Cass. Civ., Sez. II, n. 14467 del 30 giugno 2011. La situazione giuridica del coerede comproprietario e compossessore: ai fini dell'usucapione è necessaria la manifestazione dell'animus possidendi in via esclusiva.

Il coerede è a un tempo comproprietario e compossessore dei cespiti ereditati e, pertanto, risulta perfettamente in grado di usucapirne l’intero a seguito del possesso ventennale, pacifico, non violento ed ininterrotto: affinché ciò accada, tuttavia, è necessario non solo il disinteresse degli altri coeredi al possesso della cosa, quanto e soprattutto l’estensione del possesso da parte del coerede, ossia il manifestarsi del suo animus possidendi in termini di esclusività, ergo di proprietà e non già di comproprietà. Il coerede, insomma, che è già compossessore “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, non è tenuto ad un mutamento del titolo, ma solo ad una estensione dei limiti del suo possesso. Il coerede, nel possesso del bene ereditario comune ad altri eredi, per acquistare il bene posseduto non ha pertanto bisogno di alcuna interversione: ciò che conta è esclusivamente l’animus possidendi, il quale, lungi dal trasformare il detentore in possessore, comporta invece la mutazione “qualitativa” di un possesso che già si manifestava in termini proprietari, pur nell’ambito della comunione.

Commento

(di Daniele Minussi)
La pronunzia precisa i requisiti del possesso del coerede ai fini dell'usucapione dell'intero bene. Non serve, nell'ipotesi, alcuna interversione del possesso, la cui qualità è già tale da importare pacificamente l'acquisibilità per usucapione. Occorre tuttavia che, dal punto di vista "quantitativo", la situazione possessoria si manifesti con caratteristiche di esclusività, in modo tale, cioè, da escludere che altri soggetti la possano condividere.

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