Nullità dei patti parasociali a cagione dell'inosservanza degli obblighi pubblicitari di cui all'art.122 t.u.f



L'art. 122 del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 pone al III comma una espressa ipotesi di nullità (da qualificarsi dunque come testuale ) dei soli patti parasociali (afferenti a società per azioni quotate)oggetto delle previsioni normative in dipendenza della difettosa pubblicità dei medesimi ("In caso di inosservanza degli obblighi previsti dal comma I i patti sono nulli").

Il I comma della norma in esame prescrive che le pattuizioni siano comunicate entro cinque giorni dalla stipulazione alla Consob, siano depositate, entro quindici giorni dalla stipulazione, nel registro delle imprese del luogo in cui ha sede la società, ovvero nel registro delle imprese di Milano se si tratta di patti relativi a società non aventi sede in Italia ed infine pubblicati per estratto sulla stampa quotidiana.

La Consob, delegata a stabilire con regolamento le modalità e i contenuti della comunicazione, dell' estratto e della pubblicazione (art. 122, secondo comma, ), ha provveduto a ciò con la deliberazione 24 novembre 1998, n. 11715.

Qual è la portata della previsione del III comma dell'art. 122 t.u.f., ai sensi del quale l'inosservanza delle formalità pubblicitarie produce la nullità dei patti nota1, in considerazione della singolare costruzione di detta formalità quale elemento costitutivo della fattispecie?

L' intento del legislatore può essere agevolmente individuato nel fine di interdire gli effetti dei patti parasociali non sottoposti alla pubblicità.



In tema di società quotate infatti è assolutamente rilevante che la stipulazione di patti parasociali con effetti semplicemente obbligatori (limitati cioè ai soli stipulanti) sia resa nota a tutti, sia pubblicizzata con la massima estensione possibile allo scopo di informare il mercato (dunque i potenziali acquirenti e venditori di valori mobiliari) di tutte quelle pattuizioni che possono in un modo o in un altro condizionare il valore di mercato, l'alienabilità, le prospettive di redditività delle azioni di una società quotata.

Non occorre spendere parole per evidenziare l'enorme potenziale dei patti parasociali ad indurre variazioni delle quotazioni che quotidianamente determinano l'andamento del mercato mobiliare.

Occorre comunque precisare che l'intervenuta pubblicazione del patto parasociale ai sensi dell'art. 122 t.u.f. non pregiudica comunque una eventuale valutazione di nullità (virtuale) del medesimo a causa della concreta efficienza di esso sul funzionamento della società con particolare riferimento alle regole derivanti da norme imperative.

L'osservanza delle formalità pubblicitarie vale soltanto ad impedire una radicale nullità iniziale delle convenzioni, la cui sostanza è comunque valutabile alla stregua dei principi specificamente enunziati in giurisprudenza.

Ciò premesso, occorre che ci si occupi più approfonditamente della specifica nullità di cui all'art. 122 t.u.f. .

Si ponga mente al fatto che, in conseguenza dell'inosservanza della pubblicità suddetta, le azioni sindacate vengono espressamente private del diritto di voto (art. 122 II e III comma, ) nota2 .

Come conciliare dal punto di vista logico la predetta efficacia paralizzante con la previsione di nullità?

Poiché alla nullità segue per generale principio giuridico l'inettitudine alla produzione di qualsivoglia effetto, dovrebbe seguire la non vincolatezza dei patti e, conseguentemente, la possibilità di esprimere liberamente da parte di ciascun socio (non più legato dal patto) il proprio diritto di voto. In questo caso probabilmente il legislatore ha voluto imporre, quale ulteriore sanzione rispetto alla nullità del patto non pubblicato, la "sterilizzazione" delle azioni quanto al diritto di voto.

Essa infatti si pone quale remora rispetto alla condotta inadempiente agli obblighi di pubblicazione, essendo stata evidentemente considerata insufficiente la comminatoria della mera nullità delle convenzioni parasociali.

Il ragionamento di chi, avendo stipulato accordi di questo genere, intendesse mantenerli occulti potrebbe seguire questo percorso logico:

  1. i patti sono nulli ex III comma art. 122 t.u.f. ;
  2. dette convenzioni sono intese semplicemente a disciplinare i rapporti interni tra alcuni soci (o anche tra alcuni soci e soggetti terzi: future società controllanti etc.);
  3. poiché è preciso interesse mantenere occulte determinate pattuizioni, quello che conta è soltanto che, al momento opportuno, il voto sia comunque orientato in conformità rispetto a tali specifiche intese. In definitiva emerge con evidenza la natura di arma spuntata della previsione di nullità del patto ogniqualvolta le parti abbiano comunque interesse a darvi esecuzione.

E' forse tale nullità preclusiva rispetto ad una condotta comunque attuativa in assemblea della volontà dei soci di uniformarvisi?

Paradossalmente l'effetto meramente interno del patto (che vale a preservarlo da qualsiasi attacco sotto il profilo dell'eventuale sindacato giudiziario inteso a rinvenire profili di nullità virtuale) è anche quello che vale a meglio garantirne l'efficacia pratica sotto il profilo di una tacita attuazione.

Ecco allora lo spauracchio della sterilizzazione del voto: stiano attenti i soci a concludere tra loro (magari anche soltanto in forza di condotte concludenti, di intese tacite) patti parasociali occulti (o addirittura segreti, destinati programmaticamente a non essere palesati). Chiunque ed in qualunque momento potrà, dopo aver dato conto dell'esistenza del patto (con qualsiasi mezzo di prova poiché, non si dimentichi, per i terzi il patto è mero fatto, non soggetto ad alcun limite di prova ), infirmare le deliberazioni assembleari assunte successivamente alla conclusione dell'accordo segreto nota3.

Ciò che conta non è tanto la qualificazione del patto come nullo (ciò che consente la rilevabilità del vizio senza limiti cronologici a cagione dell'imprescrittibilità, dell'insanabilità e della assolutezza della legittimazione ad agire), quanto l'invalidità di cui sarebbe affetta la deliberazione assembleare assunta con i voti "paralizzati".

Ecco che, se le considerazioni svolte colgono nel segno, ricostruita la ratio di una prescrizione altrimenti del tutto stravagante, diviene ora possibile riferire delle caratteristiche della nullità in questione.

Il congelamento del voto che segue, appare deputato ad agire quale deterrente contro il "fantasma" di un patto segreto che porrebbe comunque i soci, la società, le operazioni programmate riservatamente, sotto la perenne spada di Damocle di una azione volta a contestare le deliberazioni assunte.

Occorre a questo punto tornare alla natura giuridica dell'effettuazione del triplice ordine di adempimenti pubblicitari: secondo un'opinione nota4 che per qualche verso va condivisa, potrebbe trattarsi di un'ipotesi di pubblicità costitutiva, la cui esecuzione condiziona pertanto il perfezionamento della fattispecie.

Sarebbe però riduttivo qualificare la pubblicità in questione come avente natura costitutiva analogamente a quanto la legge dispone in tema di ipoteca ovvero, per rimanere in un ambito più pertinente, di costituzione di società a base capitalistica.

Ipotizziamo infatti che alcuni dei soci stipulassero verbalmente un patto tra quelli considerati dall'art. 122 t.u.f. con l'intesa di mantenerlo segreto e, successivamente, venissero assunte deliberazioni assembleari nell'ambito di un più vasto disegno di acquisizioni e fusioni in adempimento di dette pattuizioni. Il tutto riflesso dalle quotazioni dei titoli delle società coinvolte nella complessa strategia operativa.

Potrebbero i soci vincolati dal patto darne notizia successivamente al compimento delle riferite operazioni svolgendo le formalità pubblicitarie già esaminate e con ciò sanando la difettosità dei patti stessi e delle deliberazioni adottate con il voto dei soci coinvolti?

E' chiaro che la soluzione affermativa farebbe d'un colpo diventare del tutto inutile l'intero meccanismo previsto dalla legge. In fondo il rischio per i soci che intendessero mantenere nascosti i patti consisterebbe nel non essere scoperti nel tempo che va dal decorso dell'ultimo termine utile per procedere alla pubblicazione fino al momento in cui viene effettuata tardivamente la pubblicità.

Poiché un tale esito interpretativo deve essere certamente respinto occorre continuare ad interrogarsi circa le speciali caratteristiche della nullità in esame.

In giurisprudenza si è ritenuto che la sanzione della "sterilizzazione" del diritto di voto di cui al IV comma dell'art. 122 t.u.f. sia particolarmente grave: essa condurrebbe ad una sorta di "espropriazione non solo dei diritti di partecipazione alla formazione della volontà sociale, quanto dello stesso valore economico delle azioni, il cui congelamento sembrerebbe addirittura indipendente dalla qualità di partecipante al patto del titolare".

Se ne è dedotta la sanabilità della nullità in esame.

Vengono a questo proposito ricordate le numerose ipotesi normative che di nullità sanabile (tra le quali, specificamente riferibile all'ambito societario, il V comma dell'art. 2332 cod.civ. ). Il compimento, seppure tardivo, delle formalità richieste dalla legge consentirebbe un recupero della valenza del patto.

Quale effetto annettere dunque alla pubblicazione tardiva?

In dottrina nota5 è stata rilevata l'incongruità dell'opinione in base alla quale l'effettuazione tardiva degli adempimenti pubblicitari avrebbe effetti sananti. I patti parasociali rimarrebbero dunque invalidi perché ritenere il contrario importerebbe l'inutilità della prescrizione dal punto di vista della tempestività dell'informazione ai mercati e ai terzi del contenuto e della portata delle pattuizioni in esame (nonché, occorre aggiungere, dei conseguenti riflessi sulle negoziazioni dei titoli). Sarebbero pertanto illeciti i patti in quanto originariamente tenuti nascosti e non dovrebbero semplicemente essere qualificati illeciti fino a quando rimangono tali.

Secondo simile opinione, dunque, la nullità del patto sarebbe insanabile, avendo i soci solamente la possibilità di stipularli nuovamente e di pubblicarli entro i termini di legge.

Il vero problema tuttavia, è il caso di ribadirlo ancora una volta, è l'assorbente profilo di rilevanza economica che pare aver ispirato il legislatore soprattutto nella disposizione con la quale il diritto di voto delle azioni viene "congelato".

Richiamando la ratio dell'art. 122 t.u.f. come individuata in precedenza si può forse ricercare una soluzione ipotizzando altri percorsi.

Da un lato si può reputare che il patto parasociale rimanga nullo anche se assoggettato a (tardiva) pubblicazione, dall'altro che il diritto di voto, una volta effettuati gli adempimenti pubblicitari, possa essere nuovamente esercitato, dopo esser stato per così dire "scongelato".



La norma testualmente afferma infatti che "il diritto di voto inerente alle azioni quotate per le quali non sono stati adempiuti gli obblighi previsti dal comma 1 non può essere esercitato".

La disposizione non riferisce che il diritto di voto è per sempre paralizzato, collega tale inibizione al mero difetto di effettuazione della pubblicità in questione di modo che non v'è ostacolo alcuno a ritenere che, una volta dato corso al triplice adempimento di legge, il voto possa esser nuovamente e liberamente esercitato.

Sicuramente questa soluzione implica una singolare schizofrenia tra previsione della nullità del patto (che rimane tale pur in esito al deposito fuori termine) ed esercitabilità del diritto di voto. Si tratta d'altronde di due sanzioni del tutto autonome, ciascuna connotata da una propria individualità che non viene meno neppure constatando l'evidenza del collegamento dell'una all'altra.

Note

nota1

In argomento cfr. Oppo, Contratti parasociali, Milano, 1942; Cian, Società con azioni quotate: profili sanzionatori della disciplina dei patti parasociali nella riforma Draghi, in Corr.giur., 1998, p.731; Jaeger, Il problema delle convenzioni di voto, in Giur.comm., 1989, p. 203. Tra gli interpreti vi è anche chi (Picciau, Commento all'art. 122, in La disciplina delle società quotate nel Testo unico della finanza D.lgs 24 febbraio 1998, a cura di Marchetti e Bianchi, Milano, 1999, p. 882 e ss.) critica tale impostazione, dubitando che si tratti di nullità.
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nota2

Simile esito si pone nell'ottica protezionistica del contraente debole inseguita dal legislatore: cfr. Picciau, cit., p.882 e ss..
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nota3

E, a tale strumento di tutela (del socio di minoranza), si possono aggiungere e coordinare alle norme del T.U. gli artt. 2409 e 2367 cod.civ.
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nota4

Salafia, I patti parasociali nella disciplina contenuta nel D.lgs. 58/1998, in Le società, 1999, p.261.
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nota5

Kustermann, Osservazioni sui patti parasociali dopo la riforma Draghi, in Le società, 1998, p.910.
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Bibliografia

  • CIAN, Società con azioni quotate: profili sanzionatori della disciplina dei patti parasociali nella riforma Draghi, Corr.giur., 1998
  • JAEGER, Il problema delle convenzioni di voto, Giur.comm., 1989
  • KUSTERMANN, Osservazioni sui patti parasociali dopo la riforma Draghi, Le società, 8, 1998
  • OPPO, Contratti parasociali, Milano, 1942
  • PICCIAU, Commento all'art.122, Milano, La disciplina delle società quotate TU 24/02/98, 1999
  • SALAFIA, I patti parasociali nella disciplina contenuta del D.lgs 58/1998, Le società, 1999


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