Rappresentanza della società



Ai sensi dell'art. 2266 cod. civ. la società semplice acquista diritti e assume obbligazioni per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza, potendo stare in giudizio nella persona dei medesimi (Cass. Civ. Sez. I, 1839/79 ) nota1 . In difetto di specificazioni contenute nei patti sociali la rappresentanza spetta a ciascun socio amministratore e si estende a tutti gli atti che rientrano nell'oggetto sociale. Essa non viene meno neppure quando sia subentrata la liquidazione ed anche in difetto della parallela qualifica di liquidatore in capo al socio che abbia ad agire in giudizio (cfr. Cass. Civ. Sez. I, 14433/03 ). Nell'impianto codicistico risulta ben distinta la funzione di amministrazione e quella di rappresentanza della società. La prima consiste nell'attività di direzione e di gestione degli affari sociali. Essa possiede, come tale, un profilo ed una rilevanza interna. La seconda ha invece a che fare con la manifestazione dell'intento sociale all'esterno, con l'estrinsecazione ed attuazione della volontà della società verso i soggetti con i quali essa ha a che fare. A tal fine occorrerà pur sempre la contemplatio domini, intesa come spendita del nome dell'ente, in difetto del quale l'altro contraente non sarebbe in grado di individuare il soggetto nei cui confronti la negoziazione deve spiegare i propri effetti (cfr. Cass. Civ. Sez. II, 3903/00 ). La rappresentanza, in altri termini, consente l'imputazione alla società dell'attività posta in essere dai soci investiti del relativo potere nota2.

Come detto, l'art. 2266 cod. civ. inoltre prevede come ordinaria la coincidenza fra potere gestorio e potere rappresentativo, sia per quanto riguarda i soggetti che ne sono investiti, sia in relazione alle modalità di esercizio dei relativi poteri. Si presume pertanto che, in mancanza di diversa disposizione convenzionale, tutti i soci siano ad un tempo amministratori ed anche rappresentanti. La regola possiede natura dispositiva. Ben potrebbe il contratto sociale riservare i poteri amministrativi solo ad alcuni soci e tra costoro riconscere il potere di rappresentanza soltanto ad alcuni nota3 (ovvero anche anche ad un soggetto estraneo alla compagine sociale: Cass. Civ. Sez. III, 3887/96 ).

La previsione di siffatte limitazioni convenzionali al potere di rappresentanza degli amministratori rende rilevante sciogliere il nodo relativo all'opponibilità di esse ai terzi. Al riguardo non si può più far leva sull'assoluto difetto di strumenti pubblicitari originariamente riscontrabile per la società semplice. Infatti in esito all'istituzione della Sezione speciale del Registro delle imprese può dirsi attuata (e con efficacia non più semplicemente notiziale, sia pure per le società esercenti l'attività agricola, in relazione all'entrata in vigore del D. Lgs. 18 maggio 2001, n. 228 ) una forma di pubblicità che rende alquanto obsoleto il modo di disporre dell'ultimo comma dell'art. 2266 cod. civ.. La detta norma infatti si limita a richiamare semplicemente la disciplina di diritto comune in tema di rappresentanza, vale a dire l'art. 1396 cod. civ. . Occorrerà operare una distinzione tra limitazioni originariamente esistenti nei patti sociali e modificazioni introdotte successivamente in forza di una modifica dei detti patti. Le limitazioni originarie potranno sempre essere opposte ai terzi. Essi saranno conseguentemente gravati dell'onere di accertarsi sia della qualità di rappresentante di chi agisce in nome e per conto della società, sia l'estensione dei poteri in base ai quali agisce. Le limitazioni successive (o anche l'estinzione del potere di rappresentanza) dovranno invece essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei (c.d. pubblicità di fatto). In difetto di tale prova tali limitazioni saranno opponibili soltanto se la società abbia dato conto dell'effettiva conoscenza da parte di costoro nota4.

Note

nota1

E' stato addirittura deciso che il socio possa, come tale, indipendentemente dalla qualifica di amministratore, convenire in giudizio l'amministratore per ivi sentirlo condannare alla reintegrazione del patrimonio sociale leso per effetto di atti di mala gestio (Tribunale di Napoli, 17/04/1998 ). In ogni caso il difetto di rappresentanza processuale potrebbe essere sanato a posteriori, con effetto ratificativo ex tunc (Cass. Civ. Sez. III, 12797/95 ).
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nota2

La configurazione del rapporto tra società e socio-amministratore in chiave di imputazione rappresentativa è in questo senso alternativa al nesso di immedesimazione organica proprio invece dell'organo amministrativo delle società a base capitalistica. In quest'ultima ipotesi non si riscontra il dualismo tra rappresentante e rappresentato, dal momento che l'organo è esso stesso l'ente del quale manifesta la volontà.
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nota3

E' stato affermato significativamente che la sequenza socio-amministratore-rappresentante non è biunivoca, "dato che per essere amministratori bisogna essere soci e per essere rappresentanti occorre essere amministratori, ma si può essere amministratori senza essere rappresentanti e soci senza essere né amministratori né rappresentanti" (Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1987, p. 122).
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nota4

Buonocore-Castellano-Costi, Società di persone, in Casi e materiali di dir. comm., Milano, 1980, p. 617.
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Bibliografia

  • BUONOCORE CASTELLANO COSTI, Società di persone, Milano, Casi e materiali di diritto commerciale, 1980
  • DI SABATO, Manuale delle società, Torino, 1987

Prassi collegate

  • Quesito n. 215-2015/I, Incompatibilità fra commissario giudiziale e liquidatore giudiziale
  • Quesito n. 1009-2014/I, Concordato preventivo omologato e rappresentanza della società

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