Comunione legale dei beni. Ancora sulla "rinunzia al coacquisto" e sulle conseguenze dell'assenza di tale dichiarazione in riferimento al susseguente atto dispositivo del bene da parte del coniuge acquirente. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 24287 del 27 novembre 2015)

La disposizione contenuta dell’art. 1478 c.c., secondo cui, nel caso di vendita di cosa altrui, il venditore è obbligato a procurarne l’acquisto al compratore, opera anche nell’ipotesi di vendita di cosa parzialmente altrui ed anche se la cosa venduta appartenga per quote indivise al venditore e ad un terzo, non potendosi escludere in entrambi i casi l’obbligo di procurare al compratore la proprietà anche della quota altrui, materiale o ideale che sia. Al contratto di vendita vitalizia costituito mediante trasferimento, in corrispettivo, della proprietà di un immobile indiviso, appartenente pro quota ad un terzo, sono applicabili, per analogia, le norme sulla vendita di cosa altrui. Le norme in tema di vendita si applicano non al vitalizio in quanto tale, ma alla prestazione di colui che beneficerà dell’assistenza, quando questa (come nella fattispecie) ha ad oggetto il trasferimento di un bene immobile.
In tema di regime della comunione legale fra i coniugi, la dichiarazione di cui è onerato il coniuge acquirente, prevista nelle lett. f) del comma I., dell’art. 179 c.c., al fine di conseguire l’esclusione, dalla comunione, dei beni acquistati con il trasferimento di beni strettamente personali o con il loro scambio, non è meramente facoltativa; tuttavia, pur non avendo natura dispositiva, ma ricognitiva della sussistenza dei presupposti per l’acquisto personale, è necessaria solo quando la natura dell’acquisto sia obiettivamente incerta, per non essere accertato che la provvista necessaria costituisca reinvestimento del prezzo di beni personali. Proprio in dipendenza dell’indubitabile peculiarità del bene personale (prestazioni assistenziali), il cui scambio avrebbe generato la provvista utilizzata ai fini dell’acquisto di una quota di un immobile vi è più che ragionevole motivo, all’atto della stipula del rogito, per considerare quindi incerta l’esclusione di detta quota dalla comunione legale e, perciò, per indursi e per non omettere la dichiarazione di cui è onerato il coniuge acquirente ai sensi della lett. f) del comma I dell’art. 179 c.c.. (Nel caso di specie la S.C. ha confermato la nullità di un contratto di comodato su di un immobile acquistato in regime di comunione da uno dei coniugi, in virtù di un vitalizio assistenziale, senza che l’altro coniuge abbia partecipato all’atto di acquisto e che in esso renda la necessaria dichiarazione di esclusione).

Commento

(di Daniele Minussi)
Il marito acquista un appartamento in esito alla stipulazione di un contratto con il quale, a fronte della cessione della quota di comproprietà operato dalla propria zia, il di lui padre provvede ad erogare i denari per il pagamento del prezzo, tuttavia a propria volta in adempimento all'obbligo morale scaturente dal mantenimento erogato a suo favore dal figlio (cioè il marito acquirente). Successivamente l'acquirente provvede a concedere in comodato al fratello il bene. La moglie protesta, affermando di essere comproprietaria dell'immobile. I Giudici le danno ragione: addirittura nullo il comodato. L'atto acquisitivo avrebbe dovuto contenere il riconoscimento ex 179 lett. f) della natura personale dei fondi utilizzati per l'acquisto.
Ciò premesso, si fa fatica a condividere l'arzigogolata pronunzia. In pratica la moglie avrebbe dovuto essere presente all'atto per riconoscere che i soldi del suocero non erano (anche) suoi, ma solo del marito (nonchè figlio del solvens) e che se il suocero a tanto provvedeva perchè prima il di lui figlio (nonchè marito della contestatrice) lo aveva mantenuto, anche detto mantenimento promanava dal costui soltanto.

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