Cessioni di ramo d'azienda, operazioni societarie finalizzate ad eludere le pretese creditorie. Abuso del diritto? Ma quanto è vasta questa categoria? (Tribunale di Reggio Emilia, 7 luglio 2015)

Pur se il codice civile non contiene una previsione generale di divieto di esercizio del diritto in modo abusivo, ma solo specifiche disposizioni in cui è sanzionato l’abuso con riferimento all’esercizio di determinate posizioni soggettive (art. 833, art. 1438, art. 2598, art. 840, comma III, art. 844, comma I, art. 330, art. 1015, art. 2793 c.c.. Vi sono inoltre situazioni specificamente disciplinate che rappresentano indici normativi per dimostrare la sensibilità del diritto vigente al problema dell’abuso: art. 1447, art. 1448, art. 1328, art. 81, art. 1341 c.c.) da tali singole ipotesi può enuclearsi un principio generale di divieto di esercizio del diritto in modo abusivo: si ha dunque abuso del diritto in tutti casi nei quali si verifica un’alterazione della funzione obbiettiva dell’atto rispetto al potere di autonomia che lo configura, o perché si registra un’alterazione del fattore causale, o perché si realizza una condotta contraria alla buona fede ovvero comunque lesiva della buona fede altrui.
Gli elementi costitutivi dell’abuso sono tre: la titolarità di un diritto soggettivo, con possibilità di un suo utilizzo secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; l’esercizio concreto del diritto in modo rispettoso della cornice attributiva, ma censurabile rispetto ad un criterio di valutazione giuridico o extragiuridico; la verificazione, a causa di tale modalità di utilizzo, di una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare e il sacrificio cui è costretta la controparte.
L’operazione eseguita di cessione dell’intero patrimonio ad una società neocostituita con compagine sociale sostanzialmente identica, si spiega non già con la volontà di una trasformazione societaria , quanto piuttosto con la volontà di rendere la nuova società, in prosecuzione della precedente, impermeabile rispetto alla situazione debitoria pregressa. Trattasi quindi di un caso di abuso del diritto, tenuto conto del fatto che, in violazione del principio di buona fede, la cessione dell’azienda è stata effettuata per un fine diverso da quello tutelato dalla norma e quindi con violazione della causa concreta del negozio.

Commento

(di Daniele Minussi)
Rimarchevole la pronunzia della Corte di merito emiliana. Qualora fosse confermata tale tendenza ermeneutica non potremmo sicuramente dire che la certezza del diritto sarebbe rafforzata. Il fatto: una società ha una cospicua posizione debitoria. Cede l'azienda che ne costituisce la sostanza ad altra società che ha (quasi) gli stessi soci della cedente che rimane un guscio vuoto, con pregiudizio dei creditori.
Quid juris?
Il ragionamento della Corte, volto ad individuare l'esercizio "abusivo" del diritto si impernia su una triade concettuale: "la titolarità di un diritto soggettivo, con possibilità di un suo utilizzo secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate; l'esercizio concreto del diritto in modo rispettoso della cornice attributiva, ma censurabile rispetto ad un criterio di valutazione giuridico od extragiuridico; la verificazione, a causa di tale modalità di utilizzo, di una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare ed il sacrificio cui è costretta la controparte".
Prescindendo dall'utilizzo di una fraseologia inquietante (che un diritto possa essere esercitato secondo "una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate") sembrerebbe invero cosa non soltanto scontata e banale, ma l'essenza stessa del diritto soggettivo, quello che non torna è l'impianto generale della pronunzia. Infatti le plurime pronunzie citate nell'apparato argomentativo sono tutte angolate dal punto di vista dei rapporti contrattuali. Il principio di correttezza e di buona fede contrattuale che implica il divieto di comportamenti abusivi infatti ha come termine di riferimento le parti di un rapporto e non, come nel caso di specie, una res inter alios acta. Qui il soggetto che "protesta" non è l'altra parte del rapporto contrattuale che si duole della condotta abusiva, ma un terzo che lamenta di atti di disposizione effettuati in suo pregiudizio. E una bella azione revocatoria?

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