Annullamento del contratto. Buona fede del terzo acquirente di bene immobile alienato da uno soltanto dei coniugi in regime di comunione legale. (Cass. Civ., Sez. II, sent. n. 24816 del 9 ottobre 2018)

Deve ritenersi legittima la condanna del terzo (che aveva acquistato un immobile da uno soltanto dei coniugi che l'aveva precedentemente acquistato come bene personale) al rilascio dell’immobile rivelatosi in comunione. Egli infatti non può essere ritenuto in buona fede rispetto alla destinazione d’uso a studio professionale, dovendosi presumere che se avesse previamente visionato l’immobile si sarebbe reso conto che si trattava di una abitazione coniugale. Il sopravvenuto accertamento dell’appartenenza del bene anche all’altro coniuge può essere opposto al compratore qualora si dimostri che costui non fosse in buona fede ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1445 cod.civ., posto che l’atto di trasferimento a detto acquirente era stato trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale di annullamento del contratto. Deve infatti ritenersi che la verifica preventiva delle condizioni dell’immobile sia di regola compiuta da un compratore di media agiatezza.

Commento

(di Daniele Minussi)
L'antefatto della vicenda sottoposta all'attenzione della S.C. era costituito dall'acquisto, da parte del marito soltanto, di un'unità immobiliare classata catastalmente come ufficio (a/10), ma successivamente adibita in fatto ad abitazione coniugale unitamente alla moglie con la quale viveva in comunione legale dei beni. Successivamente, essendo i coniugi giunti ai ferri corti, l'uomo provvedeva a vendere il bene "personale" ad un terzo, trascrivendo l'atto di alienazione prima che la moglie avesse a propria volta a trascrivere la domanda giudiziale con la quale domandava, ai sensi dell'art. 177 cod.civ., l'accertamento della natura comune del bene acquistato suo tempo stipulato dal solo marito, per l'effetto dovendo il bene essere imputato alla comunione legale tra essi coniugi. Così inquadrato l'antefatto, quid juris circa l'atto di vendita posto in essere dal solo marito in relazione ad un bene successivamente ricondotto alla comunione legale dei beni? Tale atto, che può essere qualificato come annullabile ex art. 184 cod.civ., vede la salvezza del diritto del terzo avente causa dal coniuge decisa dal modo di disporre dell'art. 1445 cod.civ, norma in forza della quale l' annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede.
Dunque il punto è tutto qui: può essere considerato in buona fede l'acquirente di un "ufficio" che in effetti è un'abitazione e che non merita neppure una visita da colui che intende acquistarlo? La risposta è negativa e l'acquisto dunque "cade". Si deve considerare, secondo la S.C. immune da censure il ragionamento del giudice di rinvio che, per escludere la buona fede del terzo acquirente, si è basato, su tale unico elemento, il quale tuttavia è stato ritenuto grave e preciso.

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