Responsabilità per rovina di edificio e responsabilità contrattuale ex art. 1669 cod. civ



La disciplina della responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall'art. 1669 cod. civ., è dettata specificamente per le ipotesi in cui l'opera appaltata riguardi un edificio o altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata.
Secondo la citata disposizione, l'appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, se, nel corso di 10 anni dal compimento, l'opera:
  • rovini in tutto o in parte per vizio del suolo o per difetto della costruzione;
  • presenti evidente pericolo di rovina o gravi difetti.
La giurisprudenza (cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. II, 13223/2014) reputa applicabile la disposizione in esame anche alla vendita immobiliare, ogniqualvolta il bene alienato sia stato costruito dal venditore (c.d. costruttore-venditore).

Il committente deve fare denunzia all'appaltatore entro un anno dalla scoperta, a pena di decadenza, mentre il diritto del committente si prescrive in un anno dalla denunzia. Per ciò che attiene alla natura della responsabilità ex art. 1669 cod. civ. , si discute della riconducibilità della responsabilità dell'appaltatore nell'alveo dell'illecito contrattuale ovvero extracontrattuale. Infatti, se, da un lato, la dottrina tende a considerare unitariamente tutti gli strumenti forniti al committente agli artt. 1667 e ss. del cod. civ. come rimedi contrattuali, dall'altro, la giurisprudenza preferisce isolare da questo insieme l'art. 1669 cod. civ. , riconoscendovi un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale. Mentre, con riguardo alla fattispecie di cui all'art. 1667 cod. civ. , dottrina e giurisprudenza concordano che si tratti di responsabilità contrattuale (poiché la responsabilità deriva da un'esecuzione dell'opera difforme rispetto a quanto pattuito, ovvero compiuta senza seguire le regole della tecnica), con riferimento invece all'art. 1669 cod. civ. reputano trattarsi di un'ipotesi particolare.Quando cioè l'opera abbia ad oggetto edifici o altre cose immobili destinate a lunga durata, la peculiarità della natura del bene giustificherebbe la deroga, operata dal legislatore, al principio generale in materia di appalto in base al quale il ricevimento, da parte del committente, dell'opera senza specifiche contestazioni equivale all'accettazione della stessa ed al riconoscimento dell'esecuzione secondo le regole dell'arte.

Il guasto deve riguardare difetti del suolo o della costruzione e può esplicarsi in diverse fattispecie:
  1. rovina totale;
  2. rovina parziale;
  3. pericolo imminente di rovina;
  4. grave difetto.

La giurisprudenza, inoltre, richiede che il difetto, per considerarsi grave, debba, pur non determinando la rovina od il pericolo di rovina, poter incidere significativamente sul godimento del bene, comportandone una apprezzabile menomazione. Così, secondo Cass. Civ. Sez. II, 456/99, il difetto può consistere in "qualsiasi alterazione, conseguente ad una insoddisfacente realizzazione dell'opera, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa (e, perciò, non determinandone la "rovina" o il "pericolo di rovina"), bensì quegli elementi accessori o secondari che ne consentono l'impiego duraturo (cfr: Cass. Civ., Sez. II, 20307/11) cui è destinata (es.: condutture di adduzione idrica, rivestimenti, impianti di riscaldamento, canna fumaria), incide negativamente e in modo considerevole sul godimento dell'immobile medesimo, mentre i vizi (o le difformità dell'opera dalle previsioni progettuali o dal contratto di appalto), legittimanti l'azione di responsabilità contrattuale ai sensi dell'art. 1667 cod. civ. , non devono necessariamente incidere in misura rilevante sull'efficienza e sulla durata dell'opera".
Ancora i difetti in parola possono consistere nelle infiltrazioni di umidità ovvero nei problemi relativi alla impermeabilizzazione del manto di copertura dell'edificio (Cass. Civ. Sez. II, 7254/06 Cass. Civ., Sez. II, 14650/13).

Secondo la tesi che considera contrattuale la responsabilità ex art. 1669 cod. civ. , la previsione dell'art. 1669 cod. civ. sarebbe di natura speciale anche rispetto alle norme, già di per sé specifiche, dettate in materia di inadempimento del contratto di appalto.Le argomentazioni addotte sono le seguenti:
  • la legittimazione attiva spetta esclusivamente al committente ed ai suoi aventi causa, non a qualsiasi danneggiato, come, invece, dovrebbe essere se si versasse nell'ambito dell'illecito aquiliano (l'azione aquiliana, peraltro, è comunque esperibile da parte dei terzi danneggiati);
  • la collocazione sistematica della norma, situata al di fuori della parte che la topografia del codice assegna alla responsabilità extracontrattuale, depone a sfavore della sussunzione della fattispecie in quest'ultima categoria.

Viceversa, la tesi che propende per la natura extracontrattuale della responsabilità in esame, valorizza le seguenti notazioni :
  • la norma è posta a tutela dell'interesse generale a che non vengano realizzate opere pericolose per la collettività;
  • la norma è sì speciale, ma non in relazione alle disposizioni dettate dal legislatore in materia di inadempimento del contratto d'appalto, bensì rispetto all'art. 2043 cod. civ..

La scelta interpretativa in un senso o nell'altro comporta conseguenze di rilievo circa la disciplina da applicarsi in relazione a diversi aspetti.
In via preliminare, deve, tuttavia, osservarsi che la qualificazione della responsabilità ex art. 1669 cod. civ. come contrattuale o extracontrattuale è irrilevante sotto il profilo degli istituti della decadenza e della prescrizione: ciò in quanto la stessa norma di legge stabilisce i confini temporali entro i quali è possibile far valere il proprio diritto.

La giurisprudenza preminente, aderendo alla tesi extracontrattuale della responsabilità ex 1669 cod. civ. , ritiene che "la disciplina della norma in esame sia applicabile non solo nei confronti dell'appaltatore, ma anche nei riguardi del progettista, del direttore dei lavori e dello stesso committente che si sia avvalso di detti ausiliari. La relativa responsabilità esula dai limiti del rapporto contrattuale corso tra le parti, per assumere la configurazione propria della responsabilità da fatto illecito" (Cass. Civ. Sez. III, 10719/00 ; Cass. Civ. Sez. I, 8520/06).

Per coloro che, invece, seguono la teoria contrattuale, la responsabilità ex 1669 cod. civ. è riservata solo all'appaltatore, mentre gli altri soggetti rispondono verso il committente ciascuno in conseguenza del diverso contratto con questi stipulato (cfr. art. 2236 cod. civ. per la prestazione d'opera intellettuale e 2104 cod. civ. per il lavoro subordinato).

Con riguardo alla figura del progettista, questi deve realizzare i disegni rappresentativi e gli elaborati dai quali emergano la forma, le caratteristiche e le dimensioni dell'opera da costruire e ha l'obbligo, in particolare, di verificare il terreno su cui l'opera verrà costruita e progettare di conseguenza le fondamenta.Secondo la giurisprudenza costante (Cass. Civ. Sez. II, 1154/02) la disciplina dettata dall'art. 1669 cod. civ. si applica non solo nei confronti dell'appaltatore, ma anche nei riguardi del progettista, a nulla rilevando la natura e la diversità dei contratti cui si ricollega la responsabilità, perché l'appaltatore ed il progettista, quando con le rispettive azioni ed omissioni, costituenti autonomi e distinti illeciti o violazioni di norme giuridiche diverse, concorrono in modo efficiente a produrre uno degli eventi dannosi tipici indicati dall'art. 1669 cod. civ., si rendono entrambi responsabili dell'unico illecito extracontrattuale e rispondono entrambi a detto titolo del danno cagionato. In merito ai rapporti tra la responsabilità di quest'ultimo e quella dell'appaltatore, una recente sentenza, Cass. Civ. Sez. II, 15124/01, ha affermato che l'accertata responsabilità dell'appaltatore non faccia venir meno quella del progettista, giacché, quando l'opera eseguita in appalto presenta gravi difetti dipendenti dall'opera da questi prestata, per lo stesso principio del concorso causale anch'egli ne risponde ex 1669 cod. civ. , in una all'appaltatore, nei confronti del committente, a nulla rilevando in contrario la natura e la diversità dei contratti ai quali si ricollega la responsabilità, giacché l'appaltatore ed il progettista allorché con le rispettive azioni ed omissioni, costituenti distinti autonomi illeciti violazioni di norme giuridiche diverse, concorrono in modo efficiente a produrre uno degli eventi dannosi tipici indicati dal citato art. 1669 cod. civ., si rendono entrambi responsabili dell'unico illecito extracontrattuale e rispondono entrambi, a tal titolo, del danno cagionato.

La giurisprudenza ha assunto una posizione del tutto analoga in riferimento alla responsabilità del direttore dei lavori (è, tra l'altro, eventualità tutt'altro che remota che il medesimo soggetto rivesta sia il ruolo di progettista che quello di direttore dei lavori), affermando che "il professionista non va esente da responsabilità per quei vizi che siano conseguenza non delle carenze progettuali, ma delle omissioni e/o degli errori posti in essere nell'espletamento dell'incarico di direttore dei lavori per conto del committente". Giova precisare che la preposizione di un direttore dei lavori da parte del committente, che controlli che i lavori siano eseguiti a regola d'arte e nel rispetto degli impegni contrattuali, è facoltativa negli appalti privati, mentre è obbligatoria negli appalti pubblici, ai sensi dell'art. 27, della Legge 109/94. Si ritiene che, qualora la preposizione del direttore dei lavori non sia già prevista nel contratto di appalto e la sua nomina avvenga con atto unilaterale del committente, occorra l'accettazione dell'appaltatore, che può anche rifiutarla.Il direttore dei lavori funge da rappresentante del committente e, pertanto, non possono essergli conferiti poteri maggiori rispetto a quelli spettanti a quest'ultimo: "Il direttore dei lavori assume la rappresentanza del committente limitatamente alla materia strettamente tecnica e le sue dichiarazioni sono, pertanto, vincolanti per il committente medesimo soltanto se contenute in ambito strettamente tecnico, come l'accettazione dell'opera perché conforme al progetto ed eseguita a regola d'arte" (Cass. Civ. Sez. II, 7242/01).Secondo la giurisprudenza, l'obbligazione del direttore dei lavori, che per conto del committente è tenuto a controllare il buon andamento dell'opera posta in essere dall'appaltatore, costituisce un'obbligazione di mezzi, cioè di comportamento, e non già di risultato, in quanto ha per oggetto la prestazione di un'opera intellettuale che non si estrinseca nemmeno in parte in un risultato di cui si possa cogliere tangibilmente la consistenza (Cass. Civ. Sez. II, 11116/91).Secondo la dottrina, invece, il direttore dei lavori sarebbe tenuto nei confronti del committente secondo la disciplina delle professioni intellettuali e, pertanto, la sua responsabilità dovrebbe essere apprezzata ai sensi degli artt. 1176 cod. civ. e 2236 cod. civ. . Inoltre, se così fosse, la responsabilità dell'appaltatore e del direttore sarebbero concorrenti e non solidali.

Per quel che attiene il contenuto dell'obbligazione, cui è tenuto il professionista, questo risulta essere piuttosto gravoso, pur trattandosi di un'obbligazione di mezzi.Infatti, secondo la giurisprudenza più recente, egli deve compiere tutte le attività necessarie atte ad evitare il prodursi di effetti dannosi. I suoi compiti consistono nell'accertare la conformità della progressiva realizzazione dell'opera al progetto e, per quanto riguarda le modalità tecniche, nel rispetto delle regole d'arte e delle indicazioni contenute nel capitolato.E' controverso se nei doveri di sorveglianza sia compreso anche la concreta e continua vigilanza dell'attività di carattere esecutivo: la giurisprudenza di legittimità ha assunto un indirizzo rigoroso, asserendo il potere-dovere del professionista di rilevare le inesattezze del progetto e dell'esecuzione, verificando materialmente l'esito delle sue indicazioni e segnalando al committente le ulteriori inadempienze da parte dell'appaltatore.Tale obbligo di
intervento non pare doversi spingere fino al controllo delle operazioni più semplici, la cui corretta esecuzione non può che rientrare nella sfera di responsabilità del materiale esecutore.Al riguardo, utilmente la giurisprudenza distingue tra la figura del direttore dei lavori per conto del committente e quello che agisce, invece, quale dipendente dell'appaltatore, al quale spetterà la sorveglianza sulle ordinarie operazioni di cantiere.La presenza del direttore dei lavori, nominato dal committente, non elide peraltro l'autonomia dell'appaltatore, a carico del quale resta l'obbligo di controllare e correggere gli eventuali errori di progetto e di eseguire l'opera a regola d'arte, assicurando un risultato tecnico conforme alle esigenze del committente, escludendosi tale autonomia soltanto nel caso in cui debba eseguire il progetto predisposto e le istruzioni ricevute senza nessuna possibilità di iniziativa e di valutazione, riducendo la sua funzione a quella di nudus minister.

Secondo una giurisprudenza ormai consolidata, invero, la sfera di autonomia dell'appaltatore deve ritenersi esclusa nel solo caso in cui l'ingerenza e le istruzioni impartite dal committente, direttamente o tramite il direttore dei lavori, abbiano una continuità ed un'analiticità tali da elidere nell'esecutore ogni facoltà di vaglio, in modo da imporre una qualificazione del rapporto in termini di lavoro subordinato (Cass. Civ. Sez. Lavoro, 2745/99).

Infine, si è posto il problema dell'applicabilità dell'art. 2050 cod. civ., che sancisce la responsabilità di colui che cagioni un danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno.

La giurisprudenza più recente (Cass. Civ. Sez. II, 1154/02), dopo aver ricordato che la pericolosità di un'attività ai sensi dell'art. 2050 cod. civ. non va valutata in astratto, ma con specifico riferimento alle circostanze on cui dev'essere concretamente svolta, alle materie impiegate, ai beni e alle cose necessariamente coinvolti nella lavorazione ed ai mezzi impiegati, ha concluso nel senso che l'attività edilizia, di per sé, in astratto, non è qualificabile come pericolosa, ma, se è intrapresa su un terreno inidoneo, per la sua natura, all'edificazione, risulta in concreto pericolosa, poiché il vizio del suolo comporta pericolo di crollo nella realizzando costruzione, con conseguente pregiudizio per il patrimonio e l'incolumità dei terzi.


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