Chiarimenti in ordine al trattamento fiscale delle operazioni di factoring e di recupero crediti. (Risoluzione N. 32, Agenzia delle Entrate Roma, 11/03/2011).

Risoluzione N. 32, Agenzia delle Entrate
Roma, 11/03/2011
Chiarimenti in ordine al trattamento fiscale delle operazioni di factoring e di recupero crediti
Quesito
È pervenuta a questa Direzione una richiesta di chiarimenti in ordine al trattamento fiscale da riservare alle operazioni di factoring ed alle distinte attività di recupero del credito, già oggetto di analisi da parte della scrivente nella Risoluzione 139/E del 17 novembre 2004, emanata a seguito della sentenza della Corte di Giustizia CE del 26 giugno 2003, causa C-305/01.
L’Associazione istante, nel condividere le conclusioni illustrate nel citato documento di prassi, lamenta, tuttavia, la permanenza di criticità soprattutto in sede di controllo; secondo quanto rappresentato nell’istanza, alle associate verrebbe spesso contestata l’applicabilità del regime di esenzione in relazione ad operazioni svolte dal factor e trattate dallo stesso alla stregua di operazioni finanziarie, ma riqualificate dai verificatori quali operazioni di recupero crediti assoggettate, in quanto tali, al regime di imponibilità.
Soluzione interpretativa prospettata dall’istante
In merito alla fattispecie sopra rappresentata, l’istante è dell’avviso che, come confermato dalla Risoluzione 139/E del 2004, le operazioni di factoring, esenti dall’IVA, debbano essere tenute distinte, anche ai fini fiscali, dalle operazioni di recupero crediti imponibili.
Tale conclusione appare supportata da vari elementi:
*le differenti finalità cui rispondono il recupero crediti da un lato ed il factoring dall’altro (ciò in quanto l’attività di recupero crediti è rivolta alla soddisfazione coattiva delle ragioni del creditore);
*la differente natura dei soggetti che possono svolgere le due attività (operatori finanziari nel caso del factoring, anche operatori non finanziari nel caso del recupero crediti);
*il diverso rilievo attribuito all’una ed all’altra attività da parte del legislatore (cfr. D. Lgs. 25 settembre 1999, n. 374 concernente la necessità del rilascio della licenza di cui all’articolo 115 TULPS per il solo esercizio dell’attività di recupero crediti), dall’amministrazione finanziaria (cfr. DM 3 febbraio 2006, nn. 142 e 143 per quanto attiene alla disciplina concernente la prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività illecite) e da altri organismi di settore (cfr. Banca d’Italia, Circ. 5 agosto 1996, n. 216, successivamente aggiornata in data 28 febbraio 2008).
Parere dell'Agenzia delle Entrate
Con la Ris. 139/E del 2004, la scrivente ha già avuto modo di pronunciarsi in ordine al trattamento fiscale delle operazioni svolte dalle imprese di factoring, anche alla luce dei chiarimenti forniti dalla Corte di Giustizia CE con la sentenza 26 giugno 2003, causa C-305/01.
Col citato documento di prassi, in particolare, è stato chiarito che le conclusioni raggiunte dai giudici comunitari, in base alle quali l’attività di factoring è assimilabile all’attività di recupero crediti, non sono automaticamente estensibili all’ordinamento giuridico nazionale, tenuto conto che il factoring ha avuto un’evoluzione non uniforme a livello europeo e sovra-europeo e, più in particolare, che la figura del factoring interno, pur non espressamente regolata in via normativa, non è comunque assimilabile alla fattispecie esaminata dalla Corte in quanto riferita all’ordinamento tedesco.
La Ris. 139/E del 2004 ha altresì chiarito, sulla scorta della prevalente ricostruzione del factoring da parte di dottrina e giurisprudenza, che l’attività in questione ha natura eminentemente finanziaria, tenuto conto tanto dei soggetti legittimati ad esercitarla quanto della causa del negozio, ossia il finanziamento, con la conseguenza che la stessa rientra tra le operazioni esenti di cui all’articolo 10, comma 1, n. 1 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Per completezza si rappresenta che la Corte di Giustizia CE, con la sentenza del 28 ottobre 2010 causa C-175/09, si è pronunciata su una fattispecie qualificata alla stregua di recupero crediti consistente in un servizio di raccolta e di gestione dei pagamenti per conto dei clienti da parte di un prestatore di servizi.
Con la citata sentenza la Corte in particolare ha chiarito che non rientra nel regime di esenzione IVA una prestazione di servizi la cui finalità è quella di far conseguire ai clienti, nel caso di specie dentisti, i pagamenti delle somme di denaro ad essi dovuti dai loro pazienti. Tale servizio è dunque volto a far ottenere il pagamento di debiti che consiste, tra l’altro, nel richiedere alla banca di un terzo (soggetto debitore) il trasferimento, mediante un sistema di “addebito diretto”, di una somma dovuta da detto terzo al cliente (soggetto creditore) del prestatore del servizio, trasferimento operato sul conto del medesimo soggetto cliente (soggetto creditore). Assumendo l’incarico del recupero di crediti per conto del titolare degli stessi, in altre parole, il prestatore “libera i propri clienti da compiti che, senza il suo intervento, questi ultimi, in qualità di creditori, dovrebbero effettuare da soli” (cfr. punto 33 della causa C-175/09).
La Corte ha ritenuto che tale servizio rientri nella nozione di “recupero di crediti”, in quanto tale escluso dal regime di esenzione.
Nel rendere tale chiarimento la Corte ha anche affermato che, ai fini della qualificazione di un servizio quale “recupero crediti” non rileva il fatto che esso sia fornito al momento della scadenza dei crediti in questione. Ciò in quanto la formulazione della norma comunitaria – vale a dire l’articolo 13, parte B, lettera d), punto 3, della Direttiva 77/388/CEE, vigente all’epoca dei fatti oggetto della causa, poi trasfuso nell’articolo 135, paragrafo 2, lettera d) della Direttiva 2006/112/CE – “riguarda il recupero dei crediti di qualsivoglia natura, senza restringere il suo campo di applicazione a crediti che non erano soddisfatti al momento della loro scadenza. Peraltro il factoring, che in tutte le sue forme rientra nella nozione di ‘ricupero dei crediti’ (ndr. nel senso già chiarito con la sentenza MKG-Kraftfahrzeuge-Factoring oggetto dei chiarimenti della Risoluzione 139 del 2004 ) non è limitato a crediti rispetto ai quali il debitore è già inadempiente. Esso può anche avere ad oggetto crediti non ancora scaduti e che saranno pagati alla scadenza”.
Le conclusioni contenute nella risoluzione n. 139 del 2004 devono intendersi confermate anche a seguito di quest’ultima pronuncia della Corte di Giustizia, in quanto nella sentenza del 28 ottobre 2010 causa C-175/09 la Corte ha inteso ribadire l’orientamento manifestato con la sentenza – espressamente richiamata – del 26 giugno 2003 causa C-305/01, pronunciandosi in merito ad una fattispecie che evidenzia chiaramente le caratteristiche tipiche del recupero crediti, piuttosto che quelle del factoring. Come innanzi esposto, infatti, nel caso esaminato dalla Corte il credito non forma oggetto di trasferimento dal creditore originario al prestatore del servizio, il quale si limita ad assumere “l’incarico del recupero di crediti per conto del titolare degli stessi” ed in tal modo “libera i propri clienti da compiti che, senza il suo intervento, questi ultimi, in qualità di creditori, dovrebbero effettuare da soli, compiti consistenti nel richiedere il trasferimento di somme ad essi dovute attraverso il sistema di addebito diretto”. (cfr. punto 33 sentenza C-175/09).
Rimane dunque fermo il principio secondo il quale è necessario esperire di volta in volta un'indagine che consenta di individuare la corretta natura dell'operazione concretamente realizzata.
Alla stregua degli ulteriori chiarimenti forniti dalla Corte si può infatti precisare che, se la causa del contratto consiste nell’ottenere da parte del prestatore una gestione dei crediti rivolta essenzialmente al recupero degli stessi, l'operazione è da qualificare come recupero crediti e come tale imponibile ai fini Iva.
Di contro, qualora il creditore, con la stipula di un contratto di factoring, vuole ottenere un finanziamento (in pratica, una monetizzazione anticipata dei propri crediti), per il quale paga una commissione che si atteggia, in linea di principio, alla stregua di un pagamento di interessi (essendo solitamente quantificata in una percentuale dell'ammontare dei crediti ceduti), allora appare evidente che il factoring costituisce una vera e propria operazione finanziaria esente da Iva. In tale ipotesi, la presenza di clausole diverse, pro soluto o pro solvendo, non incide sulla natura finanziaria del contratto ma, verosimilmente, solo sulla determinazione della commissione.
L’esame da condurre è, dunque, orientato ad individuare la causa del contratto stipulato tra il cedente ed il cessionario del credito.
L’attività del factoring, come correttamente sostenuto dall’Associazione istante, si differenzia da quella del recupero crediti innanzitutto sotto il profilo causale; se la prima mira principalmente a soddisfare esigenze di finanziamento dell’impresa, la seconda è finalizzata al soddisfacimento delle ragioni creditorie del creditore.
Ancorché tra i servizi prestati dal factor, oltre al finanziamento, possano essere ricompresi anche quelli legati alla garanzia del buon fine del credito stesso, tale prestazione – come sopra anticipato – non muta la causa finanziaria del contratto, anzi, in linea di principio, la rafforza. Infatti, quando il factor non ha diritto di rivalersi in capo al cedente per l’insolvenza del debitore ceduto, emerge con maggiore forza la differenza rispetto alla prestazione di recupero crediti in virtù della quale il prestatore riversa le somme al creditore soltanto dopo la effettiva riscossione del credito.
Non meno rilevante è la diversità dei soggetti chiamati a svolgere le due diverse attività (factoring e recupero crediti) sul mercato e la loro soggezione a discipline di settore differenti, entrambe indice della difficoltà di assimilare le une alle altre.
In definitiva, deve ritenersi confermato il principio contenuto nella Ris. 139/E del 2004 secondo cui l’attività di factoring va inquadrata tra le attività finanziarie esenti di cui all’articolo 10, comma 1, n. 1 del d.P.R. 633 del 1972 con ciò differenziandosi dalle attività, imponibili ad IVA, di recupero crediti. Non può, pertanto, ritenersi aderente all’ordinamento giuridico interno l’affermazione contenuta nel punto 34 della causa C-175/09 secondo cui “il factoring … in tutte le sue forme rientra nella nozione di ‘ricupero dei crediti’”.
Per una più agevole analisi della causa del contratto, si ritiene opportuno fornire alcuni criteri da applicare al fine di accertare se la prestazione oggetto di esame consista in un’operazione di factoring ovvero di recupero crediti, con l’avvertenza che si tratta di una casistica non esaustiva dei criteri che possono essere applicati nel condurre la predetta analisi.
Nelle operazioni di factoring si verifica la cessione della titolarità del credito, a nulla rilevando il fatto che il cedente sia liberato dal rischio del buon fine dell’operazione (cessione pro soluto) ovvero non lo sia (cessione pro solvendo). Nelle operazioni di recupero crediti, invece, non si verifica la cessione della titolarità del credito, come chiarito al punto 33 della causa C-175/09.
La causa finanziaria delle operazioni di factoring è confermata dal fatto che il cessionario versa una somma di denaro al cedente all’atto della cessione del credito, consentendo a quest’ultimo di ottenere la trasformazione del credito in attività liquide prima della scadenza naturale del credito o comunque prima della data di presumibile incasso.
Ne consegue che l’effettiva erogazione – al momento della cessione del credito – da parte del cedente al cessionario dell’importo corrispondente al valore di cessione concordato costituisce un elemento tipico dei contratti di factoring. Di contro, la presenza di una clausola che preveda l’erogazione delle somme al creditore solo al momento dell’effettivo incasso da parte del prestatore costituisce un elemento tipico della prestazione di recupero crediti.
Laddove in applicazione dei principi sopra illustrati la fattispecie è riconducibile ad un contratto di factoring, il compenso del factor, costituito dalla differenza tra il valore nominale del credito e le somme anticipate, è assoggettato al regime di esenzione, a prescindere dalla circostanza che il compenso del factor venga eventualmente scomposto tra commissioni ed interessi ovvero venga previsto un unico compenso in cui la componente “commissioni” risulti prevalente rispetto alla componente “interessi”, determinata in base a parametri di riferimento mediamente praticati sul mercato ovvero in base ad altri criteri.
Di contro, qualora il factor renda altre prestazioni di servizi (ad esempio, analisi del portafoglio crediti, gestione dei crediti diversi da quelli ceduti, ecc.) aggiuntive rispetto alla cessione del credito, quest’ultima non perde la sua natura finanziaria, se per tali ulteriori prestazioni viene convenuto un autonomo corrispettivo. Va da sé che rispetto a queste ultime prestazioni dovrà essere individuato caso per caso il regime IVA applicabile.
Le Direzioni Regionali vigileranno affinché le istruzioni impartite ed i principi enunciati nella presente risoluzione vengano applicati con uniformità.

Commento

(di Daniele Minussi)
La circolare prende le distanze da quanto deciso in sede comunitaria (Corte di Giustizia CE, sent. giugno 2003, causa C-305/0), ribadendo l'esistenza delle ragioni che rendono fiscalmente distinte le operazioni di factoring (riservate agli operatori finanziari) da quelle di recupero crediti (attuabili da soggetti che non rivestono la qualità di operatori finanziari).

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