Azione di riduzione. Limiti al recupero dai convenuti di quanto si sarebbe dovuto ottenere dai beneficiari verso i quali l'azione non è stata proposta. (Cass. Civ., Sez. VI-II, ord. n. 32197 del 5 novembre 2021)

L'azione di riduzione non dà luogo a litisconsorzio necessario, né dal lato attivo né dal lato passivo, e può, quindi, essere esercitata nei confronti di uno solo degli obbligati alla integrazione della quota spettante al legittimario; tuttavia, qualora quest'ultimo non abbia attaccato tutte le disposizioni testamentarie lesive, non potrà recuperare, a scapito dei convenuti, la quota di lesione a carico del beneficiario che egli non abbia voluto o potuto convenire in riduzione, e potrà pretendere dai donatari solo l'eventuale differenza tra la legittima, calcolata sul "relictum" e il "donatum", e il valore dei beni relitti - giacché la loro sufficienza libera i donatari da qualsiasi pretesa - né potrà recuperare a scapito di un donatario anteriore quanto potrebbe pretendere dal donatario posteriore, giacché se la donazione posteriore è capiente le anteriori non sono riducibili, ancorché la prima non sia stata attaccata in concreto dall'azione.

Commento

(di Daniele Minussi)
La pronunzia pone un principio rilevante. Dopo aver premesso che l'azione di riduzione non configura un'ipotesi di litisconsorzio (nè attivo nè passivo), ne vengono messe a fuoco le conseguenze. Se infatti il legittimario leso non agisce in riduzione nei confronti di uno dei beneficiari di disposizioni testamentarie lesive oppure di uno dei donatari che da ultimo in senso cronologico ha depauperato l'asse, il promovimento dell'azione potrebbe in concreto rivelarsi infruttoso, ogniqualvolta venisse provato che la lesione dipende dalle disposizioni di ultima volontà ovvero dalla donazione effettuata per ultima e non oggetto di impugnativa.

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