Scissione e procedure concorsuali (37/2013)


Massima

1. E’ legittima la scissione di società in funzione o in esecuzione di un concordato preventivo, come desumibile dalle disposizioni degli artt. 2506 c.c. e 160 e 186 bis l.f..

2. Gli effetti giuridici della scissione – sul piano societario ed organizzativo - derivano unicamente dalla stipula e successiva iscrizione dell’atto di scissione. Pertanto, anche se la società ha depositato una domanda di concordato preventivo:
a) non necessita di alcuna autorizzazione degli organi della procedura l’approvazione e il deposito del progetto di scissione da parte dell’organo amministrativo;
b) non necessita di alcuna autorizzazione degli organi della procedura la deliberazione che approva il progetto di scissione, condizionando la eseguibilità dell’atto di scissione all’intervenuta omologazione del concordato nel cui piano essa sia prevista.

3. Non richiede alcuna autorizzazione giudiziale, né la partecipazione del commissario giudiziale (o di altro soggetto cui venga affidata l’esecuzione del concordato), la stipulazione dell’atto di scissione di una società per la quale è stato omologato un concordato preventivo.
Peraltro, in tal caso:
a) resta fermo il dovere di vigilanza ex art. 185 l.f. del commissario giudiziale sull’esecuzione del concordato, che, qualora la scissione sia prevista dal piano di concordato, investirà la conformità della stessa alle previsioni del concordato approvato e omologato;
b) sono salve le diverse disposizioni o autorizzazioni eventualmente previste dal decreto di omologazione del concordato.

4. Non richiede alcuna autorizzazione giudiziale la deliberazione che approva il progetto di scissione senza condizionarlo all’omologazione del concordato, ma la stipulazione del relativo atto prima dell’omologazione deve essere autorizzata dal tribunale ex art. 161, comma 7°, l.f. o dal giudice delegato ex art. 167 l.f., a seconda che la stipulazione medesima avvenga prima o dopo l’ammissione della società alla procedura.

Motivazione

1. La legittimità della scissione di società per l’attuazione di un concordato preventivo risulta oggi suffragata da una pluralità di dati normativi:
a) innanzitutto, dall’attuale dettato dell’art. 2506 c.c., che, letteralmente, non preclude più la possibilità di scindere una società sottoposta a procedura concorsuale, a differenza di quanto disposto nel testo anteriore alla riforma del 2003;
b) in secondo luogo, dall’art. 160, primo comma, l.f., che consente espressamente la possibilità di promuovere “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori attraverso qualsiasi forma, anche mediante … operazioni straordinarie”, nel quadro di una logica, di recente consolidata, che mira alla soluzione della crisi o dell’insolvenza di impresa attraverso processi di ristrutturazione patrimoniale, finanziaria od organizzativa dell’impresa medesima; cda ultimo, dall’art. 186 bis l.f. (“Concordato con continuità aziendale”), la cui mens legis è rappresentata con evidenza dalla tutela della continuità aziendale, a cui è normativamente funzionale la scissione (art. 2506, commi 1 e 3, c.c.), capace altresì di conseguire gli obiettivi economici delle fattispecie elencate in modo espresso nel medesimo art. 186 bis l.f.. In quest’ottica, la scissione costituisce modalità di conservazione della continuità aziendale, e rientra nel disposto dell’art. 186 bis, oltre che come operazione lato sensu di trasferimento d’azienda in esercizio, anche in modo diretto quale processo di riorganizzazione per la continuazione dell’attività da parte del debitore.

Nella prospettiva accolta le norme degli artt. 160 e 186 bis l.f. sembrano rendere superflua una valutazione preliminare di compatibilità dell’operazione «con lo stato e le finalità della procedura» a mente dell’art. 2499 c.c., qualora si ritenga applicabile, come regola di principio, anche alle “operazioni straordinarie” diverse dalla trasformazione (e risultando tuttavia necessaria una valutazione in tal senso qualora la scissione o la fusione attuino anche un trasformazione implicita). Sul piano attuativo la scissione “concordataria” può essere diversamente organizzata.

2. Innanzitutto, la scissione può essere prevista nel piano, ai sensi dell’art. 161, secondo comma, lett.e) l.f., ma la sua attuazione può essere completamente rinviata alla fase esecutiva successiva all’omologa del concordato.

La scelta non pone in tal caso all’operatore ed al notaio particolari problemi applicativi. Ai sensi dell’art. 181 l.f., con l’omologa del concordato la procedura concorsuale infatti si chiude. Salvo il caso in cui il piano affidi ad un terzo la liquidazione di beni sociali, la società debitrice riacquista il pieno potere di amministrazione dei suoi beni, seppur finalizzato all’adempimento della proposta concordataria omologata e sotto la vigilanza del commissario giudiziale, istituzionalmente deputato alla verifica del rispetto delle condizioni concordatarie (art. 185 l.f.).

Ne consegue che la scissione, avendo ad oggetto una società tornata in bonis, verrà attuata secondo le ordinarie regole procedimentali (anche in punto di legittimazione alla sottoscrizione del progetto e dell’atto di scissione) e senza necessità di alcuna autorizzazione preventiva, se non quelle che siano state eventualmente previste in modo espresso dal decreto di omologazione. In assenza di tale ultima previsione, al solo commissario giudiziale spetterà la verifica di conformità del progetto di scissione agli accordi concordatari omologati, anche sotto il profilo del contenuto patrimoniale.

Un suo giudizio negativo non può peraltro ripercuotersi sulla legittimità del procedimento di scissione e quindi sulla validità della delibera di approvazione del progetto, che sarà iscrivibile nel registro delle imprese, poiché l’eventuale difformità delle modalità attuative della scissione rispetto a quanto previsto nel concordato rappresenta certamente inadempimento di quest’ultimo, ma non “delle condizioni stabilite dalla legge” ai sensi e per gli effetti dell’art. 2436 c.c.. Verificandosi tale situazione, la tutela del ceto creditorio è affidata non solo al rimedio della risoluzione del concordato ai sensi all’art. 186 l.f., qualora ne ricorrano le condizioni, ma anche al diritto di opposizione ai sensi dell’art. 2503 c.c., che si deve ritenere spettante a tutti i creditori sociali qualora la scissione non sia rispettosa del concordato (a differenza di quanto si può ammettere in caso di conformità della scissione al concordato omologato; sulla questione si rinvia al successivo paragrafo 6).

3. La soluzione di rinviare completamente l’attuazione della scissione alla fase esecutiva del concordato, seppur pienamente legittima, potrebbe risultare meno tranquillizzante per il ceto creditorio, per la dissonanza normativamente esistente fra competenza a presentare la proposta di concordato preventivo e competenza a decidere la scissione. Infatti, mentre la prima spetta, salvo diversa previsione statutaria, all’organo amministrativo, ai sensi dell’art. 152 l.f. (richiamato dall’art. 161, quarto comma, l.f.), l’approvazione del progetto di scissione è naturalmente di competenza dei soci, a meno che statutariamente non ci si sia avvalsi della facoltà prevista negli artt. 2505 e 2505 bis c.c. (richiamati dall’art.2506 2506 ter c.c.).

Ne discende il potenziale rischio della difformità di orientamenti fra amministratori e soci in ordine al programma di ristrutturazione aziendale funzionale al concordato, che potrebbe mettere a repentaglio, se non vanificare, gli accordi raggiunti e gli impegni assunti con il ceto creditorio.

Onde evitare il rischio da ultimo paventato il procedimento di scissione in funzione concordataria potrebbe essere avviato prima della presentazione in Tribunale della domanda per l’ammissione alla procedura ai sensi dell’art. 161, secondo comma, l.f., per essere poi incluso nel piano oggetto di approvazione da parte dei creditori ai sensi dell’art. 177 l.f..

In tal caso appare evidente l’opportunità di formalizzare il “rapporto di servizio” che lega la scissione all’attuazione del concordato, condizionando la scissione all’omologazione del concordato ex art. 181 l.f., anche se non definitiva, in quanto immediatamente efficace pur se reclamabile ai sensi dell’art. 183 l.f..

A tal fine sembra sufficiente, limitarsi a “condizionare” l’esecuzione della deliberazione di approvazione del progetto di scissione, nel senso di autorizzare il legale rappresentante alla stipula dell’atto di scissione solo qualora sia omologato il concordato, piuttosto che apporre una condizione sospensiva all’atto finale, per non interferire direttamente sugli effetti della scissione definiti nell’art. 2504 bis c.c..

Adottando tale soluzione, si dovrebbe procedere alla stipula dell’atto finale soltanto a concordato omologato e precisamente in sede di esecuzione del concordato medesimo, così da minimizzare il rischio di incertezze e di sopravvenienze, sul piano dei rapporti fra procedura concorsuale e operazione straordinaria, avendo conseguito il duplice risultato di aver “vincolato” la maggioranza assembleare all’esito positivo del procedimento di approvazione della proposta di concordato e di aver contenuto in ambito endo-procedimentale (concorsuale) il predetto fattore di incertezza, in modo da non pregiudicare l’affidamento dei terzi.

La mancata stipulazione della scissione rappresenterebbe causa di risoluzione del concordato, senza peraltro determinare ripercussioni organizzative di sorta, data la conservazione dell’assetto societario preesistente.

In tale fase la disciplina della scissione è quella ordinaria, e si devono ritenere applicabili anche le norme vigenti di semplificazione del procedimento o che consentono di adottare procedure semplificate in ragione della composizione della compagine sociale.

Ragionando sul piano della mera opportunità, e non su quello della legittimità, sembrano peraltro non trascurabili alcune accortezze.

Nella prospettiva proposta, il progetto di scissione dovrebbe contenere – fatte salve le più analitiche illustrazioni e giustificazioni da fornirsi nella relazione ex art. 2501 quinquies c.c., opportunamente (anche se non necessariamente) redatta – un preciso riferimento alla strumentalità dell’operazione rispetto al concordato della società in crisi o insolvente e agli obiettivi imprenditoriali e/o finanziari delle società partecipanti. L’illustrazione del programma concordatario, del ruolo che in esso gioca la scissione e della giustificazione di questa sul piano economico, finanziario e industriale, risultano particolarmente necessari per i soci della società in crisi, se si tiene conto che la competenza ad approvare la proposta di concordato è rimessa, in via di principio e salvo diversa disposizione statutaria, all’organo amministrativo. Infatti, tenuto conto della formulazione vigente dell’art. 152, secondo comma, l.f., i soci della società in crisi potrebbero apprendere direttamente dal progetto di scissione della peculiare operazione concordataria programmata. Oltre alla funzione programmatica e informativa il progetto di scissione gioca un ruolo determinante ai fini della individuazione, ai sensi dell’art. 2506 bis c.c. (secondo cui deve risultare dal progetto «l’esatta descrizione degli elementi patrimoniali da assegnare a ciascuna società»), delle componenti attive e passive della frazione di patrimonio della scissa destinata alle “beneficiarie”, descrizione che dovrà trovare corrispondenza nella proposta di concordato omologata.

Infatti, giova evidenziare che se durante l’iter concordatario emergesse l’esigenza di modificare alcune delle componenti attive o passive già descritte nel progetto di scissione - essendo la proposta di concordato modificabile fino all’inizio delle operazioni di voto (art. 175, comma secondo, l.f.) - e tale modifica non fosse già stata puntualmente prevista come possibilità esecutiva della scissione nel progetto medesimo, sarebbe necessario ricominciare integralmente il procedimento di scissione, essendo già stato approvato, nel caso in esame, il progetto da modificare.

Una volta omologato il concordato, potrà essere stipulato l’atto di scissione. Sembra peraltro necessario che il notaio accerti da un lato che il piano di concordato preveda la scissione già deliberata fra le condizioni di attuazione e dall’altro che sia sopraggiunta l’omologazione di quel piano, con decreto emesso dal Tribunale ai sensi dell’art. 180 l.f..

4. Può anche accadere che si intenda iniziare il procedimento di scissione una volta depositata la domanda, anche “in bianco” (art. 161, sesto comma, l.f.), subordinandone pur sempre l’attuazione all’omologazione del concordato.

Ferme le considerazioni sopra esposte circa le modalità di apposizione della condizione e sotto il profilo dell’opportunità dei contenuti progettuali, sembra emergere nella circostanza un’esigenza di armonizzazione della disciplina ordinaria della scissione con quella concorsuale. Infatti, una volta depositata la domanda, il compimento di atti di straordinaria amministrazione da parte del debitore è soggetto ad autorizzazione giudiziale: del Tribunale, prima che sia emanato il decreto di ammissione al concordato preventivo; del Giudice Delegato, successivamente all’ammissione.

Il risultato disgregativo del patrimonio sociale generato da una scissione, avviata su iniziativa degli amministratori, con innegabili riflessi anche sul piano della tutela dei creditori, potrebbe indurre ad ascrivere all’operazione una valenza straordinaria, tale dunque da pretendere il preventivo benestare giudiziale.

Se tuttavia l’effetto dell’operazione, che consegue solo all’iscrizione (e quindi alla stipula) dell’atto di scissione, è condizionato all’omologazione del concordato, la conclusione sembra dover essere meglio ponderata.

Infatti, la pubblicazione (nel registro delle imprese o nel sito internet della società) del progetto di scissione e l’assunzione della delibera di approvazione dei soci, pur se necessari sul piano procedimentale, sono incapaci, di per sé, di generare qualsivoglia effetto patrimoniale o finanche organizzativo.

Per tale motivo, qualora l’operazione sia strutturata in maniera tale da rendere l’atto di scissione necessariamente conseguente all’omologazione del concordato preventivo alla cui attuazione è funzionale, e della stessa scissione si dia conto nel piano presentato ai sensi dell’art. 161 l.f., non ricorrono i presupposti che giustificano la preventiva autorizzazione giudiziale (del Tribunale o del Giudice Delegato), di cui non ci si dovrà munire nemmeno per pubblicizzare il progetto di scissione.

Dunque, la delibera di approvazione del progetto di scissione ad esecuzione “condizionata” all’omologazione del concordato preventivo potrà essere iscritta nel registro delle imprese, ai sensi dell’art. 2436 c.c., anche in assenza di autorizzazione resa dal Tribunale ai sensi dell’art. 161, settimo comma, l.f., o dal Giudice Delegato ai sensi dell’art. 167, secondo comma, l.f..

5. Alla stregua delle premesse poste, qualora successivamente al deposito della domanda di concordato, ma prima dell’omologazione, si intenda stipulare un atto di scissione della società ad efficacia non condizionata all’omologazione, si ritiene necessaria l’autorizzazione del tribunale ex art. 161, comma 7, l.f. o del giudice delegato ex art. 167 l.f. a seconda che detta stipulazione debba intervenire prima o dopo l’ammissione della società scindendo alla procedura.

Non sembra revocabile in dubbio, infatti, che l’effetto disgregativo del patrimonio e la possibile moltiplicazione di patrimoni autonomi dotati di soggettività giuridica che ne consegue costringano ad ascrivere natura “straordinaria” all’operazione di scissione, a tutela del ceto creditorio. In tal caso (e a differenza di quanto rilevato nel par. 3) la situazione patrimoniale della società che si scinde è quella attuale all’epoca di efficacia della scissione, per cui non si potrà tener conto dei benefici effetti della falcidia concordataria dei debiti sociali, in quanto il concordato è ad esito ancora incerto.

Per coerenza, la pubblicazione (nel registro delle imprese o nel sito internet) del progetto di scissione e finanche la sua approvazione prima dell’omologazione del concordato preventivo, senza che questa rappresenti condizioni di efficacia (o di eseguibilità) della relativa delibera, non richiedono alcuna autorizzazione, in quanto incapaci di produrre effetti sul patrimonio sociale, come più volte rimarcato.

6. La necessità di un coordinamento fra la disciplina legale della scissione e le regole in tema di approvazione della proposta di concordato sembra emergere con particolare evidenza rispetto all’istituto dell’opposizione dei creditori previsto nell’art.
2503 c.c. Infatti, ai sensi dell’art. 177, primo comma, l.f., “il concordato è approvato dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato è approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi”.

Qualora la scissione sia contemplata come modalità attuativa di una proposta di concordato approvata dai creditori ed omologata, il riconoscimento di un diritto individuale di opposizione ex art. 2503 c.c. finirebbe per frustrare la scelta legislativa di subordinare le soluzioni negoziate della crisi alla volontà della maggioranza dei creditori, sotto il controllo del tribunale. Sembra pertanto coerente concludere nel senso che, qualora la scissione sia prevista come modalità di attuazione del concordato, i creditori di cui all’art. 184 l.f. della società scissa sono privati del diritto individuale di opposizione di cui all’art. 2503 c.c. e devono ricorrere al rimedio endoconcorsuale dell’opposizione di cui all’art. 180, secondo comma, l.f., da considerarsi “assorbente” di ogni altra tutela.

Sotto il profilo sistematico la proposta interpretativa, già avanzata da parte della dottrina, sembra trovare conforto nello speciale regime previsto per quella particolare categoria di creditori che sono gli “obbligazionisti”, costituenti a loro volta una sorta di “comunità accidentale”. Al fine di favorire le scelte gestionali ed organizzative della società, l’art. 2503 bis c.c. esclude che gli obbligazionisti possano proporre opposizione, se la stessa è stata approvata a maggioranza dalla loro “assemblea”: la presenza di un’organizzazione interna a tale categoria e la sua competenza a deliberare in ordine a tutti gli argomenti di interesse comune costituiscono infatti il fondamento e la giustificazione della scelta di sacrificare la volontà individuale.

Orbene, ponendosi nella medesima linea, si può rilevare che la sola pubblicazione della domanda di concordato preventivo, anche “in bianco”, nel registro delle imprese genera, fra l’altro, la conseguenza di: (i) imporre ai creditori una comunanza di interessi, giacché nessuno di loro può aggredire individualmente il patrimonio sociale; (ii) creare un’organizzazione per la soluzione dei conflitti di interesse che possono sorgere fra di essi, stante l’eterogeneità di posizioni di cui sono portatori.

Si potrebbe quindi sostenere ragionevolmente che, se la scissione è prevista come parte integrante della proposta di concordato, i creditori di cui all’art. 184 l.f. non possono proporre opposizione ex art. 2503 c.c., ma soltanto opporsi all’omologazione del concordato stesso, ricorrendone le condizioni.

Laddove, invece, il procedimento di scissione non fosse stato avviato (o anche compiuto) sotto condizione dell’omologazione del concordato, secondo uno degli schemi operativi illustrati, il diritto di opposizione ex art. 2503 c.c. dei singoli creditori risulterebbe insopprimibile.

Inoltre, resta in ogni caso intangibile il diritto di opposizione individuale dei creditori diversi da quelli indicati nell’art. 184 l.f., sempreché, ovviamente, le loro ragioni di credito siano sorte anteriormente all’iscrizione del progetto di scissione nel registro delle imprese.

Infine, la soluzione prospettata non potrebbe interessare neppure i creditori di altre eventuali società partecipanti come beneficiarie, i cui diritti non possono certamente essere ridotti o compromessi dall’applicazione della disciplina fallimentare; costoro resterebbero liberi di opporsi individualmente, determinando così il rischio di una, forse decisiva, paralisi del procedimento.

Il rischio di opposizione individuale potrebbe essere alquanto attenuato tramite la scelta di avviare il procedimento di scissione prima della presentazione della domanda di concordato, anche “in bianco”, o subito dopo, secondo gli schemi in precedenza ipotizzati, condizionandone l’attuazione all’omologazione del concordato stesso.

In tal modo sarà possibile avvalersi del termine che il tribunale deve concedere ai sensi dell’art. 161, sesto comma l.f., compreso fra i sessanta ed i centoventi giorni, per verificare la ricorrenza o meno di opposizioni alla scissione proposte dai creditori delle società beneficiarie.

Il fatto che anche la delibera di approvazione del progetto di scissione sia inevitabilmente “condizionata” all’omologazione del concordato della scissa in crisi (anche per le beneficiarie, poiché il progetto è unico) non determina un differimento della decorrenza del termine di opposizione al verificarsi della condizione, in ragione della carenza nel frattempo dell’interesse processuale a coltivare l’opposizione, poiché:
a) da un lato, tecnicamente non è l’effetto (approvazione del progetto) della delibera ad essere condizionato, ma l’esecuzione della stessa, come più volte ribadito, essendo più propriamente qualificabile la “condizione” come limite alla legittimazione del legale rappresentante alla stipulazione dell’atto di scissione;
b) dall’altro, in nessun caso è certo che il procedimento di scissione (come quello di fusione) a cui il creditore è chiamato ad opporsi vada a buon fine, sia a causa dell’opposizione vittoriosa di uno qualsiasi dei creditori, sia in ragione del sopravvenuto venir meno dell’interesse della società coinvolta a proseguire nell’operazione; dunque, qualora il procedimento di scissione non vada a termine, anche per mancata omologazione del concordato preventivo, cesserà la materia del contendere rispetto all’opposizione instaurata;
c) infine, risultano legittimati all’opposizione anche i creditori con diritto derivante da titolo condizionato, e quindi incertus nell’an; l’opposizione è rimedio fruttuosamente esperibile anche in situazioni di incertezza giuridica.

Il problema della decorrenza del termine di opposizione potrebbe essere riproposto da altra prospettiva.

Potrebbe accadere che il contenuto patrimoniale del progetto di scissione sia fatto dipendere dall’esito della procedura concordataria, nel senso che gli elementi patrimoniali da assegnare alla beneficiaria, pur se analiticamente descritti, dipendono, nella quantificazione indicata, dalle condizioni alle quali si perfeziona l’accordo concordatario.

In tal caso si potrebbe sospettare che il Tribunale chiamato a decidere sull’opposizione non sia effettivamente in grado di risolvere il conflitto di interessi per l’incertezza che avvolge, sotto il profilo indicato, i dati patrimoniali, soprattutto in caso di scissione a favore di beneficiaria preesistente, fattispecie assimilabile ad una fusione parziale, nella quale il danno per i creditori della beneficiaria può derivare dalla confusione dei patrimoni delle società partecipanti.

Non sembra tuttavia che la potenziale obiezione possa essere condivisa poiché, se non si verificano le condizioni patrimoniali indicate nel progetto, gli amministratori (anche della società beneficiaria) non potranno stipulare l’atto di scissione, per carenza di legittimazione: ne consegue che i dati patrimoniali esposti sono e saranno quelli che il tribunale dovrà valutare per decidere sull’opposizione, e pertanto non sembra sussistere alcuna ragione, anche sotto tale profilo, per rinviare la decorrenza del termine per proporre opposizione alla scissione ex art. 2503 c.c. da parte dei creditori legittimati.

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