Rinunzia gratuita all'eredità



La rinunzia all'eredità è, nella sua accezione più pura, atto caratterizzato da una causa meramente dismissiva in relazione al quale sarebbe ultronea qualsiasi considerazione circa la gratuità o l'onerosità, concetti che male si attagliano ad un intento contrassegnato da una volontà intesa esclusivamente a determinare l'estinzione di un diritto senza trasmetterlo ad alcuno.

Il codice civile assume in considerazione la rinunzia all'eredità effettuata senza corrispettivo in tre distinte disposizioni.

a) Il II comma dell'art.519 cod.civ. precisa che essa, quando sia fatta gratuitamente a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota del rinunziante, non sortisce effetti finchè non venga posta in essere nelle forme di cui al I comma (vale a dire con dichiarazione innanzi al notaio o al cancelliere).

b) L'art. 478 cod.civ. dispone invece che la rinunzia ai diritti di successione che intervenga gratuitamente a favore di alcuni soltanto dei chiamati, importa accettazione (tacita) dell'eredità.

c) Infine ai sensi dell'art. 477 cod.civ. la donazione che il chiamato faccia dei suoi diritti di successione ad un estraneo, a tutti gli altri chiamati o ad alcuni di essi, parimenti importa accettazione dell'eredità.

Le prime due ipotesi si palesano radicalmente diverse: il II comma dell'art. 519 cod.civ.apri apri ha l'eminente finalità di chiarire che l'eventuale intesa raggiunta tra coeredi in ordine alla ipotizzabile rinunzia di uno o più di essi non può che essere qualificata come mero atto preliminare rispetto ad un formale atto di rinunzia. Il tema sarà oggetto di più ampia trattazione aliunde , con riferimento all'ammissibilità di una rinunzia "contrattuale" nota1. Quello che occorre qui chiarire è unicamente che l'atto in questione mantiene integra la propria natura meramente abdicativa, come è provato dal fatto che l'eredità si devolve successivamente secondo la regole proprie della delazione. La rinunzia gratuita fatta a favore soltanto di alcuni dei chiamati di cui all'art. 478 cod.civ. possiede invece natura giuridica assolutamente divergente: in tanto infatti è possibile per il rinunziante determinare un incremento della delazione in favore soltanto di alcuni tra i soggetti che profitterebbero di una rinunzia pura e semplice, in quanto essa venga ad assumere il valore di atto di accettazione tacita d'eredità. In sostanza è come se il rinunziante venisse in un primo tempo ad accettare l'eredità e, secondariamente, ne disponesse cedendola senza corrispettivo ad alcuni tra i chiamati nota2.

La donazione di diritti successori di cui all'art. 477 cod.civ. , norma che considera la donazione al pari della vendita o, in ogni modo, della cessione non altrimenti qualificata (es.: datio in solutum ), sortisce effetti analoghi a quelli di cui alla fattispecie dell'articolo successivo, importando accettazione dell'eredità. Il significato della disposizione si palesa tuttavia assolutamente differente. Mentre la "rinunzia" di cui all'art. 478 cod.civ. interviene a favore di alcuni soltanto dei chiamati, l'art. 477 cod.civ. considera l'atto inteso a beneficiare indifferentemente un estraneo, tutti gli altri chiamati o alcuni di essi. In altre parole, è del tutto irrilevante stabilire chi ritrae un profitto dall'attribuzione; ciò che conta è il titolo di detta attribuzione, titolo che consiste in una donazione (diretta). Il chiamato che pone in essere una formale donazione infatti manifesta un chiaro intento dispositivo che non può non implicare (anche implicitamente) la volontà di accettare l'eredità. La concreta disposizione dei beni dell'eredità viene a mettere la sordina sull'eventuale coincidenza soggettiva tra i donatari e coloro che si avvantaggerebbero della delazione in esito alla semplice eliminazione del rinunziante dal novero dei coeredi nota3.

Da ultimo è il caso che ci si occupi della relazione che si pone tra rinunzia gratuita e liberalità indiretta. Può la rinunzia pura e semplice posta in essere allo scopo di donare (es.: Tizio, chiamato all'eredità lasciatagli dal padre, rinunzia puramente e semplicemente, senza corrispettivo alcuno, al fine di beneficiare il fratello Secondo, che viene così ad essere l'unico erede) essere qualificata come donazione indiretta? Prevale la tesi negativa: si afferma infatti che la legge prescinde dall'intento donativo, essendo del tutto assorbente la natura meramente abdicativa della rinunzia nota4. Si aggiunge che questa conclusione si armonizzerebbe rispetto al disposto dell'art. 521 cod.civ. , ai sensi del quale colui che ha rinunziato all'eredità non può trasmettere diritti successori neppure indirettamente, dovendo essere considerato come se non fosse mai stato chiamato nota5. Questa opinione appare criticabile. Se il negozio indiretto si qualifica come tale in quanto presenta un' eccedenza dello scopo rispetto al mezzo a motivo del fatto che la finalità pratica perseguita da chi lo pone in essere va al di là della causa tipica dell'atto nota6, allora non sembra dubitabile che anche la rinunzia possa integrare una liberalità indiretta. Quali le conseguenze pratiche? Se è vero che la detta qualificazione implica che, ogniqualvolta le parti abbiano usato uno schema negoziale non corrispondente alla causa in concreto perseguita, la disciplina della fattispecie è, per quanto attiene agli aspetti dell'elemento causale, afferente al tipo negoziale la cui causa può dirsi corrispondente al risultato realmente perseguito dalle parti, a ciò seguirebbe semplicemente la possibilità di valutare la causa in concreto dell'atto al fine di sindacarne l'eventuale illiceità o la frode alla legge. Per tutti gli altri aspetti invece (quali l'elemento formale, gli elementi costitutivi, etc.) occorre fare riferimento allo schema negoziale usato (nella fattispecie alla rinunzia, intesa come atto unilaterale). Al di là delle discussioni teoriche il fenomeno è ben evidente nella prassi usuale: si pensi al caso del genitore che rinunzia all'eredità lasciata dal coniuge allo scopo di beneficiare il figlio, contemporaneamente seguendo la via fiscalmente più conveniente.

Note

nota1

In fondo si tratta di una regola ermeneutica: è come se la legge si premurasse di interpretare le espressioni adoperate dal rinunziante ed ulteriori rispetto alla manifestazione di intento meramente abdicativo. Sono cioè considerate equivalenti le seguenti formule: "rinunzio all'eredità" (ed in tal caso per legge l'eredità sarà devoluta agli altri chiamati), "rinunzio all'eredità a favore di tutti coloro ai quali la stessa sarebbe devoluta per legge", "rinunzio all'eredità a favore di Primo, Secondo e Terzo" (che sono gli altri chiamati). Tutte integrano ipotesi dinegozio giuridico unilaterale. Ciò che conta è che l'eredità si devolva secondo le regole proprie della successione e non venga "reindirizzata" ad alcuni soltanto dal rinunziante.
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nota2

A parere di parte della dottrina (Ferri, Successioni in generale. Artt.456-511, in Comm.cod.civ., a cura di Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1980, p.266) la disposizione di cui all'art. 478 cod.civ. costituirebbe una duplicazione dell'art. 477 cod.civ., contenendo la previsione di uno solo dei casi contemplati in quest'ultima, dal momento che donatari sarebbero soltanto alcuni tra i chiamati e non tutti gli altri chiamati o addirittura soggetti estranei. Altri, invece (Grosso-Burdese, Le successioni. Parte generale , in Tratt.dir.civ.it., diretto da Vassalli, Torino, 1977, p.336), reputano che la rinunzia di cui all'art. 478 cod.civ. avrebbe a che fare non già con un atto di donazione (ciò di cui si occupa l'art. 477 cod.civ.), bensì con una semplice proposta di donazione. Essa infatti basterebbe ad integrare un atto di accettazione tacita d'eredità. A parere di altri (Capozzi, Successioni e donazioni , t.1, Milano, 1983, p.219) dalla stessa relazione al codice, tenuto altresì conto dei precedenti storici (cfr. l'art. 936 e 937 cod.civ. 1865) emergerebbe la funzione di semplice raccordo della norma in questione con il II comma dell'art. 519 cod.civ.apri . Queste ultime notazioni possono essere condivise: pare tuttavia più importante sottolineare la differente angolazione delle due norme: l'art. 478 cod.civ. apri evoca la rinunzia quale negozio indiretto e ne specifica la valenza dispositiva in correlazione al fatto che i beneficiari di essa sono diversi rispetto a quelli cui profitterebbe una rinunzia pura e semplice (cioè una vera rinunzia, atto qualificato da una causa abdicativa, dismissiva pura). L'art.477 cod.civ. , al contrario, assume in considerazione la donazione come atto dispositivo. In questo senso si palesa del tutto irrilevante la verifica di quali siano i soggetti beneficiati: se anche per avventura costoro coincidessero con quelli che si sarebbero avvantaggiati da una rinunzia abdicativa pura, non per questo la donazione si potrebbe qualificare come mera rinunzia. In altri termini la donazione è sempre e comunque atto dispositivo che implica l'accettazione dell'eredità per il donante.
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nota3

La valenza interpretativa della norma sembrerebbe chiara: quella cioè di rimarcare che, anche se per avventura i donatari si avvantaggiassero in maniera assolutamente identica a quella che discenderebbe dall'operatività delle norme relative alla delazione, comunque non si tratterebbe di una rinunzia pura e semplice, ma di un atto di disposizione che non potrebbe non importare accettazione tacita. La questione non è tuttavia pacifica. A fronte dell'opinione di chi (Cicu, Successioni per causa di morte, Parte generale, in Tratt.dir.civ. e comm., diretto da Cicu-Messineo, Milano, 1961, p.210) reputa che la legge si sia voluta attenere alla qualificazione dell'atto data dalle parti in chiave di donazione, v'è invece il parere di altri (Azzariti Martinez, Successioni a causa di morte e donazioni, Padova, 1979, p.74) che ritengono comunque abbia rilievo la volontà del chiamato. Se costui ha voluto in effetti trasferire un diritto che gli appartiene, coerente sarebbe la costruzione in chiave di preventiva accettazione (tacita). Qualora invece egli avesse semplicemente inteso non acquistare ciò che avrebbe potuto, lasciandolo agli altri coeredi (nella stessa misura prevista dalla legge per il caso di rinunzia abdicativa), non potrebbe escludersi la valenza di una rinunzia abdicativa. La questione, invero delicata, sembra tuttavia ridursi alla possibilità di riqualificare giuridicamente una donazione perfezionata con un formale atto pubblico. Accedendo a quest'ultima idea risulterebbe del tutto sminuita la portata dell'art. 477 cod.civ.: la norma pare invero formulata proprio per dirimere dubbi di carattere interpretativo: di fronte al perfezionamento di un atto di donazione, alla presenza di testimoni, non pare più consentito evocare dilemmi ermeneutici afferenti all'eventuale intento meramente dismissivo del chiamato. Egli infatti perfeziona solennemente un atto dalla chiara portata dispositiva che, come tale, non può non importare accettazione tacita d'eredità.
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nota4

Grosso-Burdese, op.cit., p.287.
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nota5

Così Capozzi, op.cit., p.218.
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nota6

Si può dunque asserire che l'aggettivo "indiretto" è riferibile alla funzione pratica dell'atto e non ai suoi effetti. Lo scopo pratico della negoziazione non viene a corrispondere a quello che è insito nella causa astrattamente assegnata dalla legge al tipo negoziale posto in essere.
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Bibliografia

  • CAPOZZI, Successioni e donazioni, Milano, 1983
  • CICU, Successioni per causa di morte. Parte generale: delazione ed acquisto dell'eredità. Divisione ereditaria, Milano, Tratt. dir. civ. e comm. diretto da Cicu-Messineo, vol. XII, 1961
  • F.S. AZZARITI - MARTINEZ - G.AZZARITI, Successioni per causa di morte e donazioni, Padova, 1979
  • FERRI, Successioni in generale. Art.456 - 511, Bologna Roma, Comm.cod.civ. Scialoja Branca, 1980
  • GROSSO-BURDESE, Le successioni. Parte generale, Torino, Tratt.dir.civ. it. diretto da Vassalli, XII - t.1, 1977

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