Trust liberale con beneficiari contingenti e imposte di donazione, ipotecaria e catastale


In data ..., con atto n. ... di repertorio, registrato il ... al n. ..., il Notaio ... ha stipulato un atto istitutivo di trust, avente ad oggetto beni immobili siti in ..., regolato dalla Trusts (Jersey) Law 1984 e successive modificazioni.
Tale atto è stato registrato con il pagamento delle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa.
L’ufficio, con l’avviso in oggetto, ha richiesto invece il pagamento:
- dell’imposta di donazione nella misura del 6%, pari a euro ...;
- delle imposte ipotecaria e catastale nella misura complessiva di euro ...;
L’ufficio ha motivato l’avviso come segue.
“La costituzione di beni in trust, rileva ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni. Il conferimento di beni nel trust va assoggettato pertanto all’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale. Ai fini dell’applicazione delle aliquote e delle relative franchigie, occorre guardare al rapporto intercorrente tra il disponente e il beneficiario finale. Nel caso in cui il beneficiario finale o il beneficiario individuato con il grado di parentela con il disponente, non risulti ben identificato, l’imposta si applica nella misura dell’8%. Nel caso presente, essendo ipotizzabile che la devoluzione finale possa avvenire a favore di parenti fono al 4° grado, quindi di soggetti già individuati o individuabili, si applica l’aliquota del 6%. Sono comunque dovute le imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale in quanto la loro applicazione non dipende dall’ individuazione del beneficiario finale”.
Si citano, quali fonti normative, l’art. 2, comma, 47 del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito in l. 24 novembre 2006, n. 286 e il d. lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 e, quali fonti di prassi amministrativa, le circolari n. 48/E del 7 agosto 2007 e la n. 3/E del 22 gennaio 2008.
L’atto di trust in questione, all’art. 42, contiene la seguente clausola.
“Art. 42) Beneficiario Finale
Per Beneficiario Finale si intende il soggetto cui spettano, secondo le disposizioni di questo atto, i Beni in Trust che alla scadenza del Trust (come definita all’art. 8) risultino non ancora attribuiti, durante il periodo in cui il Trust ha avuto esecuzione, né a Beneficiari del Reddito né in virtù dell’art. 43.
Nel caso in cui, alla scadenza del Trust, la Disponente sia di stato libero e senza figli viventi, Beneficiario Finale è ... qualora egli sia in vita; nel caso in cui egli non sia in vita Beneficiari Finali saranno, in parti uguali fra loro, ... e ..., figli di ..., sorella di ..., madre della Disponente.
Nel caso in cui, alla scadenza del Trust, la Disponente sia coniugata ed abbia figli viventi Beneficiari Finali saranno, in parti uguali tra loro, il coniuge e i figli.
Nel caso in cui, alla scadenza del Trust la Disponente sia coniugata ma non abbia avuto figli ovvero non vi siano figli viventi, Beneficiario Finale sarà il coniuge.
Nel caso in cui, alla scadenza del Trust, la Disponente sia di stato libero ed abbia figli viventi, Beneficiari Finali saranno i figli in parti uguali tra loro.”
E’ di immediata evidenza che, al momento della stipula dell’atto, non si conosce con certezza chi siano i beneficiari finali, essendo sostanzialmente dette posizioni “instabili”, in quanto dipendenti dal verificarsi di determinati eventi.
In altri termini, trattasi di posizione beneficiarie sottoposte a condizione sospensiva.
L’ufficio fonda la sua richiesta applicando in maniera pedissequa quanto scritto nella circolare dell'Agenzia delle entrate n. 3/E del 22 gennaio 2008, che si inserisce nel solco della n. 48/E del 7 agosto 2007, espressamente dedicata ai trust.
In realtà sia la circolare del 2008 che quella del 2007, non hanno adeguatamente colto alcuni profili del diritto dei trust sul versante civilistico, senza contare che a tutt'oggi, quantomeno con riferimento all'imposizione indiretta, non vi è in Italia una disciplina normativa che si riferisca espressamente al trust.
L'individuazione del trattamento tributario, in assenza di chiare ed espresse disposizioni normative, non può che essere allora il frutto dell'interpretazione, che però deve rifuggere dall’appiattire la figura su altre proprie della nostra tradizione giuridica (come ad es. il negozio fiduciario, che con il trust ha pochissimo a che vedere), dovendo invece tenere invece conto delle specificità proprie di tale fenomeno giuridico.
Nessuna considerazione sul piano strettamente fiscale può essere quindi elaborata senza valutare l’articolarsi del fenomeno “trust” sul piano operativo e, in particolare sul piano civilistico della causa e degli effetti.
Prima dell’emanazione delle recenti circolari, l'Agenzia delle entrate non si era mai occupata ex professo di individuare struttura causa ed effetti del trust, salvo che nella ormai datata delibera del Secit del 1998, che ricostruiva il trust sostanzialmente appiattendolo sulla figura della sostituzione fedecommissaria, con conseguente applicazione dell’imposta (di successione/donazione) dovuta dal trustee su un valore pari a quello dell’usufrutto sui beni facenti parte del patrimonio trasferito, mentre il pagamento dell’imposta residuale a carico del beneficiario - sosteneva l’amministrazione – avrebbe dovuto essere collegato al momento della cessazione del trust, cioè al momento dell’attribuzione finale dei cespiti al beneficiario stesso.
Non è questo il luogo per soffermarsi sulle differenze strutturali tra trust e sostituzione fedecommissaria (per le quali si rinvia alla dottrina in materia), se non per rilevare che affermare puramente e semplicemente che il trust è riconducibile alla sostituzione fedecommissaria significa compiere l’errore metodologico di non tenere conto delle caratteristiche specifiche dell'istituto, che è certamente altro dalla sostituzione fedecommissaria.
Successivamente, l'Agenzia delle entrate, in risposta a tre interpelli, individua, quali elementi caratterizzanti l’istituzione di un trust :
a) la separazione patrimoniale (cioè la distinzione dei beni in trust rispetto al patrimonio personale del trustee);
b) l’intestazione degli stessi al trustee o ad un altro soggetto per conto del trustee;
c) la circostanza per cui il trustee viene investito di un potere-dovere, del quale debba rendere conto, di amministrare, gestire e/o disporre dei beni in conformità al programma stabilito nell’atto istitutivo del trust e secondo le norme della legge regolatrice del trust stesso.
Questi profili caratteristici sono però, a ben vedere, quelli che si ricavano dalla lettura dei primi paragrafi della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985 relativa alla legge applicabile ai trust e al loro riconoscimento.
Si giunge quindi all’intervento normativo costituito dall'art. 2, comma 47, del d.l. n. 262/2006, il quale nel reintrodurre l'imposta sulle successioni e sulle donazioni, include nel suo ambito la “costituzione di vincoli di destinazione”, e ciò - si noti - a prescindere dalla intenzione liberale o meno che muove il disponente, conducendo così a ricomprendervi tutti i trust, senza distinguere tra quelli c.d. liberali e quelli non liberali (ad es. i c.d. trusts solutori, di garanzia o, comunque, caratterizzati da profili di onerosità), ciò che puntualmente avviene con la circolare n. 3/E, laddove si afferma che "La costituzione di beni in trust rileva, in ogni caso, ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, indipendentemente dal tipo di trust”.
Sarà solo questione – secondo il pensiero dell’Agenzia – di accertare l’esistenza ed il tipo di rapporto di parentela o meno tra disponente e beneficiario per l’individuazione dell’aliquota (e dell’eventuale franchigia) in concreto applicabile.
Sicché in caso di trust di scopo o con beneficiari finali non legati da alcun rapporto di parentela con il disponente o comunque solo genericamente indicati e non identificabili, dovrà applicarsi l’imposta con l’aliquota più elevata dell’8% e senza alcuna franchigia.
Nel caso di specie l’aliquota viene applicata nella misura del 6% sulla base di una mera ipotesi: che i beneficiari finali siano soggetti legati al disponente da rapporto di parentela di quarto grado.
Viene immediata una domanda: esistono nel nostro ordinamento giuridico trattamenti tributari fondati sulle ipotesi ?
Come già anticipato, l’individuazione del trattamento tributario (non solo del trust ma) di qualsiasi fenomeno giuridico, non può prescindere dalla sua ricostruzione civilistica.
E tale ricostruzione, se da un lato è di estrema rilevanza con riferimento al fenomeno trust, in ragione del fatto che trattasi di istituto nato in un contesto giuridico diverso dal nostro, caratterizzato da principi e regole specifici, dall’altro non può giungere ad obliterare quelle che sono le caratteristiche e gli effetti propri dell’istituto, sia pure con tutte le cautele e i necessari adattamenti che l’importazione di esso nell’ordinamento italiano richiede.
Sul piano normativo l’art. 2 Conv. offre una definizione di trust che può essere di una qualche utilità in relazione ai problemi qui discussi.
Secondo tale norma per trust si intende il rapporto giuridico creato da una persona – il disponente – per atto tra vivi o mortis causa, allorquando dei beni vengano posti sotto il controllo di un trustee, nell’interesse di un beneficiario o per uno scopo determinato.
Tale definizione consente di ritenere quale elemento caratterizzante dell’istituto il controllo da parte del trustee dei beni costituiti in trust, pur se manchi la circostanza del trasferimento (il che accade in tutte le ipotesi di c.d. trust autodichiarato).
Né appare determinante la specificazione del beneficiario, potendo configurarsi l’istituto di che trattasi come trust di scopo (“purpose trust”), senza cioè beneficiari identificati o identificabili (rectius: senza soggetti legittimati ad agire contro il trustee per un interesse proprio), salvo verificare di volta in volta il tipo di scopo perseguito.
Che il profilo del controllo (rectius: della perdita del controllo) sia elemento caratterizzante l’istituto, si ricava dalla considerazione del rapporto intercorrente tra l’atto istitutivo di trust e l’atto dispositivo dei beni in favore del trustee.
La distinzione tra atto istitutivo e atto dispositivo è fatta propria anche dalla Conv. Aja, il cui art. 4 espressamente stabilisce, esprimendo così il suo totale disinteresse per l’atto dispositivo, che essa “non si applica a questioni preliminari relative alla validità dei testamenti o di altri atti giuridici, in virtù dei quali determinati beni sono trasferiti al trustee”.
Questa norma trova la propria origine appunto nella distinzione, all’interno della composita fattispecie costitutiva di un trust, del negozio istitutivo e del negozio dispositivo (il quale trasferisce il diritto dal disponente al trustee ovvero, nel caso di trust autodichiarato, determina la nascita del vincolo proprio del trust in capo a beni che sono e restano nella titolarità del disponente).
Scopo dell’art. 4 è proprio quello di rendere estraneo all’ambito applicativo della Convenzione ogni profilo di validità, sia formale che sostanziale, del negozio dispositivo: in tale ottica, quindi, il profilo della validità formale e sostanziale di detto negozio sarà disciplinato non già dalla legge regolatrice del trust, ma dalle norme di diritto internazionale privato proprie dei singoli Stati.
Il fatto che tali due atti siano distinti non toglie rilevanza alla considerazione secondo cui sul piano giuridico la vicenda sia da ricostruirsi in termini unitari.
Ciò significa che l’atto attributivo di beni al trustee, lungi dall’avere una causa astratta, ha una causa che è da rinvenirsi nel programma stabilito dal disponente nell’atto istitutivo, cui l’attribuzione stessa è funzionale. La causa del trasferimento dei beni al trustee è - come ha osservato autorevole dottrina -, l’attuazione dello scopo del trust e non si tratta di rinvenire una causa esterna.
Dalla stessa lettura dell’art. 2, 1° comma, della Conv. Aja (nel testo inglese) che parla espressamente di “legal relationship” si evince che il trust non è un atto, bensì un “rapporto giuridico”, che può essere realizzato anche attraverso atti formalmente separati, ma inscindibilmente uniti sotto il profilo causale.
Pertanto la funzione dell’atto attributivo di beni al trustee è quella, puramente strumentale, di consentirgli, attraverso il controllo dei beni stessi, di attuare il programma predisposto dal disponente nell’atto istitutivo.
Rispetto alla posizione assunta nel 1998 e nei tre interpelli sopra citati, nella circolare n. 3/E del 2008 l’Agenzia delle entrate afferma che il trust si sostanzia in un rapporto giuridico complesso avente “un’unica causa fiduciaria” che ne caratterizzerebbe tutte le vicende.
Questa affermazione è alquanto discutibile, sembrando più corretto affermare, invece, che il trust è una struttura la cui causa è “variabile” , una struttura “aperta”, quindi, che il disponente può utilizzare per il perseguimento di varie finalità o “scopi pratici” (la c.d. causa concreta), per usare le parole dell’ultima sentenza della Cassazione in materia di causa, da individuarsi di volta in volta sulla base del programma che egli ha predisposto nell’atto istitutivo (es. la realizzazione di una liberalità).
E la stessa Agenzia sembra confermare tale idea, laddove afferma che in materia di trust l’imposta è da applicarsi in relazione all’intrinseca natura e agli effetti giuridici dell’atto da tassare, secondo il principio dettato dall’art. 20 del d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131, il quale, sebbene enunciato in materia di imposta di registro, deve considerarsi applicabile in linea di principio anche alle altre imposte indirette.
Accomunare quindi tutti i trust sotto un’unica causa (fiduciaria) prescindendo dalla loro singolarità e specificità, pare confliggere con tale norma di principio.
Inoltre, nell’analizzare il fenomeno da sottoporre a tassazione, occorre considerare, oltre al principio della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost., soprattutto il principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost., come di seguito meglio vedremo.
L’Agenzia ritiene che nel caso in cui i beneficiari di un trust siano individuati nell’atto istitutivo il presupposto impositivo in capo a costoro sorga al momento dell’istituzione del trust.
L’affermazione è viziata da una non corretta comprensione del fenomeno.
L’errore di fondo è vedere i beneficiari del trust come titolari, già al momento dell’istituzione, dei beni trasferiti dal disponente al trustee, cioè del trust fund.
Tale visione confligge con la ricostruzione civilistica della posizione giuridica dei beneficiari, ormai consolidata nel senso che il beneficiario di un trust è titolare di un diritto di credito nei confronti del trustee (e in tal senso la stessa Agenzia configura la posizione del beneficiario in materia di imposte dirette).
Va precisato, però, che tale diritto di credito non ha ad oggetto il trasferimento dal trustee, in favore dei beneficiari, dei beni in trust (e tantomeno dei beni inizialmente trasferiti al trustee), ma il diritto di pretendere dal trustee l’adempimento delle obbligazioni che sorgono a suo carico a seguito dell’istituzione del trust.
Tali obbligazioni potranno certo concretarsi nel trasferimento di beni ai beneficiari, ma ciò è solo un effetto indiretto.
Il diritto di credito ha come oggetto diretto l’adempimento delle obbligazioni da parte del trustee.
La pretesa al trasferimento dei beni può infatti essere esercitata solo al termine del trust e non prima.
Nel trust, come ha ben osservato la dottrina si verifica una traslazione dalle “res” al “fund”: i beneficiari del trust acquisiscono una posizione giuridica non rispetto alle “res” (= i beni in trust), bensì rispetto al “fund”, cioè al valore rappresentato dai beni in trust.
Tanto è vero che la regola generale che governa l’attività del trustee è nel senso che egli ha sempre pienezza di poteri, dovendo essere la sua attività volta alla massimizzazione del valore dei beni in trust.
E’ pertanto propria del trust un’attività dinamica in capo al trustee, che può condurre (e di regola conduce) ad una “trasformazione” dei beni originari in altri.
Pare allora improponibile, alla luce del proprium del trust, pretendere di tassare il trasferimento in capo ai beneficiari in via anticipata, in sostanza assumendo che essi siano titolari del “trust fund” già al momento dell’istituzione del trust.
A seguito dell’istituzione del trust infatti, i beni in trust non entrano affatto nel patrimonio dei beneficiari (vi entra invece il diritto - di credito – di pretendere da parte del trustee l’adempimento delle sue obbligazioni) e anzi potrebbero non entrarvi mai (si pensi ad una perdita di valore conseguente ad errati investimenti).
Quanto sopra deve allora condurre a non applicare alcuna imposta proporzionale in sede di istituzione del trust e, in particolare all’atto traslativo dei beni dal disponente al trustee, a pena di violazione di principi costituzionali (art. 53 Cost.).
Analogamente nel caso di beneficiari individuati ma le cui posizioni siano instabili in quanto sottoposte a condizione sospensiva o a termine iniziale o finale, come nel trust oggetto della presente istanza.
Nel caso specifico, in applicazione della circolare n. 3/E l’ufficio adotta un’interpretazione che conduce ad un’applicazione dell’imposta particolarmente penalizzante, fondata, si badi, su una mera ipotesi: che beneficiari finali siano soggetti legati al disponente da rapporto di parentela di quarto grado.
Tuttavia, se il presupposto impositivo deve essere costituito dalla manifestazione di una capacità contributiva attuale, sembra doversi giocoforza concludere che in questa fattispecie, non essendovi arricchimento patrimoniale in capo al trustee né in capo ai beneficiari, i quali al momento dell’istituzione del trust non sono ancora definitivamente individuati, nessuna imposta proporzionale è dovuta.
Poiché il quadro normativo sul quale si deve ragionare è quello disegnato dai commi 47 e ss. dell’art. 2 del d.l. 262/2006, ne emerge che unici soggetti di cui la norma (art. 2, comma 49) sembra occuparsi ai fini della imposizione, sono gli effettivi beneficiari e non quelli ipotetici (!). Ciò in particolare laddove si statuisce che ”… l’imposta è determinata dall’applicazione delle seguenti aliquote al valore globale dei beni e dei diritti al netto degli oneri da cui è gravato il beneficiario …”.
Orbene, qualora il beneficiario sia solo determinabile e non da subito determinato, si può senza tema di smentita sostenere che il beneficiario sia il trust, qualificato dall’Agenzia nella circolare n. 3/E quale “immediato destinatario dei beni oggetto di disposizione segregativa” ?
Non pare cogliere nel segno, in questi casi, una tassazione in capo al trust con applicazione dell’imposta di successione e donazione fin da subito.
Si dovrebbe, coerentemente e in senso opposto a quanto affermato dall’Agenzia, applicare al momento del trasferimento dei beni al trustee la sola imposta di registro in misura fissa (così come accade per gli atti soggetti a condizione sospensiva ai sensi dell’art. 27 del d.p.r. 131/86 86, applicabile anche alla materia imponibile con l’imposta di successione e donazione ai sensi dell’art. 60 del d. lgs. 346/90) e solo successivamente procedere – al momento del trasferimento finale dei beni al beneficiario – all’applicazione dell’imposta di donazione, tenendo in considerazione il rapporto intercorrente tra disponente e beneficiario così come successivamente individuato.
A ciò si aggiunga che, concependosi una tassazione con applicazione di imposta di successione e donazione anche senza effettivo beneficiario, di fatto si perverrebbe alla costruzione di un sistema impositivo in grado di colpire un ipotetico trasferimento di ricchezza (a favore del trustee) che di fatto non c’è.
Ed infatti, così come già la dottrina precedente alla novella aveva rilevato, né l’atto istitutivo del trust (che ha valenza meramente programmatica) né l’atto dispositivo (o di dotazione) dal disponente al trustee – di regola scevri da una colorazione di onerosità - assumono rilevanza quali atti idonei al trasferimento definitivo di alcuna ricchezza a favore del trustee : ciò che rileva ed assume rilievo funzionale assorbente è piuttosto l’impegno del trustee alla conservazione dei diritti o dei beni al medesimo trasferiti e al compimento di tutti quegli atti (anche di alienazione e/o di immutazione, come si dice) che siano essi sì finalizzati ad arrecare ricchezza e benefici giuridico-patrimoniali ai destinatari finali (identificati o meno, identificabili o meno) del programma devolutivo elaborato dal disponente, unici effettivi fruitori del flusso patrimoniale ingenerato dal trust così istituito.
Il che fa 'pendant' con il peculiare 'status' di proprietario del trustee considerato sì titolare delle situazioni giuridiche e dei beni al medesimo trasferiti ma, per così dire, 'non a titolo personale” ('he is not the owner in his own right').
In forza di un fondamentale principio di logica giuridico-tributaria così come consacrato nell’art. 20 del d.p.r. 131/86 (secondo cui l’imposta va applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione prescindendo dal nomen iuris), applicabile anche ad imposte indirette diverse dall’imposta di registro e soprattutto in ossequio al sovraordinato principio di rango costituzionale del rispetto della c.d. capacità contributiva ex art. 53 Cost., dovrebbe essere dunque disattesa una interpretazione della novella, tale da far rifluire sotto il sistema impositivo di cui al d. lgs. 346/90, atti ed attività giuridico-economiche che non evidenziano quella capacità e che realizzano effetti forse anche traslativi, ma non certamente accrescitivi in senso patrimoniale nei confronti del trustee.
Diversamente potrebbe di fatto risultare violata quella "regola - di cui al prenominato art. 53 Cost. - di distribuzione degli oneri tributari...che si pone quale misura e limite dell'intervento normativo e quindi come criterio difensivo e protettivo della sfera individuale rispetto al prelievo fiscale". E si rischierebbe di accedere ad una interpretazione/applicazione del dettato normativo di cui sarebbe giustificato sospettare la legittimità costituzionale.
Dovendo di conseguenza rifluire in un ambito impositivo residuale - quello appunto dell'imposta di registro da applicarsi in misura fissa – per la tassazione delle fattispecie che pure si inseriscono nel circuito negoziale complessivo (quali l'atto istitutivo del trust e quello dispositivo a favore del trustee), ma non attuano direttamente il soddisfacimento degli interessi dei beneficiari effettivi.
Il che, si ripete, non pare contraddetto, ma al contrario confermato dal dato positivo medesimo della novella.
D’altro canto la stessa Agenzia, nella circolare n. 48/E del 7 agosto 2007, ha chiarito, sia pure con riferimento all’imposizione diretta (ma il ragionamento non può non valere anche per le imposte indirette) che il beneficiario individuato è il soggetto che esprime una capacità contributiva attuale.
Ed è proprio quanto accade nel trust in questione, nel quale, una volta escluso che il trustee, per le ragioni più volte dette, sia soggetto che esprime capacità contributiva, fino a quando non avverrà l’effettiva l’individuazione e il successivo effettivo trasferimento di redditi e/o beni al beneficiario, nessuna imposta proporzionale sarà dovuta.
Qualche ulteriore osservazione sul soggetto passivo, che l’Agenzia (sempre nella circolare n. 3/E) indica nel trust, argomentando sulla base dell’art. 5, 1° comma, del d. lgs. 346/90.
Tale argomento pare fallace, anzitutto perché individua nel trust e non nel trustee, il soggetto passivo, ignorando che sul piano civilistico è certamente da escludere la soggettività del trust.
In secondo luogo, l’art. 5, 1° comma, sul piano letterale si riferisce “ai donatari per le donazioni” e “ai beneficiari per le altre liberalità tra vivi”.
Nel caso del trust, anzitutto il trustee non è un donatario né un beneficiario (lo afferma la stessa Agenzia: “La fattispecie negoziale in esame si sostanzia in un atto dispositivo a titolo gratuito … privo dello spirito di liberalità proprio delle donazioni).
Inoltre la norma speciale di cui all’art. 2, comma 49, del d.l. 262/2006 richiama e conferma quale soggetto passivo il beneficiario, anche per le ipotesi di costituzione di vincoli di destinazione (tra cui rientrerebbe il trust secondo il pensiero della stessa Agenzia).
Va ancora una volta ribadito che il trustee non si arricchisce di alcunchè e quindi è da ritenersi, sotto il profilo tributario, in posizione assolutamente “neutra”.
Per una corretta tassazione è necessario invece ricostruire il trust secondo gli effetti giuridici propri del caso concreto e, con specifico riferimento ai trust c.d liberali (cioè la cui causa è liberale) come donazione indiretta dal disponente in favore dei beneficiari. Il trustee, in tale contesto, svolge il mero ruolo di esecutore del programma di attribuzioni predisposto dal disponente nell’atto istitutivo.
Escluso, per ragioni “ontologiche”, che il trustee debba essere il soggetto passivo dell’imposta proporzionale, la soluzione più corretta appare essere quella di applicarla non, come erroneamente ritiene l’Agenzia, immediatamente, all’atto di trasferimento dal disponente al trustee, che è atto né gratuito né oneroso bensì “neutro” ma, successivamente, e coerentemente con la ricostruzione civilistica dell’istituto, all’atto con cui il trustee, così realizzando il programma predisposto dal disponente nell’atto istitutivo, attribuisce i beni ai beneficiari (i quali si arricchiranno, integrando così il presupposto impositivo, soltanto al termine del trust).
Il soggetto passivo dell’imposta sarà quindi da individuarsi nei beneficiari del trust, destinatari della liberalità tra vivi, in perfetta coerenza con l’art. 5, 1° comma, del d. lgs. 346/90.
In materia di imposte ipotecaria e catastale convince poco la tesi esposta nella circolare n. 3/E, della loro debenza in misura proporzionale in quanto “corrispettivo per l’esecuzione delle relative formalità”.
L’Agenzia ritiene pertanto che – al di là della peculiarità dell’istituto del trust – ciò che rileva ai fini o meno dell’applicazione delle menzionate imposte in misura proporzionale è solo la presenza o meno nella singola fattispecie (costituzione del vincolo, trasferimento dei beni in esso conferiti all’atto del suo scioglimento, trasferimenti effettuati durante la permanenza del vincolo) dell’effetto traslativo.
La tesi, se sul piano dei principi astratti non può non essere condivisibile, in riferimento al microsistema “trust” richiede un ulteriore approfondimento e una più specifica disamina, tenendo conto delle particolarità dell’istituto.
In ordine alle modalità e ai criteri applicativi di dette imposte (da un lato in sé autonome e dall’altro collegate all’imposta di registro così come alle neo-reistituita imposta su successioni, donazioni altri atti a titolo gratuito e costituzioni di vincoli di destinazione), il ragionamento va infatti condotto avendo riguardo esclusivamente al profilo effettuale, rifuggendo da qualificazioni giuridiche solo teoriche.
Ed invero, a parte l’ipotesi piana del negozio istitutivo privo di efficacia traslativa e con funzione meramente programmatica soggetto ad applicazione della (sola) imposta ipotecaria in misura fissa (ad es. la costituzione del vincolo di destinazione ai sensi dell’art. 2645 ter c.c. ovvero il trust c.d. autodichiarato), il punto nodale è se in ogni caso i trasferimenti di beni e diritti (ovviamente di natura immobiliare) relativi a ciascuna delle vicende afferenti quel microsistema possano essere considerati fattispecie imponibili con imposte in misura proporzionale o meno.
Orbene, se si parte dal presupposto che anche l’applicazione delle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale – così come quella di registro e successione/donazione - presuppone un effettivo arricchimento dell’avente causa in omaggio al principio di rango costituzionale della capacità contributiva ex art. 53 Cost. più volte richiamato, si comprende come in ipotesi di trasferimento di beni dal disponente al trustee tale arricchimento difetti e che pertanto non appaia appropriata una imposizione della vicenda traslativa con ricorso ai criteri impositivi in misura proporzionale.
Altro e diverso discorso, è ovvio, va invece svolto in riferimento al trasferimento di quei beni e diritti che, per dare piena attuazione al programma istitutivo del trust come concepito dal disponente, il trustee sia eventualmente chiamato a porre in essere a favore dei beneficiari finali ad un certo momento o all’esito della durata temporale del trust. In tale fattispecie soltanto sarà giustificato il ricorso all’imposta in misura proporzionale, in quanto idonea ad incidere su di un effettivo trasferimento di ricchezza di cui sono destinatari i beneficiari.
Il ragionamento sembrerebbe peccare per eccesso in riferimento al c.d. trust di scopo (istituito per il conseguimento di una specifica finalità, non necessariamente liberale, e sempreché la legislazione di disciplina del relativo rapporto giuridico ne ammetta la validità), oppure nei c.d. trust con beneficiari non determinati o non determinabili, o infine individuabili (da parte del trustee o di un terzo) – c.d. trust discrezionale - solo nell’ambito di un certo novero soggettivo per espressa volizione in tal senso del disponente e quindi non ab initio, al momento della istituzione del trust. In tal caso infatti si potrebbe obiettare che, difettando – almeno con certezza e ab initio – un effettivo beneficiario, risulterebbe giustificata l’applicazione di imposte ipocatastali al trasferimento di beni e diritti reali nei confronti del trustee, non potendosi diversamente recuperarne l’importo nemmeno da un beneficiario finale, almeno individuabile nel momento in cui viene perfezionato il trasferimento.
Eppure questa conclusione sembra fondarsi parimenti su di una prospettiva non corretta, in quanto anche nelle dette fattispecie ed in mancanza di un beneficiario immediatamente ed agevolmente individuabile, difetta un’effettiva attribuzione di ricchezza a favore di alcuno, in quanto il trasferimento ha solo funzione strumentale per l’assolvimento del programma perseguito dal disponente, e del suo “valore economico”, per così dire, non ne fruiscono né il trustee (solo onerato per dare attuazione a quel programma) né alcun beneficiario individuato, che potrebbe anche di fatto mancare.
La ricostruzione come sopra illustrata pare, ad esempio, particolarmente comprensibile nei c.d. trust di garanzia, ove il debitore, per tutelare al meglio le ragioni dei creditori, trasferisce un bene immobile o un diritto reale immobiliare al trustee affinché questi provveda a sua volta ad allocarlo sul mercato e, così smobilizzandolo, a ritrarne un valore di realizzo finalizzato a più adeguatamente soddisfare quelle ragioni, con restituzione dell’eventuale residuo al disponente-debitore. Si tratta in tal caso di un trust con causa solutoria, destinato a sottrarre il bene o il diritto reale immobiliare all’azione esecutiva dei creditori, salvo sempre il legittimo ricorso all’azione revocatoria.
Ma in tal caso è intuitivo come le vicende in cui si articola il trust non comportano attribuzione di ricchezza né a favore di alcun beneficiario finale diretto o indiretto né tanto meno a favore del trustee, cui è conferita solo una legittimazione a disporre in via funzionale e che semmai assume nei confronti dei creditori solo un impegno ad assolvere al meglio i suoi compiti. Sicché apparirebbe iniquo che – oltre all’assolvimento di questi – egli debba essere tenuto anche al pagamento di imposte ipocatastali in misura proporzionale non ragguagliate ad alcuna accresciuta capacità contributiva, giustificandosi al contrario l’applicazione della sola imposta (ipotecaria e catastale) in misura fissa.
Resta salva invece – come si accennava - la legittima applicazione delle imposte ipocatastali in misura proporzionale al solo atto di trasferimento di quei beni e diritti attuato da parte del trustee nei confronti di quelli che possano essere considerati i beneficiari effettivi e finali del trust, al momento in cui quel trasferimento debba essere perfezionato secondo le istruzioni del negozio istitutivo o comunque al suo scioglimento (e sempreché questo trasferimento effettivamente consegua).
Così come con i criteri ordinari proporzionali saranno incisi tutti gli eventuali trasferimenti immobiliari posti in essere dal trustee nei confronti di terzi al fine di accrescere il valore dei beni in trust o per dare comunque esecuzione alle peculiari volizioni del disponente, e ciò in quanto, coerentemente, tali ulteriori trasferimenti comporteranno altrettanti definitivi trasferimenti di effettiva ricchezza per i singoli rispettivi aventi causa.
Tirando le conclusioni del discorso si può affermare che, per individuare la corretta tassazione, è necessario ricostruire ogni trust secondo gli effetti giuridici propri del caso concreto, tenendo presente che:
a) i trust c.d liberali (cioè la cui causa è liberale) sono in sostanza donazioni indirette dal disponente in favore dei beneficiari;
b) il trustee, nel contesto di un trust, svolge il mero ruolo di esecutore del programma di attribuzioni predisposto dal disponente nell’atto istitutivo;
c) deve essere escluso, per ragioni direi “ontologiche”, che il trustee possa essere il soggetto passivo dell’imposta proporzionale;
d) l’atto di trasferimento dal disponente al trustee, è atto né gratuito né oneroso bensì “neutro”;
e) solo successivamente, e coerentemente con la ricostruzione civilistica dell’istituto, quando il trustee, così realizzando il programma predisposto dal disponente nell’atto istitutivo, attribuirà il trust fund ai beneficiari sarà integrato il presupposto impositivo.

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