Cassazione Civ., Sez. I, n. 4033/2003. Lecita la vendita di beni in comunione legale anche senza il consenso di uno dei due coniugi.

La comunione legale dei beni tra i coniugi è una comunione senza quote, nella quale i coniugi sono titolari di un diritto avente per oggetto i beni di essa e rispetto alla quale non è ammessa la partecipazione di estranei. Ne consegue che ciascun coniuge, mentre non ha diritto di disporre della propria quota, può tuttavia disporre dell'intero bene, ponendosi il consenso dell'altro come un negozio autorizzativo che rimuove un limite all'esercizio del potere dispositivo e la cui mancanza deve essere fatta valere nei termini fissati dall'articolo 184 del Cc. Per ciò che concerne, invece, gli atti di disposizione su beni mobili, il codice si limita a porre a carico del coniuge che ha effettuato l'atto in questione l'obbligo di ricostruire la comunione o, qualora non ciò non sia possibile, di pagare l'equivalente del bene senza stabilire alcuna sanzione di annullabilità o d'inefficacia per l'atto compiuto.

Commento

La S.C., sulla scorta della definizione della comunione dei beni tra i coniugi quale "comunione senza quote" (sulla quale cfr. Corte Cost.311/1988) nonchè della disciplina approntata dal codice, perviene a considerare la liceità dell'atto di alienazione posto in essere da uno solo dei coniugi relativamente alla cosa mobile appartenente alla comunione. Ciò a differenza di quanto è dato di poter osservare in tema di beni immobili o di mobili registrati, ipotesi in cui il relativo atto è annullabile, sia pure entro un breve termine (decadenziale?).

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