Cass. Civ., sez. II, n.8801/2003. Onere della prova del mancato avveramento della condizione.

Per l'applicazione della norma di cui all' art.1359 del Cc, volta a sanzionare i comportamenti del contraente che ha un interesse contrario all' avveramento della condizione contrari a correttezza e buona fede, è necessaria la sussistenza di una condotta dolosa o colposa di detto contraente, non riscontrabile in un semplice comportamento inattivo, salvo che questo non costituisca violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge; e colui che addebita all'altra parte il mancato avveramento della condizione deve provare non solo il fatto obiettivo del mancato avveramento, ma anche l'imputabilità del medesimo, a titolo di dolo o di colpa; prova quest'ultima che suppone la preventiva allegazione, da parte del contraente che chiede l'applicazione di detta norma, degli obblighi inadempiuti della controparte, imposti dal contratto o dalla legge, e dei comportamenti specifici in cui è ravvisabile il suo dolo o la sua malafede.

Commento

Allo scopo di determinare l'operatività della sanzione consistente nella finzione di avveramento della condizione (rectius: dell'evento condizionale), la parte interessata deve dar conto anche dell'imputabilità del (mancato) accadimento a titolo di dolo o, quantomeno, di colpa, alla controparte. Ne segue che, quando la condotta "incriminata" sia di carattere omissivo, occorre rintracciare in positivo un preciso obbligo di attivazione, la cui violazione venga a concretare il comportamento idoneo a far scattare la sanzione in esame.

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