Riunione fittizia, imputazione ex se, collazione nel patto di famiglia




Il banco di prova della reale funzionalità del patto di famiglia si coglie in relazione alle conseguenze pratiche che si producono una volta apertasi la successione dell'"imprenditore". In tale momento diventerà attuale l'operazione di determinazione della porzione disponibile del patrimonio dell'ereditando (c.d. riunione fittizia: art. 556 cod.civ.), ciascun legittimario dovrà imputare ex se quanto ricevuto a titolo liberale (art. 564 cod.civ.), scatteranno gli eventuali obblighi collatizi tra coeredi (art. 737 cod.civ.), potrà o meno palesarsi una lesione della porzione legittima di taluno dei legittimari che determinerà la assoggettabilità ad azione di riduzione di uno o più degli atti di disposizione posti in essere dall'ereditando (artt. 557 e ss. cod.civ.).

In questo contesto operativo deve essere calato il modo di disporre dell'art. 768 quater cod.civ.. Da un lato il III comma della norma prevede che i beni assegnati in sede di patto di famiglia ai potenziali legittimari non assegnatari dell'azienda debbano essere imputati alle quote di legittima agli stessi spettanti, dall'altro l'ultimo comma della norma, questa volta comprendendo tutti i contraenti, prescrive che quanto da costoro ricevuto non sia soggetto nè a collazione, nè a riduzione.

Il possibile significato da attribuire al predetto III comma è stato accennato in sede di analisi delle attribuzioni di cui al patto di famiglia. Occorre condurre una riflessione più approfondita sul punto. E' infatti possibile delineare tre distinti approcci ricostruttivi del fenomeno, a seconda che si ipotizzi: a) l'assoluta esclusione dei cespiti di cui al patto di famiglia dall'operazione di riunione fittizia ex art.556 cod.civ., b) l'assoluto assoggettamento degli stessi alla dinamica della riunione, c) l'imputazione ex se e l'assoggettamento a riunione fittizia soltanto delle assegnazioni fatte dal disponente ai legittimari non attributari dell'azienda.

1) Chi propende per la teorica sub a) osserva che la massa delle attribuzioni di cui al patto di famiglia è destinata ad essere mantenuta del tutto separata rispetto a quella sulla quale verranno effettuate le operazioni di riunione fittizia una volta apertasi la successione del disponente. Le quote di legittima di cui fa menzione il III comma dell'art.768 quater cod.civ. (relativamente alle assegnazioni effettuate a favore dei riservatari non attributari dell'azienda) sono da porre in riferimento alle analoghe "quote previste dagli articoli 536 e seguenti" di cui parla il II comma della stessa norma (relativamente alle liquidazioni compensative) nota1.

2) I sostenitori della tesi sub b) rilevano invece che, secondo i principi generali, una volta apertasi la successione dell'imprenditore, i discendenti attributari dell'azienda in esito al patto, non potrebbero non imputare ex se il valore dell'azienda o delle partecipazioni sociali trasferite con il patto di famiglia, la cui natura liberale non potrebbe non implicare la sottoposizione al meccanismo di cui all'art. 564 cod.civ..

Per di più non vi sarebbe stato motivo di introdurre una disposizione come quella di cui al IV comma dell'art.768 quater cod.civ. , a mente del quale quanto ricevuto dai contraenti in sede di patto di famiglia non è soggetto a collazione o a riduzione. Se le attribuzioni di cui al patto non dovessero computarsi ai fini della riunione fittizia, che bisogno vi sarebbe stato infatti di neutralizzare gli obblighi collatizi e la proponibilità dell'azione di riduzione? In tanto siffatte esclusioni possono rinvenire un senso compiuto, in quanto comunque i cespiti coinvolti nel patto abbiano a fluire (sia pure ai soli fini della determinazione delle quote di riserva per il tramite dell'operazione di cui all'art.556 cod.civ.) una volta apertasi la successione, nella massa ereditaria nota2.

L'enunciazione di massima di questa impostazione non è sufficiente: occorre infatti domandarsi come possa avere luogo in concreto la riunione fittizia e l'imputazione ex se dei beni coinvolti a vario titolo nel patto di famiglia in relazione alla posizione di ciascuno dei riservatari. E' chiaro infatti che la posizione del discendente attributario dell'azienda si rivela ben differente rispetto a quella di tutti gli altri legittimari. Per di più la dinamica delle attribuzioni si palesa estremamente variegata. È infatti possibile che l'attributario dell'azienda abbia operato liquidazioni compensative in denaro ovvero in natura. Si può poi ipotizzare che taluno degli altri legittimari abbia rinunziato in tutto o in parte ad essere soddisfatto. Dal momento che è questa l'impostazione cui si reputa di aderire, rinviamo la disamina di tali aspetti all'esito dell'esplicazione della tesi intermedia.

3) Merita speciale attenzione il ragionamento condotto da chi ha notato come il III comma dell'art.768 quater cod.civ. autorizzi l'interprete a ritenere che soltanto le assegnazioni effettuate in favore dei legittimari non assegnatari dell'azienda debbano essere assoggettate a riunione fittizia e imputate ex se da parte di ciascuno dei beneficiari delle stesse. Secondo questa impostazione le assegnazioni in parola sono quelle effettuate dal disponente nell'occasione della stipulazione del patto ai riservatari cui non viene attribuita l'azienda nota3. Per tale via la posizione del legittimario attributario dell'azienda sarebbe del tutto stralciata rispetto alle predette operazioni, mentre il contrario accadrebbe per le assegnazioni effettuate dal disponente agli altri legittimari. Una volta aperta la successione così non si farebbe luogo a riunione fittizia del valore dell'azienda né del valore delle liquidazioni compensative eventualmente eseguite dall'attributario dell'azienda mentre le altre assegnazioni operate dall'ereditando dovrebbero essere imputate da ciascun legittimario quasi fossero liberalità donative, ferma restando l'impraticabilità, anche rispetto ad esse della collazione e la non assoggettabilità a riduzione.

Questa tesi, anche se letteralmente molto plausibile e ben argomentata, è difficilmente accoglibile, a motivo della vera e propria rivoluzione che produrrebbe nel sistema: verrebbe infatti a sconvolgere il divieto dei patti successori di cui all'art.458 cod.civ. , sostanzialmente conferendo all'ereditando la possibilità di disporre anche di tutto il suo patrimonio al di fuori delle regole della successione necessaria (dato per l'appunto la sottrazione di siffatte attribuzioni agli obblighi collatizi ed all'azione di riduzione).

Non convince neppure la tesi sub 1). Le gravi conseguenze che importa, con la creazione di una vera e propria massa separata assolutamente non soggetta a tutte le regole proprie della successione necessaria (riunione fittizia, collazione, riduzione) non sembrano essere giustificate dai labili indici testuali già commentati.

Veniamo allora all'analisi più approfondita della teorica secondo la quale tutte le attribuzioni di cui al patto di famiglia devono essere assoggettate a riunione fittizia e ad imputazione ex se una volta apertasi la successione.

Ebbene: se al III comma dell'art. 768 quater cod.civ. non si fosse stabilito in maniera esplicita che le assegnazioni operate dagli attributari dell'azienda agli altri partecipanti al patto (ipotizzando dunque che tali assegnazioni provengano dal discendente al quale è stata attribuita l'azienda e non già al disponente) sono da imputarsi alle quote di legittima a questi ultimi spettanti, ne sarebbe derivata (al tempo dell'apertura della successione dell'ereditando) una situazione dei primi deteriore rispetto a quella dei secondi. Pur essendo stati liquidati delle loro spettanze dai discendenti attributari dell'azienda, i legittimari partecipanti al patto potrebbero infatti, in sede di distribuzione dei beni ereditari, conseguire un risultato economicamente più vantaggioso rispetto a quello che si sarebbe prodotto qualora l'azienda fosse stata semplicemente oggetto di donazione. Si ponga mente all'esempio che segue. L'imprenditore Tizio, coniugato con due figli, intende attribuire l'azienda, del valore di 600, al solo figlio Primo, vantando un patrimonio complessivo pari a 1800. Ipotizziamo che a tal fine Tizio promuova il perfezionamento di un patto di famiglia. Con esso Tizio attribuisce a Primo l'azienda del valore di 600. Quest'ultimo a propria volta assegna al proprio fratello Secondo ed alla madre Tizia la somma di 200. Il risultato pratico è la sterilizzazione del lascito del compendio aziendale, con la perequazione dei diritti di tutti i potenziali legittimari. Una volta apertasi la successione ( relictum pari a 1200) di Tizio, Primo non potrà non imputare ex se il valore dell'azienda attribuitagli, valore pari a 600. In difetto di una disposizione come quella di cui al III comma dell'art. 768 quater cod.civ. Secondo e Tizia vanterebbero ancora un diritto pieno all'intera porzione legittima sull'asse ereditario, pur avendo ricevuto le assegnazioni compensative dal rispettivo fratello e figlio in sede di stipulazione del patto di famiglia. Proprio per scongiurare questo risultato, certamente iniquo, il III comma della norma in esame viene a disporre l'imputazione degli assegni operati nell'ambito del patto di famiglia ai potenziali legittimari non attributari dell'azienda. Lo strumento è comunque imperfetto. L'esempio fatto evidenzia infatti lo squilibrio che si creerebbe qualora si dovesse seguire letteralmente la norma. Primo infatti dovrebbe imputare alla propria porzione legittima 600. Secondo e Tizia invece farebbero l'imputazione soltanto per 200. Poichè la quota riservata a ciascuno dei figli sarebbe, nella fattispecie, pari ad un quarto dell'asse, ne discenderebbe che Primo ha ricevuto un valore superiore alla propria parte ( relictum + donatum = 1800:4= 450 porzione legittima, a fronte di 600 ricevuti in sede di patto di famiglia). Al contrario Secondo avrebbe ricevuto meno di quanto spettantegli (200 a fronte di 450). Altrettanto sarebbe a dirsi per Tizia, coniuge dell'imprenditore ereditando. Nella realtà, tuttavia, le cose stanno diversamente. Infatti Primo ha ricevuto in sede di patto di famiglia un valore netto pari a soli 200 (ed infatti il valore dell'azienda ricevuta dal padre, pari a 600, deve essere decrementato di quanto oggetto di assegnazione agli altri potenziali legittimari, pari a 400). Ne dovrebbe derivare, in sede di imputazione ex se, che l'attributario dell'azienda abbia a scomputare dal valore di quanto ricevuto dall'ascendente imprenditore, il valore degli assegni da lui medesimo attribuiti agli altri potenziali legittimari. Ciò premesso, non si può non proporre una lettura della norma corretta dall'operazione di deconto come descritta. Allo scopo è tuttavia sufficiente, stante il difetto di un'esplicita disposizione che si riferisca all'imputazione ex se per quanto attiene alla posizione dell'attributario dell'azienda, rettamente applicare la norma generale di cui all'art. 564 cod.civ.. Il discendente al quale è stata trasferita l'azienda dovrà imputare il valore netto di tale assegno, da valutare complessivamente quale risultato del patto di famiglia globalmente considerato, al netto cioè del valore delle assegnazioni da lui medesimo operate in favore degli altri contraenti. L'imputazione avverrà pertanto, con riferimento all'esemplificazione sopra descritta, per un valore di 200 (600 valore dell'azienda - 400, pari al valore degli assegni perequativi attribuiti agli altri potenziali legittimari) nota4.

Rimangono invero da considerare altre ipotesi. Non è detto che tra l'attributario dell'azienda e gli assegnatari si verifichi sempre e costantemente l'equilibrio patrimoniale sopra prospettato. E' lo stesso tenore testuale dell'art. 768 quater cod.civ. ad evocare ben altri casi pratici. Tra colui al quale è stata trasferita l'azienda e gli altri potenziali beneficiari potrà ben convenirsi che costoro abbiano a rinunziare del tutto o anche soltanto in parte a percepire somme compensative. Sarà anche possibile che a questi ultimi venga trasferita la proprietà di un bene dal valore del tutto incerto, addirittura superiore a quello dell'azienda trasferita. Si pensi a Primo che, ricevuta l'azienda dal padre Tizio, ceda, nel contesto del patto di famiglia, al fratello Secondo un quadro di un celebre ed apprezzato pittore, mentre la madre Tizia esprima un intento semplicemente abdicativo. Cosa dire dell'eventualità in cui la pittura si riveli avere un valore di gran lunga superiore a quello aziendale? E' chiaro che in tali ipotesi il ragionamento che si è condotto in riferimento al meccanismo della imputazione ex se rinverrà difficoltà applicative quasi insormontabili.

Chiariti, si fa per dire, questi aspetti tutti interni alla logica attributiva del patto, rimane tuttavia da mettere a fuoco l'incidenza della riunione fittizia che parrebbe essere stata del tutto negletta dal legislatore della novella. Come è noto, ai sensi dell'art. 556 cod.civ., al fine di determinare la disponibile, occorre formare una massa di tutti i beni appartenenti al de cuius al tempo dell'apertura della successione. Dal valore di essa devono poi essere detratte le passività. Dunque si riuniscono, sia pure figurativamente, i beni già oggetto di donazione. Il risultato di tale computo costituisce l'asse ereditario sul cui ammontare si calcola la porzione disponibile e, conseguentemente, la legittima spettante a ciascun riservatario. Ebbene: un concetto emerge con una certa chiarezza. Il funzionamento del patto di famiglia postula, sia per la propria intrinseca natura, sia in relazione ai pur perplessi dati normativi, l'astrazione dei cespiti (azienda o partecipazione sociale) che ne hanno costituito l'oggetto rispetto alla massa dell'asse ereditario. In un certo senso si può riferire che tali cespiti formino una sorta di asse pattizio autonomo rispetto a quello ereditario. Anzitutto la ratio dell'art. 556 cod.civ. è quella di determinare la porzione disponibile. Ciò allo scopo di verificare l'eventuale lesione della legittima. Quale motivo vi sarebbe per condurre una siffatta verifica tenuto conto che, per legge, "quanto ricevuto dai contraenti non è soggetto a collazione o a riduzione" (ultimo comma art. 768 quater cod.civ.)? V'è tuttavia di più: quando dovessero sopravvenire nuovi legittimari (rispetto a quelli già partecipanti al patto) questi rinverranno soddisfazione delle proprie ragioni sul predetto asse pattizio autonomo. Infatti ai sensi dell'art. 768 sexies cod.civ. "il coniuge e gli altri legittimari che non abbiano partecipato al patto possono chiedere ai beneficiari del contratto stesso il pagamento della somma prevista dal secondo comma dell'articolo 768 quater...". Ciò evidenzia in maniera piena come non possa in alcun modo computarsi, ai fini della riunione fittizia, quanto trasferito dall'imprenditore in sede di patto di famiglia. Anche i nuovi legittimari devono vedere i propri diritti di legittima necessariamente soddisfatti nell'ambito della sistemazione convenzionale di cui al patto già concluso.

Rimane da verificare l'aspetto in sè e per sè considerato della vicenda successoria "finale". Se, in esito alle cose dette, non è difficile prospettare una sorta di "seconda manche" mortis causa del fenomeno successorio giocata tra i legittimari finalmente "stabilizzati" nel numero e nella qualità, occorre verificare il senso dell'operazione di imputazione di quanto ricevuto in conseguenza della stipulazione del patto al di fuori della considerazione del ricordato art. 768 sexies cod.civ..

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Note

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Cfr., tra gli altri, Mascheroni, Divieto dei patti successori ed attualità degli interessi tutelati. L'ordinamento successorio italiano dopo la legge 14 febbraio 2006 n.55, in Patti di famiglia per l'impresa, Milano, 2006, p.27.
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nota2

Si veda Valeriani, Il patto di famiglia e la riunione fittizia, in Patti di famiglia per l'impresa, Milano, 2006, p.117
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nota3

Petrelli, La nuova disciplina del patto di famiglia, in Riv. Not., 2006, p.405, la cui impostazione teorica è stata reputata "priva di bussola" (Gazzoni, Appunti e spunti in tema di patto di famiglia, in www.judicium.it, sezione saggi \ italiani \ diritto civile, pubblicato in data 19 maggio 2006).
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nota4

Le esemplificazioni sono tratte da: Minussi, Il legislatore nella cristalleria dei legittimari: il patto di famiglia, messo a disposizione via web sulla RUN, in esito alla mancata pubblicazione dello stesso, pure inoltrato in data 21 aprile 2006 alla Rivista del notariato.
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