Parere n. 18/2009 - Sanatoria opere edilizie urbane


Viene posto il problema di un’opera edilizia abusiva realizzata nel 1971 (anteriormente, dunque, alla cosiddetta “legge Galasso” a distanza inferiore a 150 metri da un corso d’acqua, in assenza di titolo abilitativo edilizio; per tale opera viene ora richiesto il titolo edilizio predetto in sanatoria, sussistendo la conformità dell’opera alla “disciplina urbanistica ed edilizia vigente” (art. 36 T.U. ed.), in presenza del fatto che non è peraltro praticabile nel caso una “sanatoria paesaggistica”, in virtù dei disposti del “codice dei beni culturali”.

Il caso concreto proposto dal Comune presenta i seguenti connotati.

Nel 1971, e dunque vari anni prima dell’emanazione della cosiddetta “legge Galasso”, a distanza inferiore a 150 metri da un torrente è stata costruita - senza licenza edilizia (così era denominato all’epoca il titolo abilitativo edilizio, non ancora chiamato “concessione”) - un’autorimessa.

La stessa, per quanto emerge dal quesito posto (quesito che altrimenti non avrebbe neppure ragion d’essere), non dava luogo a contrasti con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente all’epoca della realizzazione né con quella in vigore attualmente.

Sussistono quindi le condizioni di cui all’art. 36 del D.P.R. 380/01. recante Testo Unico dell’edilizia: l’autorimessa in questione è sanabile - sotto il profilo urbanistico/edilizio - ai sensi della disposizione di legge dianzi citata.

Peraltro, come è noto, nel 1985 è intervenuto dapprima il d.l. 312 e poi la legge n. 431 (cosiddetta “legge Galasso”), che ha istituito la categoria delle “aree tutelate per legge” (per usare il linguaggio dell’art. 142 del “codice dei beni culturali”, d.lgs. 42/2004 e succ. mod. attualmente in vigore).

E’ parimenti noto il fatto che la legislazione di cui dianzi (la “legge Galasso” è ora travasata nel codice anzidetto) ha stabilito che “sono comunque di interesse paesaggistico e sono sottoposti alle disposizioni” del Titolo I della Parte Terza del codice “i fiumi, i torrenti, i corsi d’acqua (…) e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna”.

L’autorimessa in questione è stata dunque edificata quando l’area interessata non era gravata di vincolo paesaggistico alcuno; l’irregolarità è consistita solo nel realizzare la costruzione senza munirsi della licenza edilizia comunale, licenza che tuttavia sarebbe stata rilasciata (per quanto è dato di intendere dal quesito) ove richiesta, stante l’assenza di contrasti con la disciplina urbanistica ed edilizia, contrasti che non sussistono neppure oggi.

La regolarizzazione edilizia dell’intervento non porrebbe dunque alcun problema: sarebbe infatti applicabile l’istituto anzidetto dell’accertamento di conformità di cui all’art. 36 del D.P.R. 380/01: il proprietario del fabbricato potrebbe sanare l’intervento, previo pagamento di una somma pari al doppio del contributo di costruzione oggi dovuto.

Peraltro, correttamente il Comune si chiede se sia rilasciabile il permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 citato, in presenza del fatto che oggi (art. 146, comma 4, d.lgs. 42/04) non è più rilasciabile l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria che parrebbe dover precedere il titolo abilitativo edilizio e può essere solo accertata la “compatibilità paesaggistica” nei limitati casi di cui agli artt. 167, co. 4 e 181, co. 1-ter del d.lgs. 42/04, casi ai quali sfugge l’intervento in questione, poiché l’autorimessa dà luogo ad una nuova superficie utile: è quindi esclusa dalla possibilità di verificarne la compatibilità paesaggistica dagli articoli dinanzi citati.

In effetti più problematica appare la questione inerente alla eventuale regolarizzazione paesaggistica dell’intervento.

Al riguardo, va detto quanto segue.

Appare fuori discussione, in ragione dell’epoca di imposizione del vincolo paesaggistico, che al tempo in cui furono realizzati i lavori non fosse necessaria - per l’esecuzione degli stessi - alcuna autorizzazione paesaggistica. Ed infatti, tale titolo abilitativo, oggi come nel 1971, è necessario soltanto per gli interventi da eseguirsi in aree soggette al vincolo paesaggistico. Come già rilevato, nel 1971 l’area in questione non era soggetta ad alcun vincolo di tale tipo (introdotto nel 1985), per cui gli interventi su immobili in essa ricadenti non necessitavano della previa autorizzazione paesaggistica.

La normativa paesaggistica susseguitasi nel corpo del tempo (L. 1497/1939; D. Lgs. 490/1999; D. Lgs. 42/2004) considera illecito amministrativo e penale la realizzazione di interventi edilizi in assenza della necessaria autorizzazione paesaggistica.

L’illecito (amministrativo e penale) consiste, appunto, nella violazione delle norme che prescrivono ai proprietari, possessori o detentori di beni vincolati di non eseguire opere sugli stessi se non previo accertamento della compatibilità paesaggistica delle stesse e conseguente rilascio dell’autorizzazione (paesaggistica) a realizzarli (art. 146, c. II, D. Lgs. 42/2004).

Ed infatti, l’art. 167 D. Lgs. 42/2004 sottopone a sanzione amministrativa “la violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal titolo I della parte terza (del decreto legislativo medesimo, n.d.r.); cioè la violazione dell’obbligo di munirsi preventivamente dell’obbligo di munirsi preventivamente all’esecuzione di lavori della autorizzazione paesaggistica.

L’art. 181 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, prevede sanzioni penali per “chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità da essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici”. Assai chiara, inoltre, è la L.R. 20/1989 (“Norma in materia di tutela di beni culturali, ambientali e paesistici”) che, all’art. 16, articolo che non è stato abrogato dalla l. reg. 32/2008, dispone che il Comune, “accertata la realizzazione di opere non autorizzate, o in difformità dall’autorizzazione rilasciata ai sensi della presente legge, applica, entro trenta giorni dall’accertamento, le sanzioni previste dall’art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497 (oggi previste dall’art. 167 D. Lgs. 42/2004)”.

Come già si è osservato, nel caso di specie non era prevista (nel 1971, epoca di esecuzione dei lavori) alcuna autorizzazione paesaggistica.

Conseguentemente, la condotta tenuta nel 1971 da parte dei costruttori dell’edificio abitativo di cui trattasi (realizzazione di opere in assenza di titolo), pur concretando un illecito edilizio, non ha dato luogo ad alcun illecito paesaggistico. Non è stata infatti eseguita alcuna opera in difformità dall’autorizzazione paesaggistica od in assenza della stessa, in quanto, all’epoca i progetti edilizi non necessitavano d’essere assentiti da alcuna autorizzazione paesaggistica.

E’ vero che oggi l’area in questione è vincolata e che la realizzazione di interventi all’interno di essa richiede l’autorizzazione paesaggistica: ma la legge che ha imposto il vincolo (e, quindi, ha determinato la necessità dell’autorizzazione paesaggistica) è entrata in vigore soltanto nel 1985 e, come tutte le leggi “non dispone che per l’avvenire” e “non può avere effetto retroattivo” (art. 11 delle Disposizioni sulla legge in generale, c.d. “preleggi”).

Soltanto a partire dal 1985 l’esecuzione di opere nell’area in questione dev’essere preceduta dal rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e soltanto dal 1985 la realizzazione di lavori in assenza di tale autorizzazione costituisce un illecito amministrativo (oltre che penale) di carattere paesaggistico.

Quanto affermato trova fondamento nell’art. 1 della L. 689/1981, a mente del quale “Nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione”. Tale norma, dettata in materia di sanzioni amministrative (quali sono le sanzioni, ripristinatorie e pecuniarie, conseguenti all’esecuzione di lavori in assenza di autorizzazione paesaggistica), estende alla materia degli illeciti amministrativi i principi di legalità e di irretroattività previsti, per la materia penale, dall’art. 25 della Costituzione e dall’art. 2 del codice penale, principi che vengono tradizionalmente sintetizzati nella formula “nullun crimen, nulla poena, sine praevia lege poenali”.

Devo invero ritenersi che l’art. 1 della L. 689/1981 detti un principio fondamentale che regola la materia degli illeciti amministrativi.

In anni recenti, ciò è stato confermato dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha osservato che “la legge 24 novembre 1981, n. 689, all’art. 12 dispone che le disposizioni del capo I (principi generali in tema di sanzioni amministrative) siano osservate per tutte le violazioni per le quali sia prevista una sanzione amministrativa. Quindi, anche con riguardo ai rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale, essa assume la natura di c.d. legge cornice, nel senso che il legislatore locale, nel disciplinare l’applicazione di una sanzione amministrativa deve attenersi ai principi fondamentali posti dalla normativa statale” (Cass., 22.05.1998, n. 5132, pronunciata in tema, proprio, di rapporti tra la L. 689/1981 e la sovra menzionata legge regionale piemontese 20/1989).

Il principio fondamentale di irretroattività - per cui nessuno può essere sanzionato per una condotta che, all’epoca della commissione, non era illecita - si applica, dunque, alla materia degli abusi paesaggistici.
Proprio in relazione ai vincoli che, come quello che interessa l’area di che trattasi, sono stati imposti dalla c.d. Legge Galasso, la giurisprudenza amministrativa si è espressa nel senso che “la l. 8 agosto 1995, n. 431, in vista dell’adozione di strumenti di più incisiva tutela del patrimonio culturale ed ambientale del paese, ha voluto salvaguardare con vincoli di varia portata il valore ambientale rappresentato dallo stato dei luoghi così com’era al momento dell’entrata in vigore della legge stessa; pertanto, le previsioni di detta legge non possono investire lavori già portati a termine, i quali abbiano già prodotto un’irreversibile modificazione dello stato dei luoghi, prima ancora dell’entrata in vigore del regime vincolistico, e con i quali sia stata richiesta la concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 13 della l. 28 febbraio 1985, n. 47” (T.A.R. Campania, Napoli, 10.09.1987, n. 500).

La decisione del Tribunale amministrativo campano testè enunciata chiarisce un altro aspetto della questione: gli abusi edilizi commessi, prima dell’imposizione del vincolo, in area successivamente vincolata, quand’anche costituiscano oggetto di sanatoria edilizia, non necessitano di “sanatoria paesaggistica”.

Il titolo abilitativo paesaggistico “postumo” (pacificamente ammesso anteriormente al Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, ed è stato consentito - come già si è detto - in pochi limitati casi indicati dagli artt. 167, c.4 e 181, c. 1 ter del Codice medesimo, titolo definito “accertamento di compatibilità paesaggistica”) non è dunque necessario, né dovuto, ove l’abuso edilizio risalga ad epoca precedente all’apposizione del vincolo e non costituisca, pertanto, illecito amministrativo paesaggistico.

Se, al tempo in cui fu compiuta, l’attività di trasformazione del suolo non necessitava di autorizzazione paesaggistica, non appare concepibile un’autorizzazione postuma sanante: “Non è ipotizzabile l’adozione di un titolo a sanatoria di una situazione ab initio lecita, in quanto non originariamente soggetta ad alcun titolo abilitativo” (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. II, 21.07.2004, n. 3150).

Alla tesi sin qui enunciata – tesi già seguita ed applicata in casi recentemente verificatisi in Piemonte – potrebbero essere mosse due obiezioni, che è bene esaminare al fine di sgombrare il campo da ogni possibile equivoco.

La prima obiezione potrebbe derivare dalla consolidata giurisprudenza amministrativa che - in tema di condono edilizio - ritiene obbligatorio il “nulla osta” paesaggistico ex art. 32 L. 47/1985 sempre ed in ogni caso, a prescindere dall’epoca di introduzione del vincolo e, quindi, anche per opere eseguite anteriormente all’introduzione medesima ( cfr., ex plurimus, Cons. Stato, sez. VI, 11.05.2005, n. 2357).

Deve tuttavia osservarsi come tale opinione giurisprudenziale, pacifica e consolidata successivamente alla decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 22.07.1999, n. 20, discenda dalla natura straordinaria della sanatoria (condono) di cui agli artt. 31 e ss. L. 47/1985 sia sempre necessario perché l’art. 32 medesimo non precisa che il vincolo imposto debba essere anteriore all’esecuzione delle opere abusive: considerata la specialità della normativa sul condono edilizio ed attesa la sua natura derogatoria ed eccezionale, se ne impone una lettura di stretta interpretazione (cfr. Consiglio Stato, Ad. Plen., 22.07.1999, n. 20, cit.).

Il principio dell’obbligatorietà “in ogni caso”, a prescindere dall’epoca di imposizione del vincolo, vale dunque per il “nulla osta” paesaggistico in seno al procedimento di condono edilizio, ma non per l’accertamento di compatibilità paesaggistica in seno al procedimento di sanatoria edilizia “a regime” “ex” art. 36 DPR 380/2001 (già art. 13 L. 47/1985).

La seconda obiezione potrebbe derivare dal carattere dell’autorizzazione paesaggistica, che è sempre stata ritenuta condizione di efficacia del titolo abilitativo edilizio.

Tale convinzione è oggi accentuata dal tenore letterale dell’art. 146, c. II, D. Lgs. 42/2004, secondo cui “l’autorizzazione (paesaggistica) costituisce atto autonomo e presupposto del permesso di costruire o degli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio. I lavori non possono essere iniziati in difetto di essa”.

Si potrebbe, quindi, obiettare che la previa autorizzazione paesaggistica (in sanatoria, ai sensi dell’art. 167, c. IV, e dell’art. 181, c. I bis, D. Lgs. 42/2004) costituisca condizione per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria, accertamento di conformità edilizia ex art. 36 DPR 380/2001.

Sennonché, anteriormente all’entrata in vigore del D. Lgs. 42/2004, l’autorizzazione paesaggista è sempre stata ritenuta condizione di efficacia - e non di validità – della concessione edilizia, con la conseguenza che non poteva ritenersi precluso il rilascio del titolo abilitativo edilizio in assenza del previo atto d’assenso paesaggistico. Più volte il Consiglio di Stato ha affermato che la concessione edilizia potesse essere rilasciata anche in mancanza di autorizzazione paesaggistica, ferma restando la sua inefficacia (e quindi l’illegittimità dell’eventuale inizio dei lavori) finchè non fosse intervenuto il nulla osta paesaggistico (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 10.02.2006, n. 547; Cons. Stato, sez. VI, 02.05.2005, n. 2073; Cons. Stato, sez. V, 11.03.1995, n. 376).

La natura di mera condizione d’efficacia (e non di validità) dell’autorizzazione paesaggistica rispetto al permesso di costruire edilizio non risulta mutata a seguito dell’entrata in vigore del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, atteso che l’art. 146, comma 4, del codice predetto, dispone che l’atto di assenso paesaggistico sia presupposto (non “condizione di validità”) del titolo abilitativo edilizio e che i lavori non possono essere iniziati in difetto di esso: l’autorizzazione paesaggistica è chiaramente una condizione indispensabile per iniziare i lavori, non necessariamente per il rilascio del titolo abilitativo edilizio. Ed inoltre, visto il riferimento non necessariamente per il rilascio del titolo abilitativo edilizio. Ed inoltre, visto il riferimento all’inizio dei lavori, il nulla osta paesaggistico può essere considerato presupposto del permesso di costruire ordinario (cioè preventivo), ma non del permesso di costruire in sanatoria, al cui rilascio non consegue alcun inizio dei lavori.

In definitiva, quindi, l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria (l’accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi degli artt. 167, c. IV e 181, c. I ter, D. Lgs. 42/2004) non costituisce condizione di validità del permesso di costruire in sanatoria (accertamento di conformità ex art. 36 DPR 380/2001): ergo, il permesso di costruire in sanatoria può essere rilasciato anche in mancanza dell’accertamento di compatibilità paesaggistica. Al limite – ove la sanatoria paesaggistica fosse dovuta e necessaria (essendo configurabile un illecito amministrativo/penale paesaggistico da sanare – la sua mancanza potrebbe comportare l’inefficacia della concessione edilizia sanatoria, che quindi potrebbe non produrre gli effetti estintivi del reato edilizio ex art. 45, c. III, DPR 380/2001 (cfr. Cass. Pen., sez. III, 22.09.1998, n. 11301).

Tuttavia, nelle situazioni del tipo in esame, nelle quali la sanatoria paesaggistica non è nemmeno ipotizzabile non essendo configurabile alcun illecito paesaggistico, la sanatoria edilizia appare rilasciabile in assenza del (non dovuto) accertamento di compatibilità paesaggistica.

Per le dianzi ragioni esposte, si possono trarre le seguenti conclusioni:
- nei casi del tipo proposto nel quesito comunale, è necessario, il rilascio dell’accertamento di conformità edilizia ex art. 36 DPR 380/2001, comportante il pagamento dell’oblazione (doppio del contributo di concessione);
- non è necessaria, né ipotizzabile, alcuna sanatoria paesaggistica e non deve essere irrogata alcuna sanzione amministrativa ai sensi del D. Lgs. 42/2004 e/o della L.R. 20/1989, non sussistendo alcun illecito paesaggistico.

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