Cass. Civ., Sez. III, n. 20106/2009. L' esercizio del diritto di recesso deve avvenire nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza. Al giudice spetta la valutazione se tale esercizio integri l'ipotesi di abuso di diritto.

L'esercizio di una clausola che riconosca ad un contraente la facoltà di recedere ad nutum dal contratto deve avvenire nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza, anche al fine di riconoscere l'eventuale diritto al risarcimento del danno per l'esercizio di tale facoltà in modo non conforme a tali principi.
Il principio della buona fede oggettiva, ossia della reciproca lealtà della condotta delle parti, non solo vincola i contraenti nella fase dell'esecuzione del contratto ed in quella della sua formazione, ma deve intendersi riferito anche agli interessi sottostanti alla stipula del regolamento negoziale, a tale conclusione pervenendosi sull'assunto che la clausola generale di correttezza e buona fede costituisce un autonomo potere giuridico espressione del generale dovere di solidarietà sociale e come tale è idonea ad imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire preservando le ragioni dell'altra.
L'ammissibilità del controllo sulla ragionevolezza del contratto da parte del giudice si estende anche all'esercizio del diritto di recesso; al fine di affermarne od escluderne il suo esercizio abusivo l'interprete non è infatti chiamato ad effettuare una valutazione politica, ma giuridica in quanto diretta a verificare la rispondenza dell'atto di recesso alle finalità delineate e consentite dal legislatore.

Commento

(di Daniele Minussi) La Suprema Corte affronta il difficile tema dell'abuso del diritto da un angolo visuale assolutamente originale: si trattava infatti di sindacare la condotta di un contraente che si era avvalso del diritto, previsto da specifica clausola contrattuale, di recedere dal contratto (di durata), nella fattispecie intercorrente tra una casa automobilistica e la rete dei propri concessionari. La regola del comportamento secondo correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 cod.civ. in questo senso è stata eretta a criterio indicativo delle condotte arbitrarie, che non potrebbero rinvenire giusitificazione nella semplice constatazione dell'intervenuta libera stipulazione (conforme al principio di cui all'art. 1322 cod.civ.) della clausola contrattuale contemplante il recesso ad nutum.

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