Cass. Civ., sez. III, n. 3469/2007. Datio in solutum e cessione del credito .

A norma dell'art. 1198, c.c., nell'ipotesi di cessio pro solvendo grava sul cessionario che agisce nei confronti del cedente provare l'esigibilità del credito e, quindi, l'insolvenza del debitore ceduto a seguito della sua infruttuosa escussione, contemporaneamente alla circostanza che la mancata realizzazione del credito non è dipesa altresì da negligenza nell’iniziare o proseguire le istanze dirette contro il medesimo debitore ceduto.

Non sussistendo alcun effetto novativo nella cessione del credito pro solvendo, a norma dell'art. 2935, c.c., la prescrizione del debito ceduto - che non è influenzata da quella propria del debito originario - inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, ovvero per effetto dell’infruttuosa escussione del debitore ceduto.



Commento

La datio in solutum ben può avere ad oggetto un credito. Quando ciò accade, la legge prevede che l'estinzione del debito intercorra soltanto con la riscossione effettiva del credito (art.1198 cod.civ.). In altri termini la cessione ordinariamente intercorre pro solvendo, non producendosi prima dell'adempimento alcuna efficacia estintiva, nonostante l'intervenuto effetto traslativo relativamente al credito ceduto. Ciò non toglie che la regola in esame non debba fare i conti con quella di cui al II comma dell'art.1267 cod.civ., ai sensi della quale, quando la mancata realizzazione del credito per insolvenza del debitore dipende dalla negligenza del cessionario, la garanzia cessa. Ne segue che, quando il cessionario agisce verso il debitore cedente per ottenere il soddisfacimento del proprio (originario) credito in relazione all'insolvenza del debitore ceduto, deve dar conto di aver diligentemente coltivato le azioni nei confronti di quest'ultimo.

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