Trasformazione progressiva a maggioranza di società di persone in società di capitali: regole procedimentali (11/2009)


Massima

Si ritiene che la trasformazione progressiva di società di persone in società di capitali a mag-gioranza (art. 2500-ter c.c.) presupponga un’informativa preventiva rivolta a tutti i soci della società trasformanda. Pertanto:
(i) è opportuno che i patti sociali prevedano un iter procedurale idoneo a raggiungere tale scopo, precisandosi che il metodo assembleare è solo una delle possibili soluzioni e che possono essere adottati anche schemi meno rigidi e formali;
(ii) nel silenzio dei patti sociali dovranno essere adottate soluzioni che soddisfino tale istan-za con modalità e tempi congrui, pur non essendo obbligatorio adottare un procedi-mento mutuato dal tipo sociale di approdo.

La fattispecie ed il quesito

L'art. 2500-ter rende possibile la trasformazione di una società di persone in una società di capitali "con il consenso della maggioranza dei soci secondo la parte attribuita a ciascuno negli utili".

Tra i vari problemi che la novità normativa pone – si pensi ad esempio a quello tutt'ora dibattuto circa la sua applicabilità alle società esistenti alla data di entrata in vigore della riforma – vi è anche quello relativo al procedimento decisionale da seguire: le società di persone sono tendenzialmente governate dalla regola unanimistica, che non pone alcun problema di informazione e partecipazione dei soci, ma la legge quando prevede la possibilità di ricorso al principio maggioritario non detta alcuna regola per il procedimento.

Si pone quindi, nel caso in esame, il dubbio se sia possibile “decidere” la trasformazione senza necessità di seguire alcuno specifico percorso o se, pur in assenza di una esplicita presa di posizione del legislatore, sia possibile ricavare dai principi generali una qualche regola procedimentale, che almeno garantisca l’informazione dei soci e offra loro l’astratta possibilità di partecipazione.

La soluzione

Si ritiene preferibile fornire alla questione la soluzione più garantista per l’interesse di tutti i soci. Pur in assenza di espliciti dati testuali, sembra infatti che alcune minime prerogative “partecipative” debbano essere riconosciute e garantite anche al socio di minoranza di società di persone.

La motivazione: argomenti a favore dell’inesistenza di alcun obbligo procedimentale

A favore della tesi che riconosce alle società di persone la massima libertà procedimentale anche nel caso della trasformazione progressiva decisa a maggioranza militano vari argomenti.

In primis non può sottacersi il dato letterale dell’art. 2500-ter che, riferendosi espressamente ad una decisione – e non ad una deliberazione – e contemplando il “consenso” – e non il voto – dei soci, sembra escludere la necessità del ricorso al metodo collegiale nota1: in realtà, oltre a non essere autonomamente determinante, questo elemento può solo impedire di evocare uno scenario assembleare, di cui sarebbe coerente applicazione il riferimento ad una deliberazione, ma non anche escludere la possibilità di applicazione di ogni altro metodo decisionale che preveda una qualche formalità, come verrà meglio precisato oltre. Sotto il profilo letterale pesa inoltre l’assenza di ogni riferimento anche solo ad un embrione di procedimento, piuttosto che ad una disciplina dell’invalidità legata a possibili suoi vizi, indici tipici della sussistenza di regole e non di una totale libertà.

Un secondo elemento consiste nella posizione della dottrina prevalente e della giurisprudenza, quasi unanime, in materia di decisioni dei soci assunte a maggioranza nelle società di persone. Il tema ha appassionato a più riprese gli studiosi e, salvo un filone interpretativo innovativo maturato in anni recenti, sembrava aver trovato una definitiva soluzione favorevole all’assoluta libertà dei soci ed all’inesistenza di alcun vincolo procedurale nota2. Il tema della trasformazione, però, introduce elementi di novità, poiché da un lato investe – per riprendere una terminologia cara al dibattito – le “basi essenziali” della società e dall’altro obbliga al confronto con un quadro normativo in cui l’operatività del principio maggioritario non è più frutto di una precisa scelta dei soci – cfr. art. 252 “se non è convenuto diversamente” – ma un’opzione prevista dal legislatore. Se infatti l’art. 2500-ter costituisce una novità assoluta, perché disciplina proprio in uno dei settori che tradizionalmente ha più impegnato la dottrina per sancire l’operatività del principio maggioritario – le “basi essenziali”, appunto –, esso introduce allo stesso tempo un dubbio aggiuntivo legato alla circostanza che proprio per una così delicata decisione, adottabile a maggioranza, si possa eliminare ogni profilo di coinvolgimento, anche meramente informativo, di una parte della compagine sociale.

La tutela della minoranza dissenziente o non informata per una parte della dottrina non porrebbe particolari problemi, in quanto la scelta di campo del legislatore e la ratio legis dell’intervento riformatore sarebbe perfettamente coerenti. La “filosofia” tesa a mantenere un’assoluta libertà nell’ambito del procedimento di assunzione delle decisioni sarebbe infatti applicazione dell’intenzione di favorire ed incentivare la migrazione delle società di persone verso il modello corporativo, senza gravarle di ulteriori formalismi e vincoli proprio quando si è scelto di abbandonare una formula – quella unanimistica, appunto – che permetteva al singolo socio di esercitare un vero e proprio veto all’operazione; ed il definitivo abbandono di strumenti di tutela differenti dal semplice exit, che la facoltà di recesso garantisce, si inserirebbe a pieno nel più ampio disegno illustrato nota3.

Il diritto di recesso, in realtà, offre spunti contraddittori: secondo i fautori della necessità di una qualche forma di coinvolgimento di tutti i soci, infatti, “l’informazione è presupposto indefettibile per l’esercizio del diritto” nota4, ma a ben vedere una simile tesi deve fondarsi su ulteriori e più solidi elementi, poiché l’informazione, se unicamente strumentale al recesso, potrebbe anche essere successiva all’adozione della decisione ed al perfezionamento della trasformazione.

L’unica pronuncia ad oggi edita che affronta il punto, tra le numerose incentrate prevalentemente sull’applicabilità dei nuovi quorum alle società preesistenti, si muove nel solco della tradizione e sancisce che “la mancata convocazione del socio accomandatario (titolare di una quota di partecipazione agli utili pari allo 0,01%) presso il notaio nel giorno in cui i soci accomandanti (titolari di quote complessivamente pari al 99,99%) hanno deciso la trasformazione in s.r.l. è irrilevante, non avendo la volontà contraria dell’accomandatario alcun effetto impeditivo della validità della trasformazione” nota5; offre cioè un’ulteriore conferma giurisprudenziale della non operatività del metodo assembleare, evocato dall’esplicito riferimento alla “convocazione”.

Se sul piano degli indici normativi la tesi liberale gode di maggiori appigli, non può negarsi che l’esigenza di garantire a tutti i soci una soglia minima di informazione preventiva, strumentale alla possibilità di partecipazione al procedimento – anche se di natura non rigorosamente collegiale – è sempre più sentita: sia vari Autori che anteriormente alla riforma tornavano sul tema più generale delle decisioni assunte a maggioranza, che numerosi commentatori della norma in esame pongono infatti questa questione al centro della loro riflessione.

Tra i primi, il tratto comune è ravvisabile nell’esigenza di tutela della minoranza dissenziente, che da un procedimento collegiale vero e proprio, o comunque da sue forme “embrionali”, sarebbe maggiormente garantita nota6, una più recente dottrina, inoltre, individuando in ogni schema associativo un’istanza partecipativa, esprime “una posizione intermedia rispetto a quelle tradizionali, in virtù della quale, pur non riconoscendosi la vigenza del metodo collegiale nel modello legale delle società di persone, sia salvaguardato comunque l’interesse della minoranza alla partecipazione deliberativa, pur mediante regole caratterizzate dalla massima informalità possibile” nota7.

Già in precedenza, un altro Autore nota8 aveva concluso che l’istanza partecipativa è tratto comune a tutti i procedimenti decisionali dei gruppi: solo così ciascun singolo associato è in grado di tutelare la sua posizione all’interno del gruppo e può essere spiegata l’imputazione della decisione alla collettività e la sua vincolatività anche nei confronti dei dissenzienti; e tale effetto può realizzarsi anche prescindendo dal metodo collegiale, con differenti moduli organizzativi che rendano possibile “che tutti i soci siano preventivamente informati dell’oggetto della decisione e messi in condizione di parteciparvi, facendo conoscere tempestivamente la propria opinione al riguardo”, e che considerino “insopprimibili quelle fasi del procedimento, destinate alla raccolta dei singoli voti ed al loro computo, poiché – in mancanza di esse – non sembra possibile sostenere che vi sia stata una decisione, imputabile alla collettività dei soci”.

Alla luce della riforma le considerazioni appena svolte possono essere ampliate ed arricchite con nuovi spunti.
Per giustificare l'esigenza di una qualche forma di coinvolgimento delle minoranze non può essere disconosciuta la peculiarità di questa decisione e la valenza organizzativa della modifica che essa genera nota9: la trasformazione attua un radicale cambiamento delle regole di funzionamento dell'ente, realizza un passaggio da un contesto nel quale l'unanimità è la regola ad uno – la società di capitali – nel quale quello maggioritario diviene principio di funzionamento ordinario, e tutto ciò avviene attraverso una decisione assunta a maggioranza in virtù di una norma di legge – spesso – successiva alla sottoscrizione dei patti sociali. Anche altre modifiche dei patti sociali possono essere da sempre assunte a maggioranza, sfruttando la possibilità di deroga al principio unanimistico concessa dall'articolo 2252 c.c., ma in tali casi i soci hanno volontariamente introdotto tale regola nell'assetto organizzativo concordato.

Si deve poi considerare che la potestà decisionale della maggioranza non investe solo i profili strettamente legati alla trasformazione in se, ma si amplia fino a permettere di disciplinare "non solo le regole in tema di amministrazione, essendo tale facoltà, evidentemente, inscindibilmente collegata al passaggio ad un tipo capitalistico, ma anche la titolarità della relativa carica" nota10. Un accomandatario con una partecipazione del 40 per cento al capitale – ed una conseguante divisione degli utili – potrebbe divenire un semplice socio minoritario non amministratore di una s.r.l. senza neanche saperlo, se non a posteriori: ciò non fa che aumentare le ragioni dell'opportunità di una consultazione o quantomeno di un’informativa preventiva.

Un elemento centrale è rappresentato dal fatto che quando il legislatore della riforma ha permesso l'abbandono di modalità di assunzione delle decisioni strettamente collegiali nelle società di capitali, ossia nel caso delle decisioni in forma scritta nella s.r.l., non ha concesso ai soci un’assoluta libertà sul piano del procedimento: al riguardo si pensi alle previsioni dell’art. 2479, comma quinto, che sancisce “il diritto di partecipare alle decisioni”, e dell’art. 2479-ter, comma terzo che prevede la sanzione dell'invalidità per quelle assunte “in assenza assoluta di informazione” nota11.

Una ulteriore spia, sempre con riferimento alle decisioni in forma scritta, è svelata dalla circostanza che il legislatore ha opportunamente previsto – cfr. art. 2479, comma quarto, c.c. – che tale opzione non sia utilizzabile per le modifiche dell'atto costitutivo. Ciò dimostra che nel caso di decisioni riguardanti l'assetto organizzativo della società non è consentito l'abbandono di procedure che coinvolgano tutti i soci, quantomeno con un'informazione preventiva: e se questa rappresenta la tutela minima in un ambito – la s.r.l., appunto – che accetta come ordinaria la regola maggioritaria, a maggior ragione deve esserlo nel diverso ambito – le società di persone – dove la regola unanimistica può essere abbandonata solo previa espressa scelta in tal senso di tutti i soci nota12.

A quanto sopra può aggiungersi un generale richiamo al canone di correttezza che, permeando l'esecuzione di tutti i contratti, deve anche costituire la guida del comportamento della maggioranza intenzionata a trasformare la società di persone: ciò le imporrebbe di individuare un procedimento di assunzione della decisione che, pur se non codificato dal legislatore e non di natura collegiale, non dovrebbe però poter prescindere da un'informativa preventiva rivolta a tutti i soci nota13.

Altro argomento che, infine, è idoneo ad influenzare la soluzione è quello attinente alla “forma procedimentale” della trasformazione ed alla “forma documentale” dell’atto nota14. Se infatti è pacifico che l’art. 2500-ter non introduca alcun necessario procedimento di natura collegiale nell’ambito della decisione di trasformazione delle società di persone, deve pur sempre ricordarsi che la decisione deve essere assunta per atto pubblico, ai sensi dell’art. 2500, primo comma, senza cioè che appaia possibile l’acquisizione dei consensi dei soci in momenti diversi e con forme di documentazione (notarile) separate nota15.

Soluzioni adottabili nei patti sociali e regime suppletivo

Dal breve esame svolto, emerge come sia assolutamente opportuno che i soci provvedano a disciplinare nei patti sociali le regole procedurali della trasformazione progressiva a maggioranza in società di capitali e come, nell’ambito di tale intervento, siano assolutamente liberi di introdurre anche vere e proprie assemblee, con regole modellate sulla falsariga di quelle tipicamente corporative e collegiali nota16.

Allo stesso tempo potranno essere introdotte regole che, nel rispetto della forma documentale dell’atto pubblico imposta dal legislatore, si collochino in posizione intermedia tra la prima soluzione e la totale libertà procedimentale sin qui riconosciuta dalla dottrina e giurisprudenza prevalenti alle società di persone allorquando debbano adottare decisioni a maggioranza: in sostanza, regole che contemplino almeno un’informazione preventiva di tutti i soci, così permettendo loro di intervenire presso il notaio alla data fissata per la stipulazione dell’atto di trasformazione nota17.

Nel caso in cui, invece, nulla dicano i vigenti patti sociali della società, pare doversi concludere che la disciplina suppletiva della trasformazione progressiva in società di capitali debba contemplare, quale minimum procedurale, un obbligo di informazione preventiva di tutti i soci: obbligo da non confondere con una solenne e formale convocazione analoga a quella delle società di capitali, ma che si sostanzia in una informativa divulgata con qualsiasi strumento idoneo ed in tempi congrui, che permetta al socio interessato, se lo vuole, di partecipare al procedimento decisionale, intervenendo all’atto notarile.

La soluzione proposta è, infatti, in grado di conciliare la flessibilità e la snellezza organizzativa tipica delle società di persone con l’istanza partecipativa presente in ogni ente collettivo, con l’esigenza di un comportamento ispirato alla correttezza della maggioranza, con la particolare delicatezza della decisione da assumere – differente dalle altre che possono essere assunte a maggioranza nelle società di persone – e con la peculiare forma documentale prevista per l’atto, oltre ad essere coerente, sul piano sistematico, con i nuovi spunti offerti dalla riforma stessa per le decisioni non collegiali della s.r.l. (artt. 2479, comma quarto, e 2479-ter, comma terzo, c.c.).

Note

nota1


Correttamente, ex multis, F. Guerrera, “Trasformazione, fusione e scissione”, in Aa. Vv., Diritto delle società. Manuale breve (Milano, 2003), 316; G. Ferri jr., “Le trasformazioni omogenee”, in CNN, Studi sulla riforma del diritto societario, Studi e materiali, (Milano, 2004), 523 ed ivi 532-533. Il dato letterale ante riforma – cfr. art 2498, comma primo – offriva più ampi margini di discussione, riferendosi espressamente ad un “deliberazione”.
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nota2


La necessità di rapidità, flessibilità e snellezza delle decisioni, che emergono dall’analisi dei tratti tipologici delle società personali, costituiscono le principali argomentazioni di carattere funzionale addotte per sostenere la superfluità del metodo collegiale: l’esigenza di celerità operativa, infatti, giustifica l’assunzione di decisioni a maggioranza senza che vi sia alcuna necessità di informare i soci minoritari, permettendo così di procedere addirittura senza la preventiva consultazione del resto della compagine sociale ove sia già stata raggiunta la maggioranza dei consensi. Vedi in questo senso: P. SCHLESINGER, “L’approvazione del rendiconto annuale nelle società di persone”, in Riv. soc., 1965, 807 ed ivi 844 ss.; F. GALGANO, “Le società di persone”, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. CICU e F. MESSINEO, vol. XXVIII (Milano, 1972), 229 ss. e in particolare 235; G. FERRI, “Delle società”, in Comm. cod. civ., a cura di A. SCIALOJA e G. BRANCA, libro V, artt. 2247-2324 (Bologna-Roma, 1981), 253 ss.; e più di recente V. BUONOCORE, “Società in nome collettivo”, in Comm. cod. civ., diretto da P. SCHLESINGER (Milano, 1995), 103 e 108 ss.. Anche la giurisprudenza, che ha esaminato il problema soprattutto in riferimento alla deliberazione di esclusione di un socio, è assolutamente consolidata in tal senso, salvo rare eccezioni ormai risalenti ad alcuni lustri addietro: Cass., 10 gennaio 1998, n. 153, in Giur. comm., 1999, II, 624; Cass., 15 luglio 1996, n. 6394, in Società, 1996, 1410; Cass., 17 luglio 1987, in Società, 1987, 1033; Cass., 10 maggio 1984, n. 2860, in Dir. fall., 1984, II, 728; App. Napoli, 14 febbraio 1989, in Dir. e giur.¸1991, 688; Trib. Napoli, 17 ottobre 1986, in Giur. comm., 1988, II, 654; Trib. Napoli, 11 luglio 1985, ivi, 1986, 1003; Trib. Napoli, 2 ottobre 1980, in Riv. not., 1982, 1149. Gli indici normativi a supporto della soluzione sono molteplici: il sistema legale di amministrazione disgiuntiva, che dimostra come ciascun socio, senza alcuna necessità di preventive consultazioni o adesioni, è in grado di compiere validamente qualsiasi atto in nome della società; il silenzio legislativo sui profili di invalidità della decisione assunta, che si contrappone ai casi in cui è previsto il metodo assembleare, caratterizzati da una seppur minima disciplina dei vizi procedimentali o comunque dalla generica previsione dell’impugnabilità della deliberazione; il tema delle deliberazioni tacite e la possibilità di prorogare tacitamente la società ex art. 2273 c.c..
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nota3


Così G. Cesaroni, “Commento all’art. 2500 ter”, in Il nuovo diritto delle società, a cura di Maffei Alberti, (Padova, 2005), IV, 2472-2473 ed anche L. Pisani, “Il principio di maggioranza nella nuova disciplina della trasformazione delle società di persone”, in Riv. dir. comm., 2005, I, 73 ed ivi 390 ss.
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nota4


Cesaroni (supra, n. 3), 2476 alla nota 9 e Pisani (supra, n. 3), 397.
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nota5


Trib. Roma, 2 maggio 2006, in Riv. not., 2007, 188.
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nota6


G. F. CAMPOBASSO, Diritto commerciale, 2, Diritto delle società (Torino, 2006) 110 ss.; F. DI SABATO, Manuale delle società (Torino, 1995), 152 ss. e Diritto delle società (Milano, 2005), 104-105; G. Cottino, M. Sarale, R. Weigmann, “Società di persone e consorzi”, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, III (Padova, 2004), 154 ss.; A. SERRA, Unanimità e maggioranza nelle società di persone (Milano, 1980), 77 ss.; A. VENDITTI, Collegialità e maggioranza nelle società di persone (Napoli, 1955), 37 ss.; A. GRAZIANI, Diritto delle società (Napoli, 1962), 115 ss.. Emerge inoltre un’ulteriore importante considerazione sul più elevato grado qualitativo delle decisioni assunte mediante l’utilizzazione del metodo collegiale, o comunque di metodi che coinvolgono tutti i soci, grazie alle virtù ponderatorie che esso esprime: la riunione, infatti, permette il confronto tra i soci e lo scambio di reciproche opinioni e punti di vista, che hanno una rilevanza per il singolo socio, offrendogli una chance di tutela del proprio interesse individuale, e per l’intero ente societario, elevandone la qualità delle decisioni. In questo senso già P. GRECO, Le società nel sistema legislativo italiano. Lineamenti generali (Torino, 1959), 253, ripreso da G. F. CAMPOBASSO, op. cit, 114 e A. SERRA, op. cit., 117.
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nota7


A. MIRONE, Il procedimento deliberativo nelle società di persone (Torino, 1998), 7, 63 ss. e 119, ove l’Autore conclude che “l’unica funzione costante al variare delle regolamentazioni e delle fattispecie è proprio quella partecipativa”.
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nota8


A. SERRA, (supra, nota 6), 141 ss. ed in particolare 148, alla nota 198, e 157.
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nota9


Le decisioni relative alla modifica dei patti sociali, nelle quali la trasformazione rientra, erano annoverate da una parte della dottrina tradizionale tra quelle sottratte all’applicabilità della regola maggioritaria, perché attinenti alle basi essenziali della società (cfr. per tutti G. Ferri, “Delle società”, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, art. 2247-2324 (Bologna-Roma, 1981), 120), piuttosto che alle “basi organizzative” (A. Serra, , (supra, nota 6), 194 ss..
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nota10


Con queste parole F. Tassinari, La trasformazione delle società, a cura di M. Maltoni e F. Tassinari (Milano 2005), 88. Anche la Massima K.A.21 della Commissione del Comitato Triveneto, consultabile in afferma che l'art. 2500-ter consente "l'approvazione con la medesima maggioranza del nuovo testo dello statuto della società trasformata anche in quelle parti che non risultano strettamente necessarie per l'adozione del nuovo tipo sociale (si pensi all'introduzione di particolari maggioranze, o all'adozione di particolari sistemai di "governance", o a clausole di prelazione, o di limitazione alla circolazione delle partecipazioni, o alla previsione di ipotesi facoltative di recesso o di esclusione, ecc.)".
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nota11


Considerazioni in questo senso in G. Presti - M. Rescigno, Corso di diritto commerciale, II, Società (Bologna, 2005), 42. Ciò in perfetta coerenza con le previsioni di nullità della delibera – collegiale – assunta in mancanza di convocazione (cfr. art. 2379 c.c.).
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nota12


Queste le considerazioni di F. Tassinari (supra, nota 10), 91-92, e G. Cesaroni (supra, nota 3), 2476 sub nota 9.
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nota13


In questo senso sembrano le considerazioni di C. Mosca, “Commento all’art. 2500 ter”, in Trasformazione - Fusone - Scissione, Commentario alla riforma delle società, a cura di Macrhetti, Bianchi, Ghezzi, Notari (Milano, 2006), 120 ss. ed in particolare 126; ed anche, sul piano generale, G. Cottino, M. Sarale, R. Weigmann (supra, nota 6), 154-155.
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nota14


Per una esatta collocazione del tema nell’ambito delle società di persone si rimanda a L. Pisani, Società di persone “a struttura corporativa”, (Torino, 2000), 65 ss..
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nota15


In questo senso, pur se con sfumature diverse, G. Ferri jr. (supra, nota 1), 533; G. Cesaroni (supra, nota 3), 2473 alla nota 3; C. Mosca (supra, nota 13), 122-123; G. Cabras, “Le trasformazioni”, in Trattato delle società per azioni (Torino, 1997), vol. 7***, 134-135, con ampi riferimenti bibliografici e motivazioni ancora valide anche se riferite al quadro normativo ante-riforma; in particolare, l’Autore afferma che “non sono richieste particolari formalità per la convocazione della riunione, essendo sufficiente che ai soci sia data informazione della stessa riunione. Così pure lo svolgimento di questa e la manifestazione di volontà dei soci non sono legati necessariamente all’osservanza delle regole di funzionamento delle assemblee negli organismi a carattere corporativo”.
Diversamente V. Buonocore, La riforma delle società (Milano, 2004), 117.
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nota16


Vedi ampiamente sul tema L. Pisani, (supra, nota 14).
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nota17


Sulle peculiarità di queste forme procedimentali intermedie, incardinate sull’istanza partecipativa cui l’informazione preventiva è strumentale, vedi ampiamente A. Mirone (supra, nota 7) e, in particolare sulla trasformazione, gli Autori recenti citati nelle note precedenti.
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