere che equitativa, la quale attiene alla quantificazione e non già all’individuazione del danno e deve essere condotta con prudente e ragionevole apprezzamento di tutte le circostanze del caso concreto.
I criteri di valutazione equitativa, la cui scelta e adozione è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice, devono essere idonei a consentire di addivenire a una liquidazione equa, e cioè congrua, adeguata e proporzionata.
La liquidazione equitativa deve rispondere ai principi della (tendenziale) integralità del ristoro, e pertanto: a) non deve essere puramente simbolica o irrisoria o comunque non correlata all'effettiva natura o entità del danno ma tendere, in considerazione della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno, alla maggiore approssimazione possibile all'integrale risarcimento; b)deve concernere, inoltre, tutti gli aspetti (o voci) di danno emergente e di lucro cessante di cui la generale ma composita categoria del danno patrimoniale si compendia.
Il giudice è tenuto a dare congrua motivazione dell'esercizio dei propri poteri discrezionali, spiegando le ragioni del processo logico sul quale la valutazione equitativa è fondata, e indicando in particolare i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato, al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità.
In ordine alla quantificazione del danno patrimoniale futuro, va esclusa la possibilità di applicarsi in modo “puro” parametri rigidamente fissati in astratto o di fare ricorso ad una valutazione rimessa alla mera intuizione soggettiva del giudice, e quindi sostanzialmente al suo mero arbitrio.